Vincenzo Affatato è stato un foggiano di altri tempi. Uno tra i più grandi uomini di sport che la provincia di Foggia abbia mai avuto, e forse il più vincente di tutti, tenuto conto che della sua lunga e radiosa carriera: è stato non solo un atleta, ma anche un tecnico e infine un dirigente di alto livello.
Per me è stato soprattutto un amico, anzi qualcosa di più di un amico: un faro, un maestro di vita, un padre, una di quelle persone che illuminano il percorso che ti attende e ti rendono più ottimista sul futuro. Una specie di guru, che quando lo hai a fianco, ti fa sentire che niente è impossibile.
Che puoi vincere sempre.
Per tutti quelli che l’hanno conosciuto (e credetemi, sono stati veramente tantissimi) Affatato è stato una persona generosa ed altruista, che cercava di risolvere sempre e prima di tutto i problemi degli altri e non si tirava mai indietro di fronte alle richieste di aiuto.
Con questa filosofia ha creato e poi diretto la Pugilistica Taralli, la società sportiva foggiana (e forse pugliese) che ha vinto più di ogni altra. Tanto per dire, è la sola che possa fregiarsi di una coppa del mondo e di ben quattro partecipazioni olimpiche, con tanto di medaglia di bronzo (quella conquistata da Luciano Bruno, a Los Angeles 1982).
Ho gioito di molte di queste vittorie proprio grazie ad Affatato, che mi volle ai vertici della Taralli, prima come vicepresidente e quindi come presidente. Dovrò raccontarvela, un giorno o l’altro, la storia di questa bella pagina della mia vita, che si è chiusa come ogni volta converrebbe fare con le cose belle.
(Le cose belle finiscono, bisogna saperne prendere atto e voltar pagina, tenendosi la nostalgia e il ricordo).
Oggi vi racconterò del match che Vincenzo “Vic” Affatato avrebbe avuto – capirete dopo perché uso il condizionale – attorno al 20 di agosto del 1944 con il bombardiere nero, quel Joe Louis che aveva fatto incazzare Adolf Hitler, dopo aver mandato al tappeto, al primo round, il pugile tedesco Max Schmeling, una sorte di eroe nazionale dei nazisti tedeschi. (Per amore di verità va detto che si tratta dell’incontro di rivincita, perché il primo se l’era aggiudicato ai punti il tedesco… ma proprio per questo la vittoria di Luis fece ancora più scalpore).
Della tournée foggiana dell’invincibile campione del mondo dei pesi massimi (è rimasto quello con il palmares più consistente: quattordici anni di difese consecutive, tutte vittoriose) avevo sempre sentito dire, ma nonostante i miei tentativi di saperne di più, Vincenzo era sempre rimasto sulle sue, quasi negando che l’incontro ci fosse mai stato.
La cosa mi aveva un po’ meravigliato: Affatato non si lasciava mai pregare quando si trattava di rievocare la storia del pugilato foggiano. Non capivo i motivi di quella ritrosia.
Poi la Gazzetta dello Sport pubblicò un documentato articolo sull’esibizione dello stesso Louis a San Severo. Dunque effettivamente Joe Louis era stato da queste parti. Non era una leggenda metropolitana.
Che l’occupazione americana a Foggia abbia dato un importante contributo per radicare la passione per la boxe, me lo aveva detto proprio Vincenzo, raccontandomi degli incontri organizzati dagli americani nell’attuale sala consiliare del comune (o all’aperto, se la stagione lo consentiva), che lo vedevano spesso protagonista. Doveva essere una delle più capienti sale pubbliche cittadine rimaste in piedi dopo i bombardamenti. Il palazzo municipale era allora sede della Croce Rossa.
La foto qui a fianco è tratta dal numero del 16 giugno 1946 di Foggia Occupator, il giornale pubblicato dalle truppe statunitensi nel periodo dell’occupazione. Vi si vede Affatato (di spalle) mentre sferra un duro colpo allo stomaco di Tony “Zoupa” Zuccarone, un altro pugile foggiano, molto amico di Affatato (anche Zuccarone sarà tra i fondatori della Taralli, di lì a poco). Il match si era disputato qualche giorno prima, il 10 giugno, ed era stato vinto prima del limite da Affatato, per intervento medico. Durante un duro scambio di colpi, fin dalla seconda ripresa, Zuccarone aveva riportato una ferita all’arcata sopracciliare, che non gli consentì di portare a termine il combattimento. “Affatato – scrive l’anonimo cronista di Foggia Occupator – ha conquistato la simpatia del pubblico per l’agilità della sua manovra e per i suoi veloci movimenti di gambe.”
Ovvio che quando si trattò di organizzare l’esibizione di Joe Louis, la scelta dei promotori della serata, quale sparring del leggendario campione, cadesse su Affatato. Così raccontava quella leggenda metropolitana, che l’interessato non aveva però mai confermato né smentito.
Di fronte all’evidenza dell’articolo della Gazzetta dello Sport, Vincenzo non poteva più glissare: si sbottonò nel corso di uno dei tanti viaggi notturni che facevamo assieme in auto, di ritorno da questo o quel torneo o combattimento che aveva visto impegnati uno dei nostri pugili.
