In occasione della scomparsa di Enrico Berlinguer, di cui l’11 giugno 2014 ricorre il trentesimo anniversario, il periodico Il Controverso uscì in un’edizione straordinaria dedicata al segretario del Pci. Scrissi per quel numero un articolo intitolato “Addio, piccolo grande uomo“, in cui raccontavo la reazione dei foggiani, il viaggio fino a Roma, i memorabili funerali. Ecco l’articolo.
È bello poter dire: c’eravamo anche noi, il “popolo comunista” di Capitanata si è mosso. Tremilacinquecento, quattromila, forse più.
Impossibile azzardare una stima precisa: da quando hanno saputo, sono partiti in tanti, a tutte le ore, con le auto, con i treni, con i pullman. L’importante è esserci: una mobilitazione spontanea, massiccia, generosa, che fa andare a ruota libera i ricordi: quando morì Di Vittorio… quando morì Togliatti… l’imponente manifestazione sulla pace di ottobre… e appena tre mesi fa, ma è già storia, la marcia per difendere il salario.
Come allora, come il 24 marzo, eccoci, Enrico: per salutarti un’ultima volta, per dirti grazie, per raccogliere il tuo ultimo appello, il più nobile e il più coraggioso: siamo qui, siamo con te, saremo sempre con te.
Da Foggia siamo partiti alle prime luci dell’alba. Ma in tanti sono già partiti prima. Da Cerignola, la vecchia “roccaforte” rossa che proprio Berlinguer incitò dalla tribuna dell’ultimo congresso provinciale, sono partiti a mezzanotte. In tempo per vederlo, una volta ancora. Ma anche da Foggia la mobilitazione è stata imponente. Già alle tre e mezzo del mattino, piazza Cavour ha preso ad animarsi. Sono giunti per prima i pensionati, dal CEP sono arrivati, a piedi, poi via via gli altri. C’è perfino un condominio, tutt’intero: è quello della Cooperativa “Amicizia Casa”, div’ era stata improvvisata una veglia notturna. Alle 4 tutti pronti per partire. E così si va. In silenzio: i dirigenti del partito e del sindacato non devono sbracciarsi più di tanto per organizzare i passeggeri. C’è una voglia di puntualità che accomuna tutti.
Anche in viaggio si parla poco. Soprattutto, parlano i ricordi: tutte le volte che Berlinguer è venuto a Foggia, il suo particolare rapporto con la Federazione di Capitanata, una delle più grandi del Mezzogiorno, la sua presenza all’ultimo congresso provinciale del Partito, quando seguì personalmente tutti i tre giorni di lavoro.
Era un momento difficile per il partito. Berlinguer volle esserci, dal primo all’ultimo momento del congresso, compagno a fianco ai compagni, che cercavamo in quel momento una difficile unità. Ma il suo contributo, la sua schiettezza, la sua straordinaria onestà intellettuale, riuscirono a ottenere l’improbabile risultato.
Parlò al Flagella, davanti a tutti, comunisti e non. Non nascose le difficoltà, le affrontò con coraggio; concluse con un appello alla mobilitazione e all’unità. Proprio come a Padova.
E, mentre i pullman viaggiano alla volta di Roma, si vede che questa unità è stata ritrovata tutt’intera, oggi. Nel segno di Berlinguer, il partito di Di Vittorio, di Allegato, di Imperiale è di nuovo quel grande partito, che ha fatto della Capitanata una delle province più rosse del Sud.
Quando arriviamo a Roma, il sole è già alto all’orizzonte. Alla stanchezza del viaggio si contrappunta la voglia di non perdere nessuno dei momenti di questa giornata romana. Di viverli fino in fondo.
Il pullman deve fermarsi lontano, a Cinecittà. Più avanti non è possibile andare, perché il centro è già bloccato. Qualche centinaio di metri più avanti, si sta già formando la testa del corteo che dovrà raggiungere piazza S. Giovanni.
Alcuni preferiscono prendere la metropolitana, per raggiungere via delle Botteghe Oscure, dove partirà il corteo funebre. Anche quest’impresa è però difficile. Le vie sono già transennate: via delle Botteghe Oscure è piena di gente. Sono le 10 del mattino, e la stessa piazza S. Giovanni comincia a riempirsi.
Alla meglio si cerca un posto, uno qualsiasi, da dove osservare e partecipare: dietro le transenne, sui marciapiedi, perfino su qualche auto in sosta.
Va a ruba l’edizione straordinaria che l’Unità ha pubblicato per il funerale. La prima pagina diventa una bandiera: “Addio”, dice il titolo a nove colonne. Alle tre del pomeriggio, gli altoparlanti cominciano a diffondere musica classica, proprio mentre da via delle Botteghe Oscure parte il corteo funebre. S’innalza e prende a volteggiare l’elicottero della RAI. L’attesa diventa adesso febbrile sotto il sole cocente, mentre dall’altoparlante sempre più spesso viene diffuso l’invito a coprirsi la testa.
La fiumana che s’ingrossa oltre le transenne diventa inverosimile, ma sempre composta e dignitosa. Arrivano le prime delegazioni, mentre da lontano si comincia a scorgere la testa del corteo funebre.
Passa correndo il servizio d’ordine, dagli altoparlanti si leva “L’internazionale”. Cantano tutti: e il silenzio di poco prima viene squarciato. Nei volti scuri, stanchi disfatti, in mezzo alle lacrime, affiora adesso un’espressione nuova.
È difficile da raccontare: sembra quasi che l ‘attesa sia stata catarsi. La rabbia, la disperazione, l’impotenza che fino a qualche momento fa hanno tenuto in silenzio, col fiato in gola, un milione di persone, si risolvono in qualcosa di nuovo. E cosa significhi tutto questo lo si può capire solo quando arriva il carro funebre. Un attimo di sgomento immane per tutti, Enrico è lì. Per l’ultima volta.
Quel carro è l’espressione tangibile della sua morte. Ma è solo un momento. Un milione di pugni chiusi si leva al cielo. Il popolo comunista saluta il suo capo: “Enrico, Enrico”. L’estremo saluto, ripetuto cento, duecento volte, anche mentre sul palco si alternano gli oratori, è anche una promessa; un impegno solenne. Berlinguer è morto, ma oggi sappiamo con certezza che una piccola parte di lui resterà in ogni comunista. Quel saluto è il grido compatto di un partito che ha perduto il suo capo, ma che sa che a fianco a lui continuerà a camminare.
Se qualcuno vuoi capire cos’è la “diversità” del Partito Comunista, adesso e qui può toccarlo con mano: la “diversità” è questo addio che in fondo non ha niente di definitivo, perché dalla certezza che, con Berlinguer, dopo Berlinguer, il partito continuerà a cammina re. “Letizia, compagni”, dice dal palco Pajetta.
L’invito alla lotta di sempre, l’invito a continuare a camminare, per andare lontano, così come lontano sta andando quel carro funebre. E l’invito viene prontamente accolto con quel “Enrico, Enrico” che esplode adesso diventando il grido d’uno solo. Del Partito Comunista Italiano.
Hasta siempre, compagno Berlinguer. Alla storia. All’eternità.
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