Il web è memoria che si sedimenta, giorno dopo giorno. Certo, la memoria digitale è cosa altra rispetto alla memoria espressa dagli oggetti (Baudrillard sosteneva che gli oggetti sono memoria sedimentata) ma riesce pur sempre a custodire – e con ogni probabilità a rendere eterne – le tracce del tempo.
Pensate al libro. Il web non potrà mai custodire un libro di carta. Può dirci però dove sta fisicamente. Gestire le procedure necessarie per chiederlo in prestito oppure per acquistarlo. In molti casi, può fornircene una versione digitale, che possiamo a nostra volta stampare oppure semplicemente consultare sullo schermo.
L’avvento della memoria digitale postula la necessità di un rapporto nuovo dei bit con la memoria, per così dire, analogica soprattutto in riferimento a materiali (come le immagini, i video, la musica) che si prestano ad essere prodotti e distribuiti con la stessa efficacia con modalità sia digitali che convenzionali.
Il Festival del cinema indipendente (ore 21.00 – Sala Farina, ingessoratuito) ospita oggi (ore 21.00 – Sala Farina, ingresso gratuito)- nell’ambito della commemorazione del Settantesimo anniversario dei bombardamenti su Foggia – un esperimento assolutamente originale, sul quale varrà la pena riflettere, per verificare la possibilità che possa venire replicato in altri contesti. Può diventare un modello sul quale investire, anche per altri contesti.
Formalmente si tratta della presentazione del breve documentario Non voglio parlare della guerra, in cui l’autore, Giovanni Rinaldi, ha raccolto i racconti di tre testimoni oculari della tragiche giornate dell’estate del 1943 (Mario Napolitano, Arnaldo De Cristofaro e Mario Muscatiello). Il montaggio è scarno, la macchina fissa, poche didascalie a contestualizzare le testimonianze, il tutto con notevole rigore formale e stilistico.
Cos’è che rende tuttavia il documentario un esperimento importante? L’autore è uno straordinario cercatore di memoria. È stato il primo a organizzare sistematicamente la raccolta di documentazione riguardante la cultura bracciantile. Ha fondato Casa Divittorio a Cerignola. Ha registrato e raccolto tantissimi documenti di cultura immateriale.
Giovanni Rinaldi ha fermato l’attimo fuggente con tantissimi mezzi: la macchina fotografica, il registratore, adesso la videocamera. Nel documentario intervista tre testimoni di una certa età, come lo sono tutti quelli che hanno vissuto quelle giornate, e sono ancora oggi viventi. Se non l’avesse fatto, molto probabilmente quei ricordi sarebbero andati dispersi.
L’intervista è stata propiziata dall’intenso lavoro che hanno svolto a loro volta personaggi come Raffaele De Seneen e Vittorio Cucci, associazioni come l’Auser e la rete Le Radici Le Ali, che hanno lavorato parecchio sulla rievocazione di una pagina così amara ma così topica della storia cittadina.
Non voglio parlare della guerra viene insomma fuori dalla fortunata convergenza di sensibilità diverse, ma tutte orientate al recupero di quella che definirei memoria a rischio, perché custodita dai ricordi dei testimoni che diventano, per ragioni anagrafiche, sempre più radi.
Il web potrebbe svolgere una preziosissima funzione di enzima, favorendo altre positive convergenze come quella che ha portato al documentario di Rinaldi. D’altra parte, l’ottimo lavoro svolto dai gruppi del social network che raccolgono immagini, documenti e tracce di questa memoria a rischio significa che vi sono tante altre sensibilità pronte a impegnarsi.
I tempi sono maturi per fare rete. Sul serio.
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grazie Geppe, un gran bell'articolo, state facendo un'ottimo lavoro di recupero della memoria storica di Foggia.
nel nostro piccolo, vi offriamo la massima collaborazione, come già manifestata, della nostra pagina FB, che acquista membri e partecipanti attivi sempre più interessati a questo progetto e ci invitano a mostrare e diffondere notizie, ai più sconosciuti, per infondere nelle nuove generazioni, l'orgoglio di appartenere alla nostra comunità.
sempre a disposizione, un abbraccio e buon lavoro.
nicola episcopo (Foggia "sparita")