In quelle trasferte, generalmente ci avvicendavamo alla guida, e a me spettava l’ultimo tratto. Seduto a fianco del guidatore, Affatato si occupava di tenerne desta l’attenzione: era una miniera di aneddoti, battute, ricordi. Non ci si stancava mai di sentirlo.
Quella notte tornavamo da Mestre, dove Vincenzo Bevilacqua aveva conquistato la vittoria al Torneo Internazionale Italia, ed eravamo contenti. Sul sedile di dietro sonnecchiavano Lorenzo Delli Carri, il “maestro” della Taralli che da Affatato aveva raccolto il testimone della guida tecnica della società, e Andrea Antonacci, padre dell’indimenticabile Pasquale, pugile che sarebbe poi divenuto un bravo imprenditore e presidente della stessa Taralli, purtroppo molto prematuramente strappato alla vita.
Questo concepire il sodalizio come una grande famiglia, in cui prima di tutto prevalessero i rapporti umani, la fraternità, l’amicizia sincera è stata una costante del modo di intendere lo sport (e la vita) di Affatato. E forse il segreto che ha permesso alla Taralli di diventare grande e di conquistare così tanti allori.
Come sempre parlavamo del futuro – se con quella vittoria Bevilacqua poteva aspirare alla convocazione olimpica, quali prospettive adesso gli si schiudevano – e di passato.
Vagheggiavamo di scrivere una storia della Taralli e del suo profondo rapporto con la città, di questo club nato sulla macerie lasciate dai bombardamenti e, con le sue vittorie, divenuto simbolo della volontà dei foggiani di lottare, non arrendersi, fare a pugni col destino.
[E adesso che ricordo e racconto, e il ricordo mi avvolge, diventa struggente il vuoto enorme che mi ha lasciato Vincenzo; adesso, so che quella storia devo proprio raccontarla, perché ogni storia che non viene tramandata si perde nell’oblio. E raccontare significare resistere, custodire.]
Joe Louis, allora. Lo sollecitai a dirmi la verità, una volta per tutte. Com’erano andate le cose? Era vero che quella sera scese dal quadrato non con i propri piedi, ma come si usa dire, in posizione orizzontale?
Vincenzo mi raccontò che esibirsi nelle serate organizzate dagli americani era un modo per sbarcare il lunario, in un tempo assai difficile. La città era stata sventrata dai bombardamenti. C’erano fame e miseria.
Mi raccontò delle serate al Municipio, in cui foggiani e sanseveresi incrociavano i guantoni tra di loro, spesso senza neanche troppa convinzione. (Ricordo d’aver letto sempre su Foggia Occupator di un altro combattimento tra lui e Zuccarone, in cui vennero richiamati entrambi dall’arbitro per scarsa combattività).
Quando si trattò di parlarmi di Joe Louis, sul volto gli si dipinse quella espressione che aveva quando doveva raccontare le sconfitte oppure si rendeva conto che un’impresa era troppo grande, e che forse non era il caso di accettare quella sfida, quell’incontro.
Si limitò a dirmi che Joe Louis fece fare una figuraccia sia a lui che ad altri pugili foggiani che salirono sul quadrato, per quella che in ogni caso fu un’esibizione del campione del mondo e non certo un vero e proprio combattimento. C’era tra l’altro una evidente differenza di peso: Affatato pesava 178 libbre, pari a circa 76 chili, mentre per essere un massimo Joe Louis doveva pesarne almeno 200 (90,72 kg).
Una differenza che si traduceva evidentemente anche in una ben diversa potenza dei colpi che i due pugili erano in grado di sferrare.
Secondo quanto mi raccontò Vincenzo, Joe Luis non fece neanche avvicinare gli sparring partner: li teneva a distanza giocando con il suo allungo, e colpendo quando si facevano troppo avanti. Insomma non era stata una bella serata, per l’amico Vincenzo.
Quando finì di ricordare, compresi finalmente le ragioni della sua ritrosia nel raccontarmi la storia.
Lui e gli altri pugili, erano costretti a salire sul ring, in quegli anni di povertà e di fame, non per ragioni sportive, ma per necessità. Ma una cosa era battersi ad armi pari, una cosa dover prendere parte ad uno spettacolo da circo come fu quello allestito al campo sportivo, che allora non era stato ancora intitolato a Pino Zaccheria, ma era rimasto Campo Sportivo del Littorio, nonostante la caduta del regime.
Affatato e gli altri atleti foggiani, che comunque intascarono una borsa per la loro esibizione, andarono incontro ad una figuraccia annunciata. Lo fecero per portare a casa un pugno di am-lire. Ma qualcosa gli rimase dentro. La volontà di ripartire dopo ogni sconfitta. La volontà di ricostruire.
Il desiderio di riscattarsi e non chinare la testa mai. Neanche davanti al destino.
Perché certe volte il destino puoi anche sovvertirlo.
Ascoltando l’accorata riflessione di Vincenzo, capii anche le ragioni della sua incontenibile esultanza di qualche anno prima, nel 1983, quando il pugile foggiano Luciano Bruno, a Roma, aveva conquistato la Coppa del Mondo battendo lo statunitense Ronny Esset. Vincenzo si era preso la sua rivincita.
Ma questa è un’altra storia, che un giorno o l’altro vi racconterò.
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