Quando, alle 11.20 di venerdì 28 maggio 1943, per la prima volta gli aerei alleati sganciarono sull’aeroporto Gino Lisa di Foggia il loro micidiale carico di bombe (gli attacchi alla stazione ferroviaria sarebbero arrivati dopo), pochi foggiani avrebbero immaginato che era l’inizio di un incubo che si sarebbe concluso solo quando gli Alleati avrebbero “liberato” il capoluogo dauno.
Foggia stava per diventare un crocevia del mondo, ma i foggiani non lo sospettavano neanche lontanamente.
Quel giorno, nonostante che le sirene degli allarmi aerei già nei giorni precedenti fossero più volte risuonate, la città viveva la normale vita di sempre. Ignara dell’appuntamento col destino che la stava attendendo. C’è chi sostiene (lo si afferma nel cortometraggio di cui ho parlato in questo post) che girasse voce che mai gli Americani avrebbero bombardato la città, per un atto di deferenza verso il sindaco di New York, Fiorello La Guardia, originario di Cerignola.
Quella sera – così come ricorda Gastone Mazzanti nel suo prezioso libro Foggia sotto attacco (Edizioni Il Castello, 2012) – era in programma l’apertura della stagione lirica al Flagella. Avrebbe dovuto andare in scena Il Rigoletto di Giuseppe Verdi, inaugurando un cartellone ricco di belle opere e di nomi celebri, come il tenore Beniamino Gigli e il baritono Gino Bechi.
Che la città fosse esposta ad un rischio gravissimo lo fecero sapere in modo diretto e brutale ai foggiani i piloti del 98° e del 376° Bomb Group della nona Air Force americana che oltre a sganciare 4.935 bombe (avete letto bene, quattromilanovecentotrentacinque bombe in quello che fu solo il primo attacco, ed uno dei meno cruenti) sulla città. Assieme agli ordigni esplosivi, lanciarono volantini propagandistici che senza mezzi termini preannunciavano quanto stava per accadere.
“Caduta Tunisi – si legge nel testo, riportato da Mazzanti nel libro citato – ecco quello che i tedeschi faranno dell’Italia: il campo di battaglia del fronte meridionale della Germania. La conquista della Tunisia disimpegna le forze aeree angloamericane, le lascia libere di attaccare obiettivi di guerra in Italia. Questo significa che tutti gli impianti, gli arsenali, i porti, le ferrovie, i ponti, le strade d’Italia debbono aspettarsi incursioni notturne e diurne.
Chi continua ad abitare presso gli obiettivi di guerra rischia inevitabilmente di venire ucciso o ferito. Dovete ringraziare Mussolini e il suo padrone Hitler. Ripensate al discorso di Mussolini del 18 novembre 1940: ‘Ho chiesto e ottenuto dal Fuhrer una diretta partecipazione alla battaglia contro la Gran Bretagna con velivoli…’ Ora tocca all’Italia. Perché morire per Hitler?”
Il tono non è neanche eccessivamente propagandistico, al di là della sottile puntualizzazione sulla natura delle incursioni (notturne e diurne), rivolta a turbare il sonno di quanti avessero letto il volantino.
Presto i foggiani capiranno, a loro spese, che non si tratta soltanto di minacce e di propaganda. Il volantino dice la verità: la vittoria sul fronte africano apre nuove strategie di guerra, e perfino nuovi fronti. Di lì a poco, la stessa Italia diventerà un fronte. I tedeschi non avranno il tempo di trasformare il Mezzogiorno d’Italia nel loro fronte meridionale, come adombra il volantino; gli Americani utilizzeranno invece Foggia come testa di ponte per minacciare i tedeschi nell’Italia nel Nord, nei Balcani e perfino in casa loro.
È tuttavia possibile che a maggio neanche gli Alleati fossero ancora consapevoli del ruolo nevralgico che avrebbe avuto quell’assolata città della Puglia che vedevano dall’alto dei loro bombardieri, al centro della grande pianura del Tavoliere.
