Scrivere e scriversi, per esorcizzare rimpianti e rimorsi

“Un Natale all’inizio dei tuoi vent’anni, tua madre ti regalerà un cappotto che le è costato mesi di risparmi. Non guardarla con aria scettica quando ti dirà che pensava che quel cappotto fosse perfetto per te. Non dirle che è troppo lungo, troppo imbottito e forse troppo caldo. Tua madre morirà a primavera. Quel cappotto sarà il suo ultimo regalo per te. Rimpiangerai per il resto della vita di non aver detto quella piccola cosa. Di’ grazie”.
Finisce così la lettera che l’autrice americana Cheryl Strayed, ormai quarantenne, scrive a se stessa ventenne. Il passo viene citato nello splendido editoriale di Giovanni De Mauro nel numero di Internazionale in edicola a Ferragosto di qualche anno fa (2014), dedicato come succede ad ogni Ferragosto, ai viaggio e ai viaggi.
Le parole di Chery Strayed mi hanno colpito molto. Per De Mauro lo scrivere a se stessi più giovani è un modo di viaggiare nel tempo. Ma viaggiare nel tempo, per cercare di non commettere gli errori cui ci hanno indotto i gorghi della vita e le nostre scelte, è anche un antidoto al rimpianto, perfino al rimorso.
Attraverso la parola, la scrittura possiamo (anzi, dovremmo) dire grazie oggi per allora, tutte le volte che non l’abbiamo detto, esorcizzare le tante occasioni che abbiamo perduto, chiedere perdono per tutte le volte che il nostro orgoglio ha sopraffatto la compassione.
Il passato non si può cambiare. Gli errori resteranno errori. Soprattutto le omissioni: tutte le parole non dette, tutti i gesti non compiuti. Ma la parola può in qualche modo riempire la cesura tra il presente e il vuoto del passato: possiamo dire, oggi, quel che abbiamo taciuto o malinteso ieri.
Chi volesse leggere interamente l’editoriale di Giovanni De Mauro, intitolato semplicemente “Tempo” lo trova qui; Internazionale lo rende disponibile con licenza Creative Commons.
De Mauro è per me un’obbligatoria quanto sempre appagante lettura settimanale. Così come il numero estivo della rivista è un mio modo di fare le vacanze, attraverso la lettura.
L’articolo di De Mauro sul tempo e la parola che può colmarlo è una digressione alla filosofia di fondo del Viaggio annualmente confezionato dalla redazione di Internazionale. Attraverso la parola, possiamo normalmente viaggiare nello spazio. Quest’estate sono già stato in Brasile e in Perù, attraversando la leggendaria autostrada Interoceanica;  ho mangiato zuppa di barbabietole rosse in una classica latteria di Varsavia, in Mali ho visto i manoscritti africani prodigiosamente scampati appiccato nel 2013 dai miliziani jihadisti. E tante tappe ancora mi attendono di un viaggio che non è soltanto attraverso la parole, ma un po’ dentro se stessi. Come ogni viaggio, del resto.

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Author: Geppe Inserra

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