di Maurizio De Tullio
Da tempo avevo trovato questo lungo articolo di Carlo Gentile, pubblicato sul settimanale foggiano “Otto Settembre” e datato 12 agosto 1939. Lo avevo messo da parte, però, perché non relazionabile con vicende che non attenessero al tema, tragico e un po’ comico, della cosiddetta “Razza italiana”. Poi, come qualcuno ricorderà, avevo pubblicato, prima sulla rivista “Diomede” (n. 2 del 2010) e qualche settimana fa sul Blog “Lettere Meridiane”, un articolo che ha portato alla luce il ruolo avuto durante il Fascismo da tre illustri foggiani, ben noti e apprezzati durante e dopo quel tragico periodo della nostra Storia. Di essi, due (Massa e Paolella) ebbero notorietà a livello nazionale, il terzo (Tedesco-Zammarano), anche internazionale.
Foggiani che appoggiarono – chi molto convintamente, chi meno, ma apponendovi comunque una firma – il “Manifesto della Razza”, voluto da Mussolini nel 1938.
Oggi aggiungo a quei tre nomi, quello di un altro foggiano che per ragioni anagrafiche non lo firmò e che sarebbe diventato un nome illustre solo col ritorno alla Democrazia, per nostra e sua fortuna.
Mi riferisco a Carlo Gentile, uno dei più grandi intellettuali foggiani di ogni tempo (e dentro questa classificazione occorre metterci veramente tanto: storico, filosofo, poeta, scrittore, docente, critico, massone). Era nato a Foggia nel 1920 e vi morì nel 1984, dopo una vita trascorsa producendo un lavoro immane e di grandissimo livello a favore della cultura.
Uno di quei pochi casi (insieme a quelli di Maria Marcone, Nino Casiglio e Antonella Bevilacqua) in cui si è acquisita celebrità senza spostarsi da Foggia, se non per brevi periodi, eccezione che conferma quella sconsolante regola che impone ai nostri uomini e alle nostre donne di assurgere a ruoli o incarichi di primo piano solo una volta incarnati i panni dell’emigrante.
A breve, la Biblioteca Provinciale “La Magna Capitana” di Foggia presenterà un grandissimo lavoro di ricostruzione della produzione bibliografica di (e su) Gentile e sono contento di avervi dato, seppur in minima parte, un piccolo contributo. Su chi se ne sta occupando e sui tempi di pubblicazione di questo importante e rigoroso lavoro di ricerca bibliografica mi permetto di non anticipare altro, non essendo autorizzato a farlo, e torno, così, in argomento ricollegandomi al punto di partenza.
Sul problema della “Razza italiana”, in verità, non sono stati tanti a occuparsene, almeno a livello di pubblicistica locale, per cui l’articolo di Carlo Gentile si rivela uno dei pochi che contribuisce a formare un minimo di bibliografia sul tema, in Capitanata. Solo di recente qualcosa è stato pubblicato, come il volume di Jose Mottola, “Gente di Razza. Così parlò Nicola Pende, tutore della stirpe e pupillo dei Gesuiti”, edito dalla foggiana Bastogi nel 2010.
È invece importante precisare che Carlo Gentile, quando scrisse l’articolo, aveva poco meno di vent’anni e che quasi tutti i suoi interventi di quel periodo furono pubblicati sul settimanale foggiano “Otto settembre” nella pagina dedicata ai ‘G.U.F.’, sigla che a livello nazionale stava a indicare ‘Gruppo Universitario Fascista’ e nella nostra città ‘Gruppo Universitari Foggia’.
“Otto settembre” era una sorta di voce di regime ‘made in Capitanata’, e non a caso recava nel sottotitolo la dizione “foglio d’ordini della federazione dei fasci di combattimento di Capitanata”, ma non era privo di interessanti spunti specie di carattere culturale.
Ma la stazza di quel ventenne già allora faceva intuire un futuro luminoso poiché quel che emerge è una grande padronanza di linguaggio – ma, soprattutto, di cultura storica e filosofica, come s’addiceva a quei tempi – che verrà ribadita in ben altre opere negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale.
Benvenuti Alleati, verrebbe da dire, ma con tono evidentemente amaro pensando a cosa sarebbe accaduto a Foggia e alla sua popolazione solo qualche anno più tardi.
