Foggia, nido dell’anima

Il prof. Leonardo Scopece mi scrive:
“Gent.mo Dott. Geppe Inserra,
Desidero esprimerLe il mio più sentito ringraziamento per aver ricordato, attraverso la pubblicazione (su Lettere meridiane) della poesia 19 agosto, uno dei momenti più drammatici della storia della nostra Foggia, e per aver, nel contempo, reso onore all’immagine di mio padre.
A Lui, papà meraviglioso, e ai “fratelli” foggiani di ogni tempo rivolgo il mio pensiero… Nelle vicissitudini dell’umano vivere nulla mi rende più “orgoglioso” dell’essere figlio di questa meravigliosa città. Viva Foggia!”

La lettera è bella, e la sottoscrivo. Solo, mi sconcerta un po’ il Lei, e vi spiego perché.
Con Leonardo, abbiamo trascorso tanti campionati, assieme a suo zio, don Pompeo Scopece, alla curva Nord dello Zaccheria per tifare il Foggia. Tra serie cadetta e massima divisione, quando i satanelli volavano in alto.
Erano gli anni del Foggia di Maestrelli e poi di Puricelli, gli anni della serie A e dei sogni, quando ti sembrava che questa città, la nostra città, fosse proiettata verso alti traguardi, non soltanto dal punto di vista del pallone.
Don Pompeo, viceparroco di San Ciro ed animatore di una delle comunità giovanili più vive che la città ricordi, era un autentico scatenato in curva. Però non perdeva mai la pazienza (salvo quella volta, con Chiarugi che si butta in area, Lattanzi che fischia il rigore… la Fiorentina si salva e il Foggia retrocede). A dirla tutta, non gli era da meno il parroco, don Nicola Cavotta, anche lui fedelissimo dello Zaccherai. Però preferiva una più tranquilla poltrona in tribuna. Don Pompeo, sorridente e solare come sempre, non riusciva a rinunciare al calore e al colore della curva.

Capirete, dati questi trascorsi, perché della lettera di Leonardo “Dino” Scopece mi abbia un attimo disorientato il Lei. Ma riesco a capirlo: Dino deve aver ereditato dal padre Luigi quella discrezione frammista a timidezza, che io stesso ho imparato a conoscere ed ammirare.
Nella redazione di Gioventù Viva, il periodico ciclostilato di quella comunità, che stampavamo a San Ciro, Luigi Scopece era il maestro, il professore. Ma non lo faceva mai pesare. E se doveva correggere qualcuno per un errore, quasi arrossiva.
Dal padre Luigi, Leonardo Scopece ha ereditato quell’amore per Foggia che trasuda dalla poesia paterna, 19 agosto, che ha ricevuto tanti apprezzamenti, a Foggia e fuori Foggia. Proprio oggi Michele Santoro, fondatore e animatore di Facebook Poetico, uno dei gruppi più belli, schietti e sinceri del social network, mi ha annunciato che manderà agli amici del gruppo la bella lirica di Luigi Scopece.
Il figlio è legato al padre anche da questo profondissimo, ineffabile amore per Foggia.
Autore di importanti saggi sulla città, Leonardo mi ha mandato tempo fa un suo preziosissimo libro che ho letto ed amato. Come tutto ciò che amo, dai film, alle canzoni, ai libri, mi è tornato difficile recensirlo di primo acchito. Non sono un critico. Di un libro, di un’opera d’arte mi piace raccontarvi le emozioni che suscitano in me.
Il libro si chiama Foggia, Nido dell’anima, ed è pubblicato da Edizioni del Rosone. La metafora del nido viene declinata da Scopece attraverso quattro dimensioni della città, che sono anche altrettanti sguardi sulla città. Immaginando una Foggia fatta persona, la racconta quale Foggia madre, Foggia sorella, Foggia moglie e Foggia figlia.
Nella prima dimensione materna c’è la storia della città; in quella di sorella la sua contemporaneità, con i suoi problemi, mentre in Foggia moglie vengono raccontate le passioni: in primis, il Foggia, quindi l’Università e l’aeroporto, che vengono da Scopece identificati in un futuro possibile su cui l’autore riflette compiutamente nel capitolo dedicato a Foggia figlia.
Il filo rosso che attraversa ed annoda tutto il volume è l’amore sincero e sconfinato per la città. Un amore così grande da diventare destino indissolubile: «Se nella mia Vita, per ipotesi, fosse possibile scegliere di percorrere un sentiero privo di dolori ed ostacoli – scrive Scopece – e questo sentiero non corrispondesse alle “sorti” di Foggia  non lo sceglierei. Per le stesse ragioni per cui nel destino di un uomo vi sono valori propri, profondi, sacrali… ai quali non dovrebbe essere possibile pensare di non appartenere. Il mio Volo, alto o basso che sia, è qui… negli ambienti, nei luoghi e tra le persone il cui reciproco vivere ed amare mi ha generato e che, accettando, ricambiando o subendo il mio… animano ciò che Foggia è».
L’identità è ovviamente una delle categoria centrali del libro (Scopece analizza con molta lucidità gli effetti provocati sull’identità e sulla memoria cittadina da eventi disastrosi come i bombardamenti), ma va rimarcato come per l’autore, il tratto costitutivo dell’essere foggiano sia rappresentato dalla dimensione comunitaria: il reciproco vivere di ambienti, luoghi e persone nel loro amore che genera.
Il volume si apre con un ricordo del papà Luigi, che è anche uno struggente spaccato di una Foggia d’altri tempi.
“Nelle assolate strade del centro, ancora non soffocate da migliaia di automobili. Dino, pantaloncini corti, osservava per la prima volta in modo distinto la sua città stringendo forte la mano, … mentre il papà, orgoglioso di potergliela mostrare, raccontava … la strada era lunga ma il racconto interessante: Vedi qui sono nato io …qui c’è la Cattedrale …vedi quel palazzo, (C.so V. Emanuele) il 22 luglio del ’43, da quella finestra dell’ultimo piano uscivano fiamme molte alte … a calcio si giocava in Piazza Italia, …che però allora si chiamava XXVIII ottobre, ma a me il calcio non piaceva molto …il Foggia lo vedevo, per stare in compagnia con gli amici salendo sulla “montagnella” dal lato del campo sportivo cbe dà verso l’aeroporto  — la curiosità aumentava e la narrazione diventava avvincente — …dai, adesso andiamo a comprare le mozzarelle! Oggi quella Voce non c’è più ma, giunto alla chiesa del Carmine, distante da casa, chiedo ancora a mio padre di prendermi in braccio per la stanchezza
… quelle braccia ci sono ancora, e sono tutta la mia forza.”

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Author: Geppe Inserra

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