L’utopia di Foggia Capitale ha rappresentato una delle suggestioni più intriganti del ceto politico, soprattutto di centrosinistra, negli ultimi decenni. Più che un generico spirito di riscatto rispetto al processo di crisi vissuto dal capoluogo, dietro questa idea era sottesa una intuizione di alto profilo: il ripensamento del ruolo della città capoluogo in riferimento sia al resto della provincia e alle altre città della Pentapoli, sia ad una trama ancora più ampia di relazioni.
Rilanciata dal sindaco in carica, Gianni Mongelli, durante la sua vincente campagna elettorale di quattro anni e mezzo or sono, l’idea di Foggia Capitale aveva vissuto il suo momento di maggior vigore teorico e progettuale qualche anno prima, durante la presidenza di Antonio Pellegrino a Palazzo Dogana.
Come ho già raccontato in un’altra Lettera Meridiana (provocatoriamente intitolata Foggia Capitale? Basterebbe capoluogo), il punto più alto di elaborazione progettuale attorno all’idea si raggiunse in occasione del convegno di celebrazione del bicentenario delle nozze regali che videro protagonista il capoluogo dauno, quando si unirono in matrimonio, il 28 giugno 1797, il Principe ereditario Francesco di Borbone e la principessa Clementina d’Austria.
Gli atti di quel convegno, che si tenne il 10 e l’11 ottobre del 1997, sono stati raccolti da Franco Mercurio in un volume edito da Claudio Grenzi, che rappresenta un’utilissima lettura per comprendere il ruolo e la posizione che Foggia aveva (e che avrebbe poi perduto) nella gerarchia dello stato borbonico.
Il discorso introduttivo svolto dall’allora presidente della Provincia, Antonio Pellegrino, compendia assai bene la valenza non solo culturale di quel convegno e la filosofia che sorreggeva la sua idea di Foggia Capitale.
Il celebre chirurgo prestato alla politica va subito dritto al cuore del problema, domandandosi e domandando all’uditorio, cos’abbia da dire alla politica il fastoso evento di due secoli prima, che portarono Foggia alla ribalta del Regno.
“Diciamo subito – afferma – che non è di alcuna utilità un’impostazione nostalgica e sospirosa da laudatores temporis acti: non serve a niente rimpiangere le epoche in cui Foggia era inclita sede imperiale d’Oriente e d’Occidente, tanto meno il segno di considerazione di cui due secoli fa godette da parte di un Re e di una dinastia passati alla storia per la loro fellonia e la vocazione allo sperpero e al parassitismo. Tuttavia la rivisitazione di quei momenti suggerisce che nella geografia e nella storia di questo territorio è scritta una centralità; che cioè non sia casuale il fatto che uno statista europeo come Federico II abbia posto tra qui e Lucera la sua corte; che non per caso si siano fronteggiati in questo territorio non solo i Cartaginesi e i Romani (probabilmente sulle prime balze dell’Appennino e non nel sito chiamato “Canne della battaglia”), ma anche i Francesi e gli Spagnoli; che non per caso tra l’aprile e il giugno del 1797 giungevano a Foggia e da Foggia partivano i messi e le ambascerie con le quali si disegnava il nuovo equilibrio del continente dopo l’irrompere del prodigio militare di un giovane generale di Ajaccio; non per caso, purtroppo, nel corso dell’ultimo conflitto mondiale, la città di Foggia ha pagato un altissimo tributo di sangue, vedendo cadere ventimila suoi abitanti, pari ad un quarto di tutte le vittime civili italiane della guerra. “Foggia capitale”, quindi, non è un’indicazione o un obiettivo: è una constatazione.”
Nella tesi di Pellegrino Foggia è stata “naturalmente capitale”, data la sua fortunatissima posizione geografica. Uso il passato, ma stava tutta qui, all’epoca del convegno, anche la sfida di futuro sottesa a quella intuizione del presidente della Provincia.
