Puglia sugli scudi, e non per i suoi meriti, ma piuttosto per le sue criticità nel Rapporto Cave 2014 di Legambiente. (Il documento è scaricabile qui, per quanti vogliano leggerlo integralmente).
Alla situazione pugliese e in particolare ai due siti che denunciato la situazione di più grave impatto ambientale (Apricena e Trani) il rapporto dedica un intero capitolo. Ecco cosa scrivono i tecnici di Legambiente.
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I guasti dell’attività estrattiva in Puglia
La Puglia si pone ai primi posti tra le Regioni italiane per quantità di materiale lapideo estratto e per numero di cave. La sua vocazione nel settore estrattivo è legata alla natura geologica del territorio che ben si presta alla coltivazione di pietra da taglio per uso ornamentale: un primato che si riflette però negativamente sulle criticità ambientali amplificate per decenni dalla mancanza del PRAE, del catasto cave, e dall’estrazione senza titolo oneroso. I canoni applicati ai 415 siti estrattivi attivi sul territorio pugliese vanno da 0,13 centesimi a metro cubo di materiale da taglio a 0,08 per il calcare: un costo irrisorio considerato che il prezzo alla vendita della pietra di Trani varia da 500 a 2.000 euro al metro cubo.
A questo si aggiunga un proliferare incontrollato dell’attività estrattiva che ad oggi conta per le sole cave dismesse le 3.961 unità (1 cava ogni 4.9 kmq) con la Provincia di Barletta-Andria-Trani che detiene il primato di provincia con la più elevata concentrazione di cave in relazione all’estensione del proprio territorio (cava ogni 8,1 km2). La meccanizzazione dei processi estrattivi ha di fatto cambiato profondamente il paesaggio modificando assetti idrogeomorfologici, penetrando in profondità sino a raggiungere falde acquifere, creando nuovi promontori composti dagli scarti di lavorazione e fronti di scavo enormi: tutto senza tenere conto di quelle che dovevano e devono essere le opere di ripristino e messa in sicurezza del territorio.
Nell’ambito della regione pugliese i due principali bacini estrattivi, che pongono per evidente consequenzialità, anche rilevanti impatti ambientali, sono Apricena (FG) e Trani (BT).
Apricena
Il bacino della Pietra di Apricena, tra i principali poli estrattivi italiani per quantità di materiali che vi si estraggono, si estende ai piedi del Gargano tra i comuni di Apricena, Poggio Imperiale e Lesina. Su un esteso territorio leggermente sopraelevato (100-150 metri sul li vello del mare) si presentano grandi cave a fossa delimitate da cumuli di inerti ed informi in continuo movimento per l’attività estrattiva in avanzato stato di sviluppo.
Dopo il boom degli anni ’60, quando ancora l’attività estrattiva era affidata alla manualità dei “cavamonti”, lo sviluppo tecnologico degli anni ‘90, ha introdotto nuove macchine per la movimentazione e sofisticate attrezzature e strumentazioni per il taglio delle bancate che hanno, in breve tempo, sostituito del tutto i tradizionali sistemi di estrazione non più efficaci per le difficoltà di raggiungere profondità oggi assolutamente semplificate (siamo passati in pochi anni, infatti, al raddoppio delle iniziali fosse di coltivazione dai 30- 40 metri iniziali agli attuali 80-100 metri). Bronzetto, Biancone, Fiorito, Filettato, ondagata, Moganato e Serpeggiante sono tra le varietà più diffuse di questo bacino. L’intensità con il quale si è cavato nel Comune di Apricena ha creato veri e propri comprensori innaturali, rimodellando completamente assetto, topografia e morfologia del paesaggio.
Le maggiori criticità ambientali infatti sono rappresentate dai giganteschi rava- neti: enormi colline disordinate e soggette a fenomeni d’instabilità gravitazionale, costituite dai materiali di sfrido formati anche da blocchi di grandi dimensioni. Altre criticità sono legate alla presenza
di altissimi fronti di scavo alti anche 80 metri e privi di gradonate che rendono quasi impossibile la messa in pristino dell’area e sottopongono a gravi rischi le maestranze impegnate sul fondo cava.
TranI
Tra i Comuni di Trani, Andria, Bisceglie, Corato, Ruvo, Minervino Murge e Canosa si estende il bacino della Pietra di Trani, storicamente il più vasto giacimento calcareo pugliese, almeno fino a alla fine degli anni ’80, caratterizzato da una pietra diffusa in ogni dove nei centri storici della Puglia centrale dall’altopiano delle Murge fino ai primi rilievi della Valle d’Itria.
Il settore estrattivo qui comprende cave utilizzate anche per prodotti da macinazione come pietrisco e sabbie calcare e concentra al suo interno gran parte delle aziende pugliesi di trasformazione dei prodotti lapidei (40% circa del totale).
Le maggiori criticità ambientali sono connesse all’enorme numero di cave dismesse prima della normativa che impone l’obbligo di recupero ambientale di fine attività. La presenza di cave in prossimità di ‘lame’ (torrenti effimeri) o della costa ha fatto emergere importanti impatti ambientali connessi sia alla modi- fica dell’assetto idrogeomorfologico che alla emersione della falda acquifera (località Ponte Lama, tra Trani e Bisceglie).
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