L’idea di prendere Napoli e Foggia sorse, secondo l’opinione ricorrente degli storici (Lettere Meridiane ne ha parlato in due diversi post, sulla tesi in merito dello studioso Amedeo Tosti e sull’Operazione Avalanche) qualche mese più tardi: a luglio e dopo il successo ottenuto dallo sbarco in Sicilia, che convinse gli Americani sulla possibilità di invadere la penisola, partendo dal Sud.
Non è quindi per caso che le incursioni aeree conosceranno una pesante recrudescenza proprio nei mesi di luglio ed agosto, anche se la decisione definitiva venne assunta, dal generale Eisenhower in persona, solo il 16 agosto, quando seppe che il re aveva deposto Mussolini.
Il riconoscimento dell’importanza di Foggia nello scacchiere bellico della seconda guerra mondiale, soprattutto da parte italiana, è stato tardivo. Per anni ci si è domandati perché gli Alleati avessero utilizzato il pugno di ferro nei confronti della città del Tavoliere. Con l’aprirsi degli archivi e con l’avvento dalla rete, fonti che erano prima di non facile reperimento sono diventate di pubblico dominio, ed è stato più semplice dare una risposta a questa domanda.
Il paradosso è che mentre il calvario e la conquista di Foggia passarono, se non inosservate, comunque in secondo piano sulla stampa nazionale italiana, non fu così per la stampa americana, come testimonia il documento di cui sto per parlarvi, di enorme importanza per capire fino in fondo le ragioni della tragedia foggiana e il suo rapporto profondissimo con gli scenari della seconda guerra mondiale.
Foggia cade in mano inglese il 27 settembre 1943, mentre è ancora in corso l’Operazione Avalanche (nota anche come campagna Naples-Foggia) , attraverso la quale l’esercito statunitense, dopo essere sbarcato a Salerno, aveva preso Napoli e si stava avvicinando a Foggia, dove arriverà l’1 ottobre.
Il 29 settembre, l’Arizona Republic, un quotidiano indipendente pubblicato a Phoenix, che si definisce nella sottotestata “il più grande giornale degli Stati Uniti” dedica al capoluogo dauno le nove colonne d’apertura.
“La caduta di Foggia minaccia Hitler”, titola a tutta pagina, motivando l’importanza dell’accaduto nel sommario: “Un grande territorio cade sotto il controllo della potenza aerea”.
Domani su Lettere Meridiane il resoconto della caduta di Foggia del cronista di guerra Wes Gallagher, così come venne riportato sulla copertina dell’Arizona Republic.
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Le ventuno incursioni aeree su Foggia, ebbero luogo perché la città possedeva, assieme a Gerbini, uno dei più grandi complessi aeroportuali d'Italia. Il suo controllo avrebbe garantito una copertura tale che i soli complessi di Londra e Foggia sarebbero bastati per coprire la quasi totalità dei cieli d'Europa. Le decisioni vennero prese principalmente nelle conferenze ufficiali internazionali anglo-americane e in quelle private tenutesi, per esempio, nella Qasbah di Algeri. Il nodo ferroviario di Foggia garantiva anche l'afflusso di forniture militari verso importanti zone dell'Italia Meridionale: il porto di Taranto, la Sicilia. Nessuna vendetta, quindi, ma la conseguenza prevedibile e ben calcolata conseguente la nostra decisione di entrata in guerra. Le prime bombe colpirono, infatti, l'Italia meno di 24 ore dopo la Dichiarazione di Guerra. A farne le spese per prima fu Torino, i cui stabilimenti Fiat Mirafiori incassarono i primi ordigni. Per Foggia era solo questione di tempo. Le prime bombe cadono, infatti, il 28 maggio, a tre giorni dalla conclusione dell'Operazione Trident a Washington…