Nella lunga marcia di avvicinamento al congresso provinciale della Cgil che sarà celebrato domani e dopodomani, la categoria dei pensionati si è distinta per la particolare vivacità e attualità delle sue iniziative.
Tra le molto cose belle che ha fatto, lo Spi Cgil ha distribuito, durante il congresso provinciale che ha rieletto segretario Franco Persiano, anima di queste iniziative, un interessante documento storico di straordinaria attualità politica e morale.
È la lettera che Giuseppe Di Vittorio scrive a tale Preziuso, dipendente dell’aristocratico e latifondista Giuseppe Pavoncelli, cerignolano come Di Vittorio.
La lettera è datata 24 dicembre 1920. Venne diffusa e pubblicata nel 2008, durante le riprese cerignolane di Pane e libertà, e bene ha fatto lo Spi Cgil a rilanciarla, in questa particolare stagione congressuale. Di Vittorio non era ancora il sindacalista di fama internazionale che anni dopo avrebbe diretto l’organizzazione sindacale mondiale. Ma nella sua Cerignola si batteva senza requie per l’emancipazione dei braccianti.
C’è da aggiungere che Di Vittorio aveva da poco imparato a leggere e a scrivere. Analfabeta come tutti i suoi compagni braccianti, quando era ancora un ragazzo, aveva venduto la giacca pur di comprarsi un vocabolario ed imparare le stesse parole che conoscevano i padroni.
La data della lettera è indicativa. Siamo alla vigilia di Natale e Giuseppe Pavoncelli manda a casa Di Vittorio, per il tramite di Preziuso, un regalo natalizio. Doveva essere particolarmente ricco: “quel po’ di ben di Dio” lo definisce il sindacalista.
Quando Preziuso giunge nell’abitazione del buon Peppino, questi no c’è. La moglie imbarazzata, non sa bene cosa fare. Comunque si fa lasciare il pacco. Appena rientrato a casa, Di Vittorio non ha dubbi. Quel pacco avrebbe potuto permettere a lui, alla sua famiglia, ai suoi compagni un Natale più ricco, ma non se ne parla neanche. Lo restituisce, non senza aver inviato al latore del pacco, il Preziuso, appunto, una lettera che è un capolavoro di onestà politica e di dirittura morale.
È da notare che Di Vittorio non rimprovera Pavoncelli per il suo regalo. Non l’accusa di tentata corruzione, anzi lo ringrazia, e già si intravede la stoffa dello straordinario negoziatore che, dopo la guerra, sarebbe riuscito a contrattare con il padronato e con il governo il “piano per il lavoro”, contribuendo in modo decisivo alla ricostruzione e alla ripresa.
Accettare quel pacco non lederebbe l’onestà interna di Giuseppe Di Vittorio, che lo scrive a chiare lettere. Ma, aggiunge Peppino, “è necessaria- e Lei lo intende- anche l’onestà esteriore.”
Una grande lezione non solo di onestà, ma anche di intelligenza, e di pacatezza, da additare anche a quanti cavalcano la questione morale senza orientarla a una politica che costruisca futuro. C’è un passaggio della missiva che sembra fatto apposta per stigmatizzare certi comportamenti che sono diventati di ordinaria quotidianità: “la politica ha delle esigenze crudeli, talvolta brutali anche perché- in gran parte- è fatta di esagerazioni e di insinuazioni, specialmente in un ambiente- come il nostro -ghiotto di pettegolezzi più o meno piccanti.”
Di seguito il testo integrale della lettera che è stata distribuita nel corso del congresso provinciale Spi Cgil con il titolo, quanto mai esemplare. La dignità della politica.
Cliccando sull’immagine è invece possibile scaricare la lettera così com’è stata distribuita.
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La dignità della politica
Lettera di Giuseppe Di Vittorio al Conte Pavoncelli
24 Dicembre 1920
Egregio Sig. Preziuso,
In mia assenza, la mia signora ha ricevuto quel po’ di ben di Dio che mi ha mandato. Io apprezzo al sommo grado la gentilezza del pensiero, sentimento di disinteressata e superiore cortesia cui si è certamente ispirato.
Ma io sono un uomo politico attivo, un militante. E si sa che la politica ha delle esigenze crudeli, talvolta brutali anche perché- in gran parte- è fatta di esagerazioni e di insinuazioni, specialmente in un ambiente- come il nostro -ghiotto di pettegolezzi più o meno piccanti.
Io, Lei ed il Principale, siamo convinti della nostra personale onestà ma per la mia situazione politica non basta l ‘intima coscienza della propria onestà.
É necessaria- e Lei lo intende- anche l’onestà esteriore.
Se sul nulla si sono ricamati pettegolezzi repugnanti ad ogni coscienza di galantuomo, su d’una cortesia -sia pure nobilissima come quella in parola -si ricamerebbe chi sa che cosa.
Si che, io, a preventiva tutela della mia dignità politica e del buon nome di Giuseppe Pavoncelli, che stimo moltissimo come galantuomo, come studioso e come laborioso, sono costretto a non accettare il regalo, il cui solo pensiero mi è di pieno gradimento.
Vorrei spiegarmi più lungamente per dimostrarle e convincerla che la mia non è, non vuol essere superbia, ma credo di essere stato già chiaro. Il resto s’intuisce.
Perciò La prego di mandare qualcuno, possibilmente la stessa persona, a ritirare gli oggetti portati.
Ringrazio di cuore Lei ed il Principale e distintamente per gli auguri alla mià Signora.
Dev.mo
Giuseppe Di Vittorio
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