Era una tranquilla domenica mattina di fine estate quando, all’incirca alle 10, un tremendo boato terrorizzò Manfredonia. Nello stabilimento dell’Enichem, era esplosa la colonna di lavaggio dell’anidride carbonica dell’impianto preposto alla produzione dell’ammoniaca. Dalla torre sventrata si sprigionò una nube tossica che in breve tempo si riversò nei campi circostanti e nel rione Monticchio, il più vicino alla fabbrica, ubicata a poche centinaia di metri dall’abitato.
I danni provocati alla salute degli operai, degli abitanti e dell’ambiente furono molto ingenti, non solo per l’incidente in quanto tale, ma anche per la scellerata decisione dei vertici aziendali di minimizzare quanto era accaduto.
Gli operai vennero fatti entrare regolarmente in fabbrica il giorno successivo e vennero adibiti alla pulizia dei micidiali residui lasciati dall’esplosione, a mani nude, senza alcuna protezione. Si verificò la moria di centinaia di capi di bestiame che avevano ingerito il veleno fuoriuscito dalla colonna esplosa. Le scorie vennero sotterrate, provocando l’inquinamento del suolo.
Il drammatico incidente provocò una svolta nella storia dell’industria e dell’economia di Manfredonia e della Capitanata. Da allora, niente fu come prima.
La deflagrazione frustrò le speranze di quanti avevano pensato che l’insediamento del petrolchimico potesse spianare la strada all’industrializzazione di Manfredonia e della Capitanata. Mise a nudo i limiti e le distorsioni di un modello di sviluppo fragile e contraddittorio, di cui proprio lo stabilimento sipontino era il simbolo più controverso.
Qualche anno prima, la decisione dell’Eni di localizzare ai piedi del Gargano uno stabilimento petrolchimico aveva suscitato polemiche feroci. In un articolo comparso nel 1967 sull’Espresso, dall’emblematico titolo L’ENI a Manfredonia: una ghigliottina per il Gargano, Bruno Zevi lo aveva definito “un atto masochistico”, tanto più che proprio l’Eni in quegli stessi anni aveva puntato molte carte sulla valorizzazione turistica del promontorio garganico costruendo il villaggio di Pugnochiuso, a Vieste.
Amaraterra, il bel blog di Domenico Sergio Antonacci pubblica, grazie a Teresa Maria Rauzino l’album fotografico di quell’evento. Si tratta, per lo più, di immagini di repertorio estratte dall’archivio dell’Unità. Alcune foto sono impressionanti: una mostra distintamente la colonna di lavaggio praticamente distrutta dalla deflagrazione; in un’altra si vedono gli operai preposti alle operazioni di decontaminazione.
Nella collezione è presente anche una fotografia che con Manfredonia non ha nulla a che fare, ma che è comunque intrinsecamente legata alle vicende dell’Enichem. L’immagine, l’ultima dell’album messo on line da Domenico Sergio Antonacci, mostra una manifestazione popolare a Sant’Agata di Puglia, comune del Subappennino Dauno, nelle cui viscere qualche anno prima era stato trovato il metano.
La speranza che il prezioso far naturale servisse a sostenere un processo industriale in loco era stata assai presto mortificata. Dai comuni del Subappennino partì la cosiddetta marcia del metano, che è stata la più affollata manifestazione di massa che la storia della provincia di Foggia ricordi. Sfilarono in trentamila, sul capoluogo, dopo avere bloccato per settimane l’accesso ai pozzi metaniferi. L’insediamento del petrolchimico a Manfredonia fu la contropartita concessa dall’Eni per quello che passò alla storia come lo scippo del metano.
Per saperne di più sulla storia dell’Enichem di Manfredonia e dell’incidente, potete scaricare l’ interessante saggio di Francesco Tomaiuolo 1976-2006: trent’anni di arsenico all’Enichem di Manfredonia, uscito dalla rivista Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo – I Frutti di Demetra, bollettino di storia e di ambiente al seguente link: http://www.issm.cnr.it/demetrapdf/boll_12_2006/Pagine%20da%20demetra_imp%2012_tomaiuolo.pdf
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praticamente la nostra "piccola"chernobyl….