Mi hanno chiesto cento volte cos’è il cinema indipendente. Impossibile dare una risposta esauriente. Se vogliamo guardare la cosa semplicemente sotto il profilo della produzione e della distribuzione, possiamo cavarcela dicendo che sono film indipendenti quelli che non vengono prodotti da case collegate con la distribuzione e che di conseguenza non escono nella sale o si limitano ad un week end di programmazione, o in pochi cinematografi.
Una definizione così, tuttavia, dice poco o nulla sull’autore, e sul modo particolare che la maggior parte degli autori indipendenti ha di relazionarsi con il suo film, spesso rifuggendo dai canoni o dai format che imbrigliano la settima arte. Per quel che mi riguarda, sono gli autori che rendono un film più o meno indipendente (così come più o meno di qualità): il loro rapporto con l’opera.
Non conosco autori “indipendenti” che accettino di buon grado che il loro film probabilmente non verrà visto come merita, perché non troverà un’adeguata distribuzione. Ma la stragrande maggioranza non cambierebbe di una sola scena o di una sola sequenza il film, per adeguarlo ai canoni del mercato, per avvicinarlo a quel moloch rappresentato dal gusto del grande pubblico.
Per questo un festival di cinema indipendente come quello che facciamo a Foggia ha un suo fascino speciale. Perché permette da un lato di guardare film bellissimi che difficilmente passeranno in sala, e dall’altro di incontrare tipi specialissimi come questi autori duri e puri, ma anche sceneggiatori, attori, tecnici che fanno film più per la voglia e l’urgenza di dire, che non per quella di fare soldi (credetemi, assai spesso ci rimettono di tasca loro).
È per questo che un festival come quello di Foggia racconta e lascia vivere storie speciali, perfino al di là di quelle dei film. Regala momenti indimenticabili, come questi che hanno punteggiato il “mio” festival. E che vi giro.
Si pensa in genere che gli attori piangano a comando, perché sono bravi a immedesimarsi nel personaggio che interpretano. Ma non sempre è così. A volte le lacrime sgorgano spontanee perché si è semplicemente, meravigliosamente, perdutamente uomini e donne, e si sente di condividere il destino dell’umanità.
È il caso di Nadia Kibout che avevo ammirato nella sequenza finale de La Luna è sveglia di Lorenzo Sepalone (ne ho già scritto in un’altra lettera meridiana): un pianto che ha del sublime (nella foto che apre l’articolo), di straordinaria espressività, che non traluce disperazione e neanche nostalgia, ma commozione autentica e speranza.
Nadia si è ripetuta in pubblico, intervenendo al dibattito su Il Canto delle Sirene, opera di Donato Robustella che la vede protagonista. Il docufilm racconta e intreccia le storie di diversi uditori di voci. L’attrice interpreta la sola uditrice di voci “finta”. Per il resto, Robustella intervista persone vere, con il loro carico di esperienze, di percorsi tra loro diversi.
Con quelle sue lacrime, Nadia ha dimostrato di sapersi immedesimare non solo nel suo personaggi, ma anche nell’umanità: nelle parole delle donne e degli uomini dal indicano una speranza (e una possibile diversa strada per la psichiatria nel coraggioso.
Ho conosciuto Federico Di Cicilia quando Umberto Rinaldi mi ha trascinato nella giuria dei cortissimi del Cinefort Festival (ho parlato qui di quella bella esperienza). Federico mi piace perché incarna uno dei valori che amo di più del cinema indipendente: l’assoluta mancanza di furbizia, il candore delle storie.
Al Festival abbiamo fatto vedere la sua pellicola più recente, L’Ultimo Gol, presentata con successo a Giffoni ma poi arenatasi nelle secche di una distribuzione che ancora non c’è. Una bella occasione per mostrare al pubblico foggiano un film delicato, che racconta l’altra faccia del calcio ma anche la generosità di giovani che si fanno carico del loro destino, anche a costo di rinunciare ai sogni.
Dopo la proiezione, il regista non era ancora arrivato e lo attendevo non senza una qualche impazienza. Conoscendo la puntualità di Federico non capivo cosa fosse successo, tanto più che, arrivando dalla vicina Campania, aveva detto di essersi in macchina per tempo.
Finalmente Di Cecilia arriva in sala e subito si scusa con il pubblico e spiega le ragioni del ritardo: “Vi chiedo scusa, ma è maschio.”
Federico era appena diventato papà. Appena il tempo per assicurarsi che il piccolo e sua madre stavano bene, non aveva esitato a mettersi comunque in viaggio, pur di raggiungere il Festival. Una grande e bella prova di amore verso il pubblico.
Lo vedi sempre là, in prima fila. Ad immortalare eventi, manifestazioni, tutti i momenti in cui la Foggia migliore c’è, e si esprime.
Michele Sepalone è lo sguardo e la coscienza di quella parte della città e del Mezzogiorno che crede nella bellezza, e si adopera per salvaguardarla e tramandarla.
La menzione speciale della direzione artistica per i suoi meriti è strameritata, ma restava il problema di come consegnargliela. Che senso avrebbe avuto farlo con il solito cerimoniale?
L’ho beccato mentre sempre puntava il mirino della fotocamera per ritrarre il premiato di turno. “Questa volta non puoi fare la foto, perché il premiato sei tu.”
Mi ha guardato incredulo e stupito. La sua reazione è stata di un disarmante candore: “Ma che, sit pacc’? (Ma che siete pazzi?)”
LA SOLARITÀ DI ROCCO GRANATA
Vi confesso. Siamo stati parecchio un dubbio sull’opportunità di invitare Marina al Festival. L’opera di Stijn Coninx non è quel che si dice un film indipendente. In Belgio ha sbancato il botteghino. Altrettanto si appresta in Italia. Ma c’erano concomitanze troppo ghiotte per non lasciarsi tentare: si tratta di un film girato anche a Bovino; c’era la possibilità di ospitare per la prima volta al Festival l’anteprima di una coproduzione internazionale. E a dirla tutta il Bifest (il festival del cinema di Bari) sembrava aver snobbato il film.
Marina ha vinto il Festival con pieno merito, come hanno spiegato registi e professori facenti parte della giuria stilando una motivazione da manuale di critica cinematografica. Ma la premiazione ha svelato alla platea un personaggio di assoluto carisma indipendente come Rocco Granata. Mai visto un artista così solare, così pieno di amore per la vita, così capace di trascinare il pubblico, rimanendo soltanto se stesso.
Nelle prossime puntate del viaggio, vi parlerò delle opere che hanno ricevuto la menzione speciale della direzione artistica.
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