Ceschin: l’eterna controra di Foggia

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Carissimo Geppe, buon giorno.
Avverto la necessità di condividere alcune riflessioni in merito al dibattito che puntualmente ritrovo nelle tue Lettere Meridiane.
Per il quale ancora ti ringrazio.
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Stimo che numerose mie posizioni personali siano note. Non tanto per il manifesto di “Daunia & Gargano” (che in verità era frutto di una riflessione collettiva di cui mi sono reso semplice portavoce, tentando di esaltare il contributo di magnifiche teste pensanti), che pure ha germogliato frutti importanti, se consideriamo che oggi tutte le istituzioni hanno recepito – più o meno consapevolmente, più o meno volentieri – l’idea di un sistema turistico unitario su base provinciale. Nel brand “Puglia”, oggi c’è “Gargano e Daunia”, mentre soltanto qualche anno fa il Gargano era rappresentato nelle fiere da cinque stand, uno per ciascuno degli Enti che ritenevano di aver titolo ad occuparsi di promozione territoriale, senza alcun coordinamento e dimenticando completamente gli altri territori.
Posizioni note ancor meno per il libro “Vivere di Puglia”, che ha tentato di riassumere i motivi e gli strumenti per ridare fiato all’economia territoriale, riscuotendo paradossalmente maggiori entusiasmi in altre province. La sua visione di fondo risulta probabilmente troppo ancorata a fattori intangibili quali la bellezza, il paesaggio, i beni culturali, le aree archeologiche, l’identità territoriale, la cultura popolare, i riti devozionali, la mobilità lenta, i piccoli comuni e i borghi, la dimensione dolce della vita nell’entroterra, le matrici rurali, i tratturi e le antiche vie di pellegrinaggio come trama per alimentare una narrazione unitaria dei territori ampi e plurali che costituiscono la straordinaria offerta di questo lembo di terra immerso nel Mediterraneo.
Idee e principi tutt’altro che intangibili, se per un istante si misurassero le risorse europee e ministeriali che hanno premiato questo approccio e queste progettazioni. E invece, caro Geppe, pensa che nel corso di un incontro formale presso un Ente territoriale mi è stato detto: “Pensavamo lei si occupasse di sviluppo, non di poesia. Noi siamo qui per promuovere economia, non per fare cultura. Le imprese del territorio non vivono di aria fritta”. Certo ricorderò la lezione.

