Indicava il primo luogo di lavoro di Giuseppe Di Vittorio, e non solo. Aveva un valore simbolico straordinario: stava ad indicare che da lì, dal lavoro delle braccia e dal sudore della fronte, era partita la scintilla che avrebbe infiammato il movimento sindacale, portando all’emancipazione dei braccianti.
Il cippo posto nelle campagne tra Cerignola e Orta Nova, restaurato tre anni fa ad iniziativa della Flai Cgil, è stato distrutto dalla mano di ignoti vandali.
“Seppur ignote le ragioni del gesto – ha scritto la Cgil di Foggia sulla sua bacheca Facebook -, non è difficile tracciare l’identikit di chi l’ha compiuto: dei vigliacchi. Continueremo a prenderci cura della nostra memoria. Non è una martellata che può cancellare la storia di questa terra.”
Su quel pezzo di terra tra Cerignola e Orta Nova c’è una storia molto significativa (non so se sia effettivamente accaduta o è una invenzione drammaturgica, ma è bella e ve la riferisco comunque).
L’ha scritta Francesco Giasi ed è parte dei Dialoghi di Storie Interrotte, il bel progetto varato qualche anno fa da Fabrizio Barca, Leandra D’Antone e Renato Quaglia per celebrare la memoria dei padri fondatori (ne ho parlato in questo post).
Di Vittorio dialoga con Luciano Romagnoli, segretario della Federbraccianti, all’indomani dello strappo con il PCI, sui fatti d’Ungheria. Il grande sindacalista ricorda la sua infanzia a Cerignola, e parla proprio di quel pezzo di terra dove molti anni prima aveva cominciato a lavorare, come bracciante.
“Avevamo undici o dodici anni. Con un mio amico, un altro bambino della mia età, avevo iniziato a lavorare a giornate in una grande masseria. La masseria era immensa e decine e decine erano gli ettari incolti, come in tutti i latifondi. Dopo qualche mese, a tre, quattro chilometri dai caseggiati, scoprimmo una piccola fonte di acqua che si perdeva in un canneto. Ritagliammo là intorno un pezzo di terra di poche decine di metri quadri e ci piantammo un po’ di cose. Avevamo conquistato un pezzo di terra dei padroni, nascosto dalla macchia e dalle canne, vicino a una fonte di acqua sorgiva. Via via il pezzo si ingrandì e né il massaro né i guardiani riuscirono mai a scoprirlo. E noi coltivammo, peperoni, zucchine, fagiolini. Io avevo ritagliato una striscetta per mettere semi di fiori. Così potevo regalare dei fiori profumati a Carolina, la mia fidanzata. E lei mi chiedeva «Ma da dove prendi questi fiori?». «Dalla terra», le rispondevo. Me lo ricordò una volta a Parigi, sorridendo, quando stava or mai nel letto e non riusciva più ad alzarsi. Era poi diventato grande quel pezzo di terra e cominciammo a «socializzarlo», ma solo tra i ragazzini. Temevamo che i grandi condannassero la nostra «usurpazione». Poi quella terra «conquistata» fu abbandonata. Ambrogio un nostro amico di tredici anni fu ucciso dalla truppa insieme ad altri tre manifestanti durante un grande sciopero. Fondammo allora il circolo giovanile socialista. Un circolo che ben presto si ritrovò ad avere più di 400 iscritti. Per quanto riguarda il nostro pezzo di terra, una delle prime volte che sono tornato a Cerignola, dopo la guerra, l’ho cercato. Hanno piantato del grano e hanno distrutto tutta la macchia intorno.”
Ad essere distrutta, oggi, non è solo la macchia, ma quel cippo che era un importante segno di memoria. Ma – come avverte la Cgil – non è una martellata che può cancellare la storia di questa terra.”
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Quella pietra cantonale segnava il confine tra lo stato di insicurezza sociale, condizione ordinaria di quello che un tempo era detto il popolo, e la nuova sicurezza conquistata e voluta dal nostro "Peppino". Purtroppo, prima dei vigliacchi, ben altri colpi sono stati inferti a quel cippo, e l’insicurezza sociale è tornata e un numero crescente di persone si trova nuovamente nella condizione di vivere o di sopravvivere "alla giornata".