19 agosto 1943, l’apocalisse foggiana in una struggente poesia di Luigi Scopece

Ho recuperato la poesia di Luigi Scopece che pubblico in questa lettera meridiana, intitolata 19 agosto 1943, da un vecchio numero della collezione rilegata di Gioventù Viva, periodico ciclostilato della Gioventù di Azione Cattolica della parrocchia di San Ciro, che cominciò le sue pubblicazioni l’8 marzo del 1970 e dove ho cominciato a muovere i miei primi(ssimi) passi di cronista.
Posseggo i numeri rilegati, perché me ne fece dono don Pompeo Scopece, viceparroco di San Ciro ed instancabile editore di Gioventù Viva, nonché fratello dell’autore della lirica, che possiede un grande valore sia dal punto di vista poetico che da quello storico.
Non entro nel merito del primo, perché non sono un critico letterario e perché ritengo che una poesia così, per il carico di emozioni che esprime, vada semplicemente letta, possibilmente più con l’anima e con il cuore, che con la testa.
Mi preme però dire qualcosa di più sul suo aspetto quale documento storico.
L’incursione del 19 agosto 1943 fu la più pesante dal punto di vista delle vittime: 9.581, cioè quasi duemila in più rispetto ai caduti civili e militari provocati dal bombardamento del 22 luglio, data in cui si celebra tradizionalmente l’anniversario della tragica estate del 1943.
Sui danni effettivi dei bombardamenti del 19 agosto si è molto discusso. Secondo quanti pensano che il numero ufficiale delle vittime (22.000 in tutto) è stato esagerato, il dato più incerto e critico è proprio quello che riguarda l’incursione del 19 agosto. La tesi riduzionista è che, colpita durissimamente già il 22 luglio, la città si era ormai svuotata. Buona parte della popolazione era “sfollata” nei centri del Gargano e dei Monti Dauni. Ma la poesia dice il contrario.

Luigi Scopece non fu tra gli sfollati: racconta gli eventi in presa diretta, per averli personalmente vissuti e sceglie proprio la data del 19 agosto per denunciare l’atrocità dei raid aerei degli alleati. Dai suoi versi emerge chiaramente l’immagine di una città tutt’altro che vuota: “La gente, sbiancata da notti d’insonnia,/ da fame e deliri, oggi / ancora più stanca, scende / interminabili scale / di inermi rifugi / e attende / paziente, la morte.”
La poesia disegna uno scenario apocalittico, confermando implicitamente che quella del 19 agosto del 1943 è stata tra le giornate più luttuose che la città ha vissuto nella sua storia.
Quanto al numero esatto delle vittime l’ho sempre ritenuta una questione di lana caprina. Quel giorno a Foggia fu purtroppo il trionfo dell’umana barbarie e della morte che – come dice Luigi Scopece – “nell’aria, falcia le case e le vite / quante vite… tante, tante.”
Non è importante stabilire quanti furono esattamente i morti: per l’orrore non c’è statistica.
Furono comunque tante vite. Furono comunque troppe vite, immolate sull’altare di una guerra assurda, come sono assurde tutte le guerre.
La poesia comparve prima che su Gioventù Viva, nel numero 4-5 del 1969 della rivista di cultura “Il meglio”.
Ho avuto la fortuna di conoscere personalmente Luigi Scopece: personaggio integerrimo, di raro spessore morale e culturale, profondamente innamorato della sua città, amore che ha trasfuso ai suoi figli. Leonardo Scopece, docente di letteratura, è autore di diverse apprezzate pubblicazioni su Foggia (e io gli sono debitore di diverse recensioni…).
L’integrità morale e culturale di Luigi Scopece, la sua rara capacità poetica sono delle ulteriori, ottime ragioni per ritenere la poesia 19 agosto 1943 un documento di riscoprire.
[La foto del post è tratta dal sito Foggia in guerra, e mostra i danni provocati alla Stazione Ferroviaria].

19 agosto 1943
Quel giorno assolato d’estate
dal sudore di febbre e dall’incubo
cupo di piombo, sapeva di paglia
bruciata, di sole accecante
e di calce disinfettante
buttata qua e là da radi soldati
del genio, sulle interiora
delle carogne dei muli
disseminati dovunque da una prima
picchiata nemica.
Sapeva, quel giorno d’estate
dei sogni pesanti
di bimbi malati; sogni
nel quali, talvolta pare
che un mostro s’avanzi feroce
mentre noi impotenti e inermi
non riusciamo a fuggire lontano.

Preallarme alle nove, alle dieci…
Preallarme ogni ora, ogni istante:
sempre.
E sempre, al silenzio,
succede lo stridulo urlo selvaggio
d’allarme:
la voce dolente diFoggia
che piange le piaghe de’ figli
sepolti dal ferro rovente
sotto mille montagne di polvere
e di rovine|

19 agosto, ora zero!
La gente, sbiancata da notti d’insonnia,
da fame e deliri, oggi
ancora più stanca, scende
interminabili scale
di inermi rifugi
    e attende
paziente, la morte.
Il nitido cielo rimbomba
la terra sussulta
fra continui boati.

Nel rifugio, ove cerei grappoli
d’ombre guardano il Cielo,
tremano i pali di legno
che puntellano il tremulo soffitto,
s’aprono le porte d’acciaio;
entra un denso fumo asfissiante.
La gente, pallida, cade riversa
ammucchiata, come cenci buttati
e grida
preghiere o bestemmie
e muta, impazzita, incenerita
aspetta, aspetta, la fine!