Le mie elucubrazioni hanno raggiunto qualche pubblico grazie all’attenzione di persone come te, come Piero Paciello, come Micky de Finis, sensibili e attente, che non lasciano rimbalzare una palla due volte prima di raccoglierla. Tramite momenti di comunicazione che hanno offerto enfasi a mie suggestioni sui sistemi di gestione, sulla pianificazione comprensoriale, sul ruolo che la pubblica amministrazione dovrebbe esercitare, sulle alternative alle grandi opere, sulla futilità di obiettivi indicati come strategici che invece rispondono a criteri parziali e spesso sostenuti da convincimenti di breve periodo, privi di un respiro coerente con lo spirito dei luoghi e con la proiezione nei mercati e nel futuro.
A febbraio 2015 saranno dieci anni dacché son giunto in Puglia la prima volta e, dopo questo tempo, non ho un solo motivo di ripensamento.
Sono peraltro i numeri a darmi conforto: in questo tempo, il PIL regionale della cultura e del turismo è aumentato fino a diventare il primo, superando persino l’edilizia; la Puglia è diventata la prima regione per percentuale di posti letto occupati, seppur limitatamente al mese di agosto; il numero degli arrivi è in costante aumento, con 13,3 milioni di presenze turistiche rilevate nel 2013 (cui occorrerebbe aggiungere 56,3 milioni di presenze “non rilevate”); la crescita delle presenze turistiche straniere è stata nell’annus horribilis 2012 pari al +5%, contro il +2,3% nazionale.
E oltre i numeri, andrebbe ricordato che negli ultimi quattro anni è stata ridisegnata l’intera normativa turistica, riformata la governance, abolite le APT, fondata l’Agenzia regionale del Turismo Pugliapromozione, riviste le regole del settore extra-alberghiero e regolamentate le professioni turistiche, nel tentativo di fornire un’ossatura stabile alla Puglia che nel frattempo diveniva la destinazione preferita sui mercati secondo tutte le rilevazioni più autorevoli e indipendenti.
Bene, molto bene, ma quale Puglia? Dall’Ofanto in giù? Perché questa tendenza produce effetti minori nella Daunia e nel Gargano? Tutta colpa di Bari matrigna? Oppure, ancora, per quanto tempo sarà sufficiente citare il numero di posti letto – gonfiati dall’effetto Giubileo di San Giovanni Rotondo – o i primati della sola Vieste per dirsi provincia turistica?
Non ho una risposta. Mi limito ad osservare che la redazione del Manifesto di Daunia & Gargano mi offrì il privilegio di confrontarmi con persone come Rino Lamarucciola, Mario Simonelli, Edoardo Beccia, Costantino Squeo, Michelangelo Lombardi, Gennaro Giuliani, Luigi Damiani, mentre l’economia provinciale era rappresentata da un signor agricoltore come Luigi Lepri, al vertice dell’Università foggiana c’era una persona di spessore culturale come Giulio Volpe e sul territorio c’erano motivi di effervescenza straordinaria che avevano dato vita ad una rete di Festival che appariva in grado di farsi palestra di eccellenze, diventare protagonista e risorsa per il territorio. E c’era un Ente Provincia che, con tutti i limiti nei quali era compresso, sapeva essere protagonista della vita culturale, con amministratori come Billa Consiglio in prima linea nella missione impossibile di creare valore con le scarne risorse a disposizione di assessorati “secondari” come Turismo e Cultura, garantendo sia l’hardware (l’infrastruttura culturale di teatri e biblioteche) che il software (momenti straordinari di spettacolo e di cultura).
Se chiedi dove sia finito il dibattito sulla visione di territorio che quella classe di sindaci e amministratori aveva sostenuto, ti ritrovi a riflettere sulla parabola riservata a rassegne come “Suoni in Cava” o “Terravecchia in Folk”. Oppure sulla scomparsa di interi movimenti giovanili (su tutti cito “ACT Monti Dauni”, sperando di non far torto a nessuno), spariti nel silenzio senza che potesse esserne recuperata almeno l’esperienza.
Temo che risposte e soluzioni non possano essere iscritte nelle statistiche o nelle “classifiche” sempre più improbabili che ormai si sprecano settimanalmente sui social network, che fanno parlare di sé per il tempo necessario a piegare l’ombrellone e trasferirsi a tavola.
A volte ho la sensazione di vivere in una eterna “controra”, quando a Foggia persino i semafori lampeggiano: un capoluogo che non riesce a vedere la propria bellezza e quindi ancor meno a percepire quella – indiscutibile – che lo circonda. Che fa sempre i conti con ciò che manca piuttosto che valorizzare ciò che possiede (a partire dai talenti). Che nella migliore delle ipotesi traguarda obiettivi dettati dalle continue emergenze, senza mai fermare le macchine per proiettarsi qualche anno più in là. Che cede al fatalismo come autodifesa. Che cerca sempre capri espiatori altri e terzi, additando ora Bari, ora il Salento, ora il Governo, ora l’Europa, tutti sul banco degli imputati, mentre nel frattempo continuano a giungere centinaia di milioni di euro dalla programmazione comunitaria e regionale.
Non possiedo ricette. Continuo soltanto a ritenere sia necessaria una visione unitaria e condivisa, che parta dai punti di forza e di debolezza, che affronti le criticità e sostenga convintamente le opportunità, che sappia unirsi per sostenere interessi diffusi – come in queste ore, che rischiano di vedere Foggia esclusa anche dall’alta capacità ferroviaria! – che sappia arricchirsi nelle differenze sottraendole alla miopia del campanilismo esasperato, che innesti il territorio provinciale convintamente nel brand “Puglia”, che possa competere con la Croazia e il Montenegro persino alleandosi con il Salento (prima che emergano sui mercati altri competitor ancor più agguerriti), che si sottragga alla concorrenza interna fondata solo sulla leva del prezzo, sempre più in basso, che differenzi il prodotto turistico dal solo balneare, ma che soprattutto diffonda un nuovo concetto di benessere, derivato da un più ampio senso civico, di accoglienza e ospitalità, piuttosto che dalla introduzione della tassa di soggiorno o dal ricavo dei parcheggi in riva al mare!
Concedimi di ribadire ancora una volta, caro Geppe, che non servono grandi opere ma un impegno puntuale, diffuso e coerente, alla causa della bellezza. Prima di pensare a nuove gallerie e trafori della Montagna Sacra, ponti sul mare e tra le isole, altri porti turistici, nuove zone di insediamento produttivo o parchi energetici – che hanno dimostrato tutta la caducità dell’investimento – spero che questa terra possa contare su interventi atti a ripartire dall’ordine pubblico e dal restituire un senso di sicurezza, dal rispetto per i beni comuni e per l’altrui, da un piano straordinario di micro interventi diffusi e mirati a restituire dignità ai luoghi, dalla raccolta differenziata, dal trasporto e dai servizi pubblici, dall’incoraggiare gli spostamenti a piedi e in bicicletta, dalla conoscenza dell’incredibile patrimonio ereditato dai padri, dalla scuola e dalla ricerca.
Non s’avverte la necessità di altre opere incompiute (http://www.foggiatoday.it/economia/anagrafe-opere-pubbliche-incompiute-provincia-foggia.html), né di nuovi protagonismi. I veri eroi, oggi, vivono nella quotidianità più anonima: sono gli artigiani che resistono, i commercianti che ogni giorno alzano la serranda e riescono a trovare un sorriso per chi entra a bottega, gli operatori turistici che innovano, gli agricoltori che non mollano il presidio dell’entroterra, gli allevatori che sanno guardare con piena dignità al futuro dei propri figli, le forze dell’ordine che non si sottraggono al dovere, chiunque non abusi del proprio ufficio e tutti noi, dai rispettivi ruoli, a partire da quello di cittadini, pienamente titolari di diritti e di doveri.
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Ti abbraccio. Un caro saluto.
Federico Massimo Ceschin

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Author: Geppe Inserra

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