Fa discutere, e molto, l’articolo di Giorgio Bocca su Foggia, ripubblicato da Giuseppe Trincucci nell’ultimo numero de La Capitanata, la rivista della Biblioteca Provinciale di Foggia.
Non è una novità. Il grande giornalista non ha mai fatto mistero della sua antipatia per il sud e per i meridionali, anche se – a mio parere – la Foggia raccontata da Bocca è quanto mai realistica, perfino attuale, nonostante sia passato mezzo secolo dalla sua pubblicazione.
A calcare la mano sull’antimeridionalismo di Bocca è un osservatore attento ed acuto come Vincenzo Concilio, che sulla bacheca del gruppo Foggia Sparita, ha postato – assieme alla foto in alto – un duro commento, con diverse citazioni da Bocca, che gettano luce sul suo difficile rapporto con il sud.
“Insomma, la gente del Sud è orrenda (…). C’era questo contrasto incredibile fra alcune cose meravigliose e un’umanità spesso repellente. Una volta, a Palermo, c’era una puzza di marcio, con gente mostruosa che usciva dalle catapecchie. Vai a Napoli ed è un cimiciaio, ancora adesso. Una poesia il il modo di vivere di quelle parti? Per me è il terrore, è il cancro. Sono zone urbane marce, inguaribili”.
Unica consolazione: il Sud fa talmente schifo che se vai lì ne cavi di sicuro qualche bell’articolo. Quando Bocca lo dice, l’intervistatrice si illude e risponde:: “Quindi sei grato, se non altro…”. Ma lui delude immediatamente le sue speranze: “Grato, insomma… Come dire: sono grato perché vado a caccia grossa di belve. Insomma, non sei grato alle belve, fai la caccia grossa, ma non è che fraternizzi con le belve”. Eppure, nei suoi libri, qualche parola consolante sul Meridione si trova: “È necessaria un po’ di ipocrisia. Sapevo sempre che dovevo tener buoni i miei lettori meridionali, quindi davo un contentino”.
“Vado a caccia grossa di notizie al Sud ma non fraternizzo coi meridionali belve”.
In una cosa, Gorgio Bocca è stato coerente nella sua lunga vita: in quella di essere stato costantemente razzista. Prima antiebreo e poi antimeridionale. Come quando, giovane fascista assieme a tanti altri gerarchi del regime e molti intellettuali dell’epoca, nel 1938, sottoscrisse “il manifesto della razza”, documento base delle leggi razziali fasciste contro gli ebrei. Contro gli ebrei prima e contro i meridionali dopo. Una costante razzista che ha caratterizzato da sempre la sua vita.”
Sulla stessa lunghezza d’onda il pensiero di Fabio Massimo Benvenuto che laconicamente scrive: “Giorgio Bocca, grande giornalista, grande anti-meridionalista.”
Tanti altri lettori, però, condividono l’analisi di Bocca sulla Foggia degli anni Sessanta. Ninì Russo commenta con una dotta ed azzeccata citazione l’atmosfera di immobilismo che sembra pervadere la Foggia dell’articolo, nonostante Bocca racconti un contesto – quello della ricostruzione post-bellica – quanto mai dinamico. Citando Helen Humphreys, Russo scrive: “C’è un perenne senso di attesa in ciò che è definitivamente immobile.”
Lea Ricci apprezza invece quanto scritto da Bocca: “ Articolo interessante, dove l’entusiasmo di una ripresa dal dopoguerra, attiva Foggia valorizzandone sia per la bellezza nella ricostruzione che per nasconderne il degrado delle macerie, inattesa di quel nuovo futuro che tutti anelano da sempre.”
Antonio Nunno sottolinea, dal canto suo, (e condivido) l’attualità delle parole di Giorgio Bocca: “Uno scritto amaro e purtroppo profetico.”
Anche Carlo Valentini è d’accordo circa l’attualità della descrizione: “Bisogna ammettere che Giorgio Bocca in tempi non sospetti aveva perfettamente ragione, mi auguro per il futuro dei nostri nipoti, ormai la generazione dei nostri figli è saltata, sia roseo ma perché questo avvenga bisogna cambiare un’intera classe dirigente e dare ai nostri eredi una vera consapevolezza politica e sociale.
Tra l’una e l’altra tesi si colloca il giudizio di Alfre de Martino che scrive con un bel realismo non privo di speranza per il futuro: “Interessante, descrive realisticamente quel periodo, non solo per Foggia, ma per un modo di vedere le cose a livello nazionale, da notare l’uso spropositato dei vocaboli: ( meridionale e settentrionale), come se fosse un valore oppure meno appartenere all’una o all’altra categoria. Apparivamo in sostanza degli ignoranti che volevano scimmiottare il perfetto nord, con una certa opulenza però, ma non a caso, questo Bocca forse non lo sapeva, nel settecento e nell’ottocento vari viaggiatori stranieri in visita nelle città della penisola appunto di opulenza, ricchezza dei magazzini ed anche, direi addirittura, visto il pensiero di Bocca, di una vivacità culturale, con la gente la sera vestita a festa per andare al teatro, cose che all’epoca non si vedevano nemmeno nelle più grandi città europee. Insomma, tutto questo solo per darci ancora qualche possibilità sperando di essere meglio di quel che ci sentiamo dire addosso.”
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