San Basilio, la più antica chiesa di Troia |
Giovanni Aquilino interviene nel dibattito aperto da Federico Ceschin con una nota assai ricca di spunti di riflessione, della quale lo ringrazio. Aquilino è tra gli ideatori e gli animatori del progetto Daunia Vetus. In passato è stato, assieme a chi scrive, tra gli animatori del gruppo nato attorno a due importanti iniziative di comunicazioni che ebbero origine a Troia: Radio Studio 98 e La Refola.
Di seguito le riflessioni di Giovanni. In una prossima lettera meridiana, la mia risposta.
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Leggo con piacere lo scambio di idee e di disponibilità tra Geppe e Federico e rimango convinto che la relazione e la fiducia siano alla base della produzione di “Capitale sociale” così mi permetto di intervenire su un argomento tanto vecchio quanto sempre attuale, come quello della valorizzazione del patrimonio storico-artistico-ambientale-etnologico della provincia di Foggia, per condividere alcuni pensieri.
Vorrei ricordare a Geppe che già alla fine degli anni ‘80 dalle pagine delle sue tante iniziative editoriali “La refola”, “La Capitanata”, “Pagine”, il tema della sinergia dei talenti territoriali dell’intera provincia era questione cruciale. La mostra fotografica itinerante intitolata: “fotoitinerario” ideata per portare le colline daune sul Gargano d’estate ebbe un ottimo successo, così come la prima conferenza delle Comunità Montane della Provincia (tenutasi al “Museo Tancredi” di Monte Sant’Angelo) era tesa a stabilire contatti e programmi comuni dei territori sotto l’egida dell’Ente Provincia allora presieduto da un garganico doc come Michele Protano; erano azioni pratiche tese ad avviare un processo osmotico tra la “Montagna del sole” e le “Colline della storia”: Ambiente ed Arte, Storia e Demoetnoantroplogia, (più prosaicamente: mare e collina, pesce e carne, verdure e mitili, fichi d’india e castagne…); per non parlare della Radio (Radio Studio 98, n.d.r.) di livello regionale che doveva diventare il canale d’informazione principe dell’intera provincia.
A distanza di decenni possiamo dire che coltivare quel sogno che era stato di altri prima di noi, non era un ambizioso “progetto avveniristico”. Non volevamo mettere a sistema il patrimonio in dote al territorio (come si direbbe oggi): era solo un esercizio di ruspante buonsenso, l’evidenza delle “cose” messe a disposizione dalla natura e dalla storia unita ad una semplicità di intenti e condita con abbondante passione. Ogni volta però si andava alla ricerca del contatto con chi prima si era speso per queste stesse idee e l’elenco dei nomi qui sarebbe lungo e non è il caso di citare per evitare spiacevoli dimenticanze.
Dall’esperienza di questi anni l’idea che mi sono fatto è che spesso si vuole cogliere il risultato senza cercare radici, concimarle, innaffiarle. Si anela il frutto senza la fatica del coltivare, senza la trepidazione dell’attesa, senza emozionarsi per le fasi del percorso.
Magari se tutti, come te, avessero saputo cogliere l’emozione della meraviglia per l’assoluta assonanza tra l’ incanto della Grotta dell’Angelo (San Michele) di Cagnano Varano e la stessa sospesa atmosfera di spiritualità che procura la visita alla chiesetta di San Basilio Magno a Troia, in tanti avrebbero avuto gli stessi pensieri e magari potevano provare a sentire in un “tuttuno” i colori del Gargano e l’aria leggera delle colline daune, la forza del mare e la calma dei campi, la fiera durezza delle rocce e la morbida dolcezza delle valli, ma allora come oggi: così non è.
I documentari che hai promosso e realizzato per le Colline daune e per il Gargano erano le premesse di un discorso divulgativo, venato di una tensione didattica, rivolta alle comunità provinciali, teso a far conoscere amare e rispettare la “Capitanatatutta” e non solo il campanile per il quale si “tifa”. A pensarci meglio credo che tu ti sia spinto anche oltre le “vertigini della memoria”, infatti hai provato a dare alla Capitanata un respiro ampio rinverdendo il legame ancestrale che c’era tra i vari territori delle aree interne dell’Italia centro-meridionale ritessendone i rapporti e percorrendone le strade che in Capitanata facevano snodo e che portavano al mare, alle terre d’oriente (unico altro mondo allora possibile).
Tutte le manifestazioni sulla transumanza hanno illustrato, negli anni, che i dauni, gli irpini, i sanniti, gli oschi, i peligni, fino ai latini e ai piceni erano popoli in qualche maniera legati, intrecciati per questioni “economiche” e sociali essi si sono frequentati e contaminati, avversati e mischiati e nel vivere hanno scritto la storia di questi territori.
Uno dei problemi della post-modernità è la ineluttabile condanna a ripetere sempre le stesse cose, ogni volta è una nuova partenza che inizia da nessuna memoria. Sono inizi senza storia. È un vorticoso mulinare di iniziative e di idee “sempre nuove”, che si ripetono con alcune varianti all’infinito e che inevitabilmente buttando alle ortiche speranze, pensieri, lavoro, opere ed omissioni, inaridendo entusiasmi e consumando preziose energie. Insomma se sprechiamo il nostro carburante per fare sempre la stessa strada, non ne avremo altro per andare un po’ più in là e quando si conquista qualche metro in più il costo risulta improbo.
Lo so, le cose cambiano e le persone pure e questo si può accettare quello che non si comprende è perché ognuno crede di essere il primo, l’unico, il solo, l’originale a pensarla così.
Ognuno ha un progetto bello e accattivante ma quasi sempre onnivoro, così si ripete lo stesso meccanismo del “tifo” campanilistico, infatti ognuno rimane nel suo bel progettino convinto che sia il migliore e naturalmente il più titolato a dover inglobare gli altri (e mi fermo qui).
Questa non è una prassi: è una iattura. Se almeno ci fosse una sorta di memoria/intelligenza collettiva (giammai per omologare) capace di fare sintesi di tenere insieme tutti i sedimenti e solidificarli sarebbe possibile ripartire da basi sempre più solide.
Mi sono convinto che quello che manca è proprio questo.
A fonte di una straordinaria disponibilità di capitale umano (capace di ogni talento e di infinita creatività), alla benedizione del cielo e alle testimonianze della storia quello che ci fa difetto è un reciproco, rispettoso e arricchente “fareassieme”.
Il segreto per produrre capitale sociale sta tutto qui, avere fiducia negli altri, avere rispetto delle regole e sentirsi parte di un percorso condiviso e da condividere con tutti (o almeno con quelli che ci stanno), sapendo che ognuno è un tratto del percorso ma per quanto breve esso possa essere riamane importante e significativo.
Dunque, sarebbe bello, se ognuno in piena libertà ed autonomia potesse elaborare il suo “pezzo di strada” in direzione della valorizzazione della nostra terra e del nostro modo di vivere, sicuro di non dovere iniziare sempre da zero ma che guardandosi intorno con attenzione e “benevolenza” potrebbe anche cominciare “da tre”.
Giovanni Aquilino
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