Carla Cantone è un personaggio assolutamente diverso dal cliché del sindacalista che vive nell’immaginario collettivo: incazzato, poco propenso al sorriso, sempre a scrivere documenti e contratti e che parla un po’ per frasi fatte. Carla Cantone è splendidamente solare. E sorride.
Suggerirei caldamente al presidente del consiglio, che sembra aver un conto in sospeso con il sindacato, di incontrarla: perché sentirla parlare è un modo per ritrovare quell’Italia reale dimenticata dai talk show e dai reality. Quell’Italia senza lustrini, che lavora, si sbatte, un po’ impreca ma che alla fine sorride e guarda avanti.
È stata una bella serata quella che l’altro giorno ha visto protagonista la segretaria nazionale dello Spi Cgil, a Foggia per presentare il libro scritto a quattro mani con Valerio De Filippis, L’amore che mi ha catturato la vita. “Ho riflettuto molto sull’opportunità di raccontare la mia vita in un libro – ha raccontato al folto pubblico che gremiva l’auditorium della Biblioteca Provinciale -. Poi ho deciso che sì, ne valeva la pena, proprio perché la mia vita non è una vita straordinaria, ma una vita come tante. Come quella vissuta dalle donne e dagli uomini che si sono emancipati grazie al lavoro, ai sacrifici, alla lotta per la giustizia.”
Storie di donne e di uomini che hanno fatto grande e libero il Paese in cui viviamo. “Dimenticarli significherebbe rinunciare a un pezzo della nostra identità, delle radici culturali del nostro Paese” ha detto Giovanni Forte, segretario regionale della Cgil, in polemica nemmeno tanto velata con le ripetute prese di posizione di Matteo Renzi sul sindacato.
E in effetti, sarebbe utile che il premier lo legga, questo bel libro. L’amore che ha catturato la vita di Carla Cantone è quello che, da ragazza, di fronte allo spettacolo della quotidiana ingiustizia sociale che offriva l’Italia la portò – figlia di gente umile e lavoratrice – a stare dalla parte dei poveri, dei deboli.
Una vita non soltanto normale, quella della sindacalista che sorride e infonde coraggio a chi la circonda. È pure una vita esemplare. Con i sacrifici che è facile immaginare diventò psicologa, e cominciò ad esercitare la professione all’interno di un ospedale. Chiunque altro, al posto suo, avrebbe considerato raggiunto l’obiettivo: che c’è più bello di aiutare in un luogo di cura persone difficoltà affinché stiano meglio? Di più bello c’è il sindacato…
Le prime esperienze si svolgono nel sindacale aziendale. Poi qualcuno la nota, e le propone di diventare funzionaria o più precisamente, come si diceva una volta, rivoluzionaria di professione.
La psicologa viene spedita nel sindacato più maschio che c’è, la Fillea, l’associazione di categoria degli edili e dei lapidei della Cgil. Una scelta che gratifica Carla perché finalmente può stare dalla parte dei lavoratori più umili, quelli che si guadagnano il pane col sudore della fronte, e non è una frase fatta: i muratori, i minatori.
Nella Fillea percorre tutti i diversi gradini di una carriera che la porterà ai vertici nazionali della Cgil. Non senza rinunce. Come tante altre donne del sindacato decide di non diventare mamma: “Non ho figli perché ne ho tre milioni.”
Solo che quei figli crescono, diventano adulti ed mettono al mondo altri figli. Mamma virtuale di tre milioni di lavoratori, Carla non può che diventarne nonna… A sessant’anni potrebbe anche lasciar perdere quell’amore che le ha catturato la vita godendosi, come si dice, il meritato riposo. Invece no. Sceglie il sindacato dei pensionati, che affettuosamente e chiamando le cose col loro nome definisce “vecchi”. “E non, non vi lascio, cari miei vecchietti”, dice alla platea foggiana, entusiasta e commossa.
Si respira nell’auditorium della Biblioteca Provinciale un’atmosfera densa di emozione e di commozione. Si può quasi toccarlo con mano, quel patto generazionale sognato dallo Spi. Ragazzi e studenti riempiono le sale di lettura della biblioteca; i vecchietti gremiscono l’auditorium e, detto tra noi, era da tempo che una manifestazione sindacale e culturale non registrava una partecipazione così nutrita e appassionata. Merito di Franco Persiano, segretario generale provinciale dello Spi, che sta facendo del suo sindacato un punto di riferimento nella vita sociale del capoluogo e della provincia.
Il libro si conclude con un capitolo dedicato alla “posta di Carla”. Lettere che iscritti e compagni le hanno mandato in tanti anni, che trasudano passione, ideali, valori. L’ultima è quella ricevuta dal compagno Tullio, col nipote disoccupato che “manda in giro curriculum come fossero volantini, gli torna indietro i silenzio” e chiede aiuto alla segretaria.
Carla gli risponde di aver coraggio, di non desistere, di continuare ad essere per il ragazzo ancora un punto di riferimento. Noi ce la stiamo mettendo tutta per dare a tuo nipote e agli altri giovani non solo la speranza ma anche azioni concrete. Vedrai che tornerà il sereno.”
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