Tra i molti commenti degli amici e dei lettori di Lettere Meridiane ai diversi post che ho pubblicato in occasione del 71° anniversario dei bombardamenti, merita una riflessione particolare quello di Lino D’Onofrio, che scrive: “Io in quei giorni c’ero; essendo un neonato di tre mesi correvo in braccio a mia madre e chissà come piangevo. Però i nostri genitori non sono scappati in Svizzera a chiedere asilo politico. sono rimasti in Italia a soffrire e farci soffrire senza mangiare e senza vestiti. Il tutto è continuato per anni , finché non sono riusciti a riprendersi insieme ai pochi scampati. Per anni abbiamo osservato Foggia distrutta. Quelle immagini della mia infanzia non le dimenticherò mai. Però ho visto la mia Foggia rinascere ed ora sono spettatore della sua decadenza. Povera Foggia.”
Le parole di Lino mi hanno provocato una stretta al cuore. Sono nato nel 1954 e non ho diretta memoria dei difficilissimi anni dell’immediato dopoguerra. Il ricordo della Foggia della mia infanzia è quello di una città tranquilla ed operosa, che cresceva, dove ancora potevi lasciare aperta la porta di casa senza timore che ti derubassero, e le relazioni nel vicinato erano saldissime. Non c’era domenica che non si dovesse fare visita a questo o a quel compare.
Le ferite della guerra, quelle c’erano. Potevi vedere ancora palazzi sventrati dalle bombe. Genitori e nonni accennavano vagamente al conflitto e ai bombardamenti. Glissavano, preferivano non parlarne. Non era ancora il momento di ricordare, ma piuttosto quello di ricostruire.
E ho visto Foggia ricostruirsi e diventare grande. Ho visto nascere una periferia non bellissima, piuttosto anonima, segnala dall’urgenza di opere pubbliche come la Scuola Media De Santis realizzata nel suolo dove sorgeva una volta il Tiro a Segno, circondato da un bellissimo giardino e frondosi alberi, che nella mia fantasia di bambino erano una specie di foresta incantata.
I genitori di Lino D’Onofrio sono stati degli eroi sommessi. Appartengono a quella generazioni di foggiani sopravvissuti alle bombe, che si sono resi protagonisti di un miracolo silenzioso, mai onorato dalla cronaca e dalla storia quanto avrebbe meritato. Perché ricostruire una città che aveva avuto l’80 per cento dei suoi palazzi danneggiati dalla furia devastatrice della guerra non è cosa da poco. È una impresa civile straordinaria.
Per questo, caro Lino, io sostengo con tutte le mia forze che non bisogna dimenticare. Ricordare è il primo antidoto alla decadenza che ci circonda, alla tentazione di arrendersi e di lasciarsi andare.
Lo scorso anno, il 70° anniversario della tragica estate del 1943 è stato giustamente celebrato con una serie di iniziative importanti legate dal comune denominatore del recupero della memoria.
Stranamente, assai poco si sta facendo per ricordare la ricostruzione. Ricordare la distruzione e la morte è necessario, perché certi orrori non si ripetano. Ma è altrettanto importante ricordare quanti con le lacrime ancora agli occhi, si rimboccarono le maniche e riuscirono a dare un futuro alle generazioni a venire.
Di quello sforzo immane siamo gli eredi. Ricordare è il primo passo da muovere per esserne all’altezza.
(Nella foto, pubblicata da Marco Scarpiello in Foggia ricordi del cuore, Foggia negli anni Cinquanta)
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