La domanda, con annesso dubbio (il dubbio di chi conosce Carlo Gentile solo formalmente) è: cosa sarebbe accaduto, nel percorso culturale e politico, già di per sé virtuoso di Carlo Gentile, se non fossero apparse le ‘fortezze volanti’, col loro carico di morte e il conseguente cambio di… strategia degli italiani? Probabilmente, se non ci fosse stata la guerra o se l’Italia l’avesse vinta, avremmo avuto un Carlo Gentile lanciato nel panorama culturale di quell’Italia dal pensiero unico, e quindi con un livello di professionalità, carisma e notorietà pari a quello poi raggiunto con la sopravvenuta vita democratica italiana. Chissà!
Ma questo suo articolo di ricostruzione storica, di giovane universitario, scritto in perfetto stile fascista (cioè senza indulgenza al dubbio), ci restituisce un’immagine un po’ tetra del Gentile che avremmo meglio conosciuto solo qualche anno dopo.
Non voglio – e soprattutto non posso – commentare questo testo, che lascio al vaglio di chi, più di me, ha autorità e spessore culturale per farlo.
Mi sono limitato a proporre un autore importante del quale ignoravamo, a livello giornalistico, una enfasi mussoliniana così spiccata; e già avverto anche le comprensibili contestazioni, ovviamente legittime, di chi obietterà: “Ma chi non era fascista a quel tempo?!”, “E quanti altri hanno fatto il ‘salto della quaglia’?”, “E quanti hanno abiurato?”. Certo, lo so bene, ma non è questo il punto.
Credo che anche di fronte a un regime illiberale – un regime incapace di mettersi in discussione non solo di fronte alle evidenze e alle emergenze ma anche negli aspetti minori – nessuno fosse realmente obbligato a rendere esplicito il proprio pensiero. Non lo fece, per esempio, proprio quell’Aldo Capitini, col quale pure tenne in seguito un lungo colloquio e del quale fu anche amico. Se lo fece, c’è da ritenere che Gentile ci credesse davvero e che – mi ripeto – avrebbe percorso una limpida e luminosa “carriera fascista” se, come detto, non fossero intervenute in seguito importanti e determinanti deviazioni storiche.
Questo articolo, dunque, se da un lato va contestualizzato e privato, in chi lo leggerà, della facile critica di chi ritiene non si debba o non si possa mai cambiare idea, dall’altro lato è la fotografia impietosa – se mai ce ne fosse bisogno – di quanto pervasiva e ripugnante sia la vita nei regimi – compresi quelli moderni, come quelli che esaltano le virtù tecnologiche – in assenza di contradditorio.
Cosa sarebbe accaduto se qualche altro universitario, non necessariamente iscritto al Partito Nazionale Fascista o ai G.U.F., avesse ‘poco poco’ messo in discussione la Parola del Capo?
Attenzione, dunque, a questo inconsapevole ma palpitante neofascismo digitale, che si fa scudo della democrazia per sovvertirne le regole e imporre un’idea nuova di Stato. Il tutto a soli colpi di mouse e senza mai uno straccio di contradditorio.
Maurizio De Tullio
[Cliccare qui per scaricare l’articolo di Carlo Gentile, di cui parla De Tullio]
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… mi viene in mente "la mosca cocchiera" di Gramsci e il ruolo degli intellettuali. Si cavalca di volta in volta lo spirito del secolo pur non avendo fatto nulla per suscitarlo. Grato a De Tullio per la curiosità trasmessami di conoscere meglio questo personaggio. Lo farò.
Sono stato alunno del prof. Carlo Gentile e per l’esperienza scolastica vissuta con lui non mi sarei mai aspettato simili …trascorsi giovanili (ma a meno di 20 anni è possibile commettere errori che in età adulta si superano e si stigmatizzano) poiché ho conosciuto poche persone aperte e democratiche come lui nell’insegnamento altissimo e nel colloquio con gli studenti. Penso che la sua grande intelligenza, la sua onestà intellettuale e la sua ricerca filosofica lo indussero a cambiare orizzonti, e non sarei tanto sicuro che solo la guerra e la caduta del fascismo lo abbiano… preservato da una luminosa carriera fascista. (Vorrei ricordare che Benedetto Croce, a quasi 60 anni, nelle votazioni al Senato del 24 giugno 1925 votò la fiducia al governo Mussolini, per poi rompere definitivamente col fascismo).
Luigi Paglia