Gargano, il parco della speranza

Qualche settimana fa, nel corso di una bella serata al Provo Cult Lab di San Giovanni Rotondo, Gianfranco Pazienza ha simpaticamente rievocato il comune ed appassionato impegno per l’istituzione del Parco del Gargano culminato, ormai molti anni fa, nella realizzazione del documentario Gargano, il parco della speranza, che vide collaborare me, lui e Giovanni Aquilino.
La capacità affabulatoria di Gianfranco mi ha procurato nostalgia ed emozione, ma anche quel lacerante senso di distacco che a volte nasce quando improvvisamente ti volgi a guardare il passato, e scopri che ha scarse relazioni con l’oggi. 
Le discussioni e le passioni suscitate dalla istituzione del parco furono vere, il confronto durissimo ed aspro. 
La storia si svolge agli inizi del decennio Novanta, ma per capire bene il contesto, è necessario fare un passo indietro. Al 1980, quando l’indimenticabile convegno promosso dall’allora giovanissimo assessore provinciale Matteo Fusilli, a Manfredonia, con la partecipazione di Sabino Acquaviva, sembrò aprire una nuova prospettiva culturale e politica alla ipotesi del Parco.
Sabino Acquaviva, grande sociologo, aveva ripetutamente lanciato dalle colonne della Gazzetta del Mezzogiorno la suggestione del Parco, che nei suoi piani non doveva rappresentare tanto un obiettivo ma piuttosto un mezzo, per salvaguardare quell’irripetibile unicum di natura, cultura e storia che è la Montagna del Sole.
Il convegno di Manfredonia aveva finalmente sdoganato quel sogno, trasformando l’appello di Sabino Acquaviva in una prospettiva concreta, e disegnando un percorso politico che da lì a pochi anni sarebbe approdato alla proposta di legge istitutiva.
La presentazione di quella proposta scatenò le passioni e le contrapposizioni. 

L’idea di girare un film militante, che rasserenasse gli animi e permettesse un confronto più sereno e costruttivo, venne all’assessore provinciale all’ambiente Franco Carella, manfredoniano e ambientalista doc, dopo che il Presidente della Provincia, Teodoro Moretti, era stato costretto a interrompere, per le intemperanze della platea, un convegno promosso dall’ente di Palazzo Dogana a Monte Sant’Angelo, per fare il punto sulla situazione e cercare una soluzione condivisa.
Qualche anno prima, assieme a Giovanni Aquilino e alla Edi.Coop di Troia, la editrice de La Refola, avevamo girato un documentario – uno dei primissimi – sul Subappennino Dauno. 
L’idea forte della casa editrice troiana e del gruppo di persone che le ruotavano attorno era che il territorio costituisce in se stesso una straordinaria risorsa di futuro, ed è per questo che va tutelato, protetto, interpretato.
In Gargano, il parco della speranza Giovanni ed io, cercammo di dire la stessa cosa, applicata però alla realtà del Gargano e all’ormai incombente prospettiva del Parco. 
Il documentario raccontava soprattutto gli aspetti e le storie del Gargano meno noto e meno patinato, sottolineando come quel Gargano sconosciuto e fascinoso fosse il prodotto di millenni di storia e di relazioni, tra uomini e natura, tra angeli e animali, che hanno sedimentato un equilibrio che ci vuol poco ad infrangere.
Quando venne presentato a Rodi Garganico, i timori per il possibile ripetersi di turbative all’ordine pubblico prevalevano sull’ansia della prima. Invece fu una bellissima serata, e ricordo con commozione gli interventi e i contributi di Filippo Fiorentino, Nello Biscotti e dello stesso Gianfranco Pazienza. 
Da allora, finalmente, si cominciò a parlare del Parco in toni meno esasperati e conflittuali.
Nella serata al Provo.Cult Clab, Gianfranco ha rievocato quella speciale atmosfera che si respirava in quegli anni, quando sembrava a portata di mano la possibilità un futuro diverso, innescato proprio dal decollo del Parco.
È una nostalgia condivisa e diffusa, a quanto pare. Qualche settimana fa, un altro tenace sostenitore di quel Gargano possibile, che poteva e doveva essere anche laboratorio di un Mezzogiorno possibile,  come Alfio Nicotra, ha pubblicato la locandina di un convegno del 1994 che lo vide tra gli organizzatori. Emblematico il tema: Gargano Parco Nazionale, la direzione di uno sviluppo possibile.
Vent’anni dopo quel documentario, quel convegno è  doveroso domandarsi: cosa è rimasto di quello spirito, di quelle speranze, di quello sviluppo possibile?
Quel convegno si svolse a Calenelle, la cui piana – probabilmente l’angolo del Gargano più fotografato assieme all’arco di San Felice – corre il rischio di essere lottizzata e cementificata.
La storia più amaramente paradigmatica di questo percorso inceppato, mi sembra quella dell’abbazia prigioniera di Kalena, omphalos di quel Gargano che abbiamo vagheggiato e sognato, bello e possibile. Prigioniera di egoismi, interessi, pastoie burocratiche che ne hanno fino ad oggi impedito la fruizione pubblica, nonostante il suo straordinario valore storico. Teresa Maria Rauzino, che da anni si batte per il recupero di Kalena ha promosso una petizione per salvare l’abbazia dagli interessi speculativi (io l’ho sottoscritta, fatelo anche voi, cari amici di Lettere Meridiane).

L’amarezza della nostalgia può essere mitigata soltanto dalla fiducia del futuro. E così, se l’abbazia prigioniera è il simbolo di quel Gargano possibile  che ancora non mette le ali, il coraggio di persone come Teresa Maria Rauzino, Gianfranco Pazienza, Alfio Nicotra, Nello Biscotti e di tutti quanti animano i loro post, segnala che la coscienza dei garganici resta comunque profonda, salda, non vuole arrendersi.
Forse si può ancora sperare.

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Author: Geppe Inserra

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