19 agosto, ora zero!
Il nemico torna a ondate continue.
Oscura con ali di morte
il sole accecante e la vita.
E la morte, nell’aria,
falcia le case e le vite
    quante vite…
tante,
tante.
Confusi brandelli di carne e di sangue
alle schegge di ferro rovente
e di polvere nera:
tutta Foggia è una nuvola nera,
una brace enorme per cremare i defunti!

Quando, dopo interminabili ore torna
il silenzio di tomba
escono i superstiti
dalle superstiti
    rarissime case
intatte, cercando, come famelici cani
fra le rovine e il crepitare degli incendi
i cari sepolti!
Cari, al quali, poche ore prima
avean parlato,
rapito un sorriso e un bacio…
avean promesso: passerà la bufera…
Cari che adesso, se scoperti interi,
nell’improvviso sepolcro
non han più la bocca, e le guance, e gli occhi.
E il sorriso non è che una smorfia crudele
di morte, pesta e annerita di sangue
rappreso, confuso alla polve.
    E d’intorno,
quella che fu una casa di vivi
è ora soltanto un funereo cippo
eretto, sinistro, contro al cielo annerito,
fumante.
E gli occhi dei vivi non han lacrime
o preci, o fiori da dare
ai cari defunti.
Hanno solo un tremore profondo nel cuore
e uno sguardo
che, assente,
mira tutto d’intorno
e non vede… un fioco lamento
di bimbo atterrito
da una notte sì nera!
Luigi Scopece

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Author: Geppe Inserra

2 thoughts on “19 agosto 1943, l’apocalisse foggiana in una struggente poesia di Luigi Scopece

  1. Gent.mo Dott. Geppe Inserra
    Desidero esprimerLe il mio più sentito ringraziamento per aver
    ricordato, attraverso la pubblicazione (su Lettere meridiane) della poesia
    19 agosto, uno dei momenti più drammatici della storia della nostra
    Foggia, e per aver, nel contempo, reso onore all'immagine di mio padre. A
    Lui, papà meraviglioso,e ai "fratelli" foggiani di ogni tempo rivolgo il
    mio pensiero…
    Nelle vicissitudini dell'umano vivere nulla mi rende più "orgoglioso"
    dell'essere figlio di questa meravigliosa città. Viva Foggia !
    Prof. Leonardo Scopece (dinoscopece@alice.it)

  2. Purtroppo, dopo anni di battaglie allo scopo di rendere noti gli"ECCIDI" da parte degli anglo- americani, resto sgomernto di fronte al completo menefreghismo da parte dei mass media nazionali e regionali – Manco una parola nei vari TG -Proprio ieri parlando con una persona , mi son sentito dire: MA QUANDO E' SUCCESSO??????????? -Finquanto l'accaduto resterà noto solo a noi foggiani..e nemmeno – questi accadimenti saranno pian piano completamente dimenticati –
    …questa mia "poesia" è del 1998 -Foğğe sott‘ 'e bbumbardamènde

    Strarepaminde, murte e inondazziùne,
    ce stanne dappettùtte, andò vàja vàje;
    cendràle atomeke, ‘a guèrre in Jugoslavije,
    Somalije, Iran, Irakke e ati uàje.

    Nen manghene ‘i rekurde d’u passàte;
    ormàje stanne stambàte aìnd’a mènde;
    ‘u quìnece diciotte e ‘u trèndanòve,
    felmàte dall’Oriènde all’Occidènde.

    ‘I véde tùttequande, k’a speranze,
    kè Foğğe fosse amméne menduàte;
    nisciùne ha màje parlàte d’u martìrije,
    kè ‘sta cettà purtroppe ha suppurtàte.

    Ere ‘u quarandatrè, nen ğe stéve angòre;
    ‘a guèrre s’ere fatte kkiù krudéle;
    ‘a ğğènde kè kiagnéve e s’ammucciàve,
    nda kkise d’a *Madonn‘I Sètte Véle.

    De quèlla Foğğe, nen rumanìje kkiù ninde!
    Kàse e palazze: tùtte skuffelàte!
    Sapìte quanda ğğènde restàje sotte ?
    Vìndemìledujecindenuvandotte.

    Na medaglie pe ndùtte ha avùte Foğğe!
    Sègni** l’appezzekàje mbacc‘a bbandire;
    de glorije sòle e sckìtte nu mumènde,
    p’a morte de tand’aneme nnucènde.

    Note :
    Andò vàja vàje = ovunque si vada
    Uàje = guai
    Menduàte = nominata
    Nge stéve angore = non ero ancora nato
    Kiagnéve = piangeva
    S’ammucciàve = si nascondeva
    Skuffelàte = abbattuti, diroccati

    *Santa Protettrice di Foggia
    **Antonio Segni, Presidente del Consiglio dei Ministri nel 1959, in nome e per conto del governo, conferì alla città di Foggia la medaglia d’oro al valor civile.
    Nota: il 2 maggio 2006 il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, ha conferito alla città di Foggia anche la medaglia al valor militare, consegnata il 25 aprile 2007, dinanzi all’altare della patria, dal subentrato presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano…. consegnata ….furtivamente ….e sottaciuta!!!!

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