Di lì a qualche mese prenderà forma il cosiddetto progetto delle quattro province, che vedrà il consiglio provinciale di Foggia stipulare un patto con le corrispondenti assisi di Benevento, Avellino e Campobasso. Nel suo intervento, Pellegrino anticipa la necessità di ripensare lo sviluppo, partendo da un più ampio sistema di relazioni: “Foggia e la Capitanata sono lo snodo, il punto nevralgico di un vasto, complesso, articolato sistema territoriale che si dirama al Molise, al Beneventano, all’Irpinia, al Melfese. Non ha molta importanza, in questo contesto, stabilire se tale sistema può essere concepito come struttura regionale autonoma o vada a sua volta inserito in strutture macroregionali più ampie. Quello che conta è che questo sistema territoriale ha nella Capitanata il suo naturale centro di gravitazione. Attenzione a non dare a questa constatazione un carattere rivendicativo: si nasce in centro o in periferia senza alcun particolare merito o demerito.”
Pellegrino pone senza mezzi termini il problema della “ricollocazione” della Provincia di Foggia. Si discuteva all’epoca della possibilità della istituzione delle macroregioni, e per la Capitanata poteva rappresentare una concreta possibilità non tanto di staccarsi dalla Puglia, ma piuttosto di tessere nuove reti di sviluppo. Nonostante siano passati da allora quasi vent’anni, la questione è ancora profondamente attuale.
Il presidente non nasconde lo spessore politico del problema.
“La nostra preoccupazione è un’altra – aggiunge – : è che la marginalità di Foggia e della Capitanata nel contesto italiano ed europeo sia uno di quelli che Roland Barthes ha definito i “miti d’oggi”; che cioè si voglia far ritenere naturale ed inevitabile un fenomeno che è invece culturale, figlio di precisi rapporti di forza e di precise responsabilità.
Partire da quel matrimonio, da quella imprevista partecipazione di Foggia alla ribollente fine del secolo XVIIl, è perché pensiamo che Foggia e la Capitanata abbiano la possibilità e il diritto di dire qualcosa alla non meno travagliata fine del XX.”
Ed ecco chiariti il senso e la portata politica di Foggia Capitale.
“Foggia capitale – conclude il Presidente – non serve a ritagliarsi un blasone, una corona di princisbecco con la quale dimenticare le molte disgrazie della nostra terra. Serve a disegnare una più ambiziosa sfida per le energie e capacità nostre e dei nostri concittadini. Una sfida alla quale possono ben concorrere tutti i governi locali e tutte le articolazioni della nostra classe dirigente, indipendentemente dal loro schieramento. Perché la questione è, per l’appunto, capitale. Viene cioè prima del legittimo ed aspro scontro politico: perché gli indirizzi, le Strategie, la programmazione e la gestione di questo territorio non possono mettere tra parentesi la questione della sua collocazione e del suo ruolo, che ne costituiscono la necessaria premessa.
Una sfida ambiziosa che comporta la piena consapevolezza dei pesanti oneri e del rigoroso senso del dovere ad essa collegato. La Daunia felice, dove l’aggettivo è assunto nel suo senso etimologico di ferace e fecondo, è la Daunia che ha percezione di sé e del proprio destino, che guarda al suo alto passato come radice della propria identità e del proprio futuro.”
La sfida resta del tutto aperta. Vincerla o perderla scandirà nel bene e nel male il futuro della Capitanata.
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PELLEGRINO, I BORBONI FELLONI E, LA CADUTA DEI MITI MODERNI…
Il mito, non sempre soddisfa il nostro bisogno di ordine e sistematicità degli accadimenti umani individuali e sociali poiché, addentrandoci in questo mondo, non riusciamo a trovare alcuna logica che ci possa completamente soddisfare.
Perciò, di miti, ne inventiamo sempre di nuovi, per poi accorgerci che la maggior parte di essi affonda le sue radici in epoche remotissime.
I miti moderni invece, godono del vantaggio di essere molto vicini ad una abitudine o struttura mentale odierna e pertanto non vengono messi in discussione. Sono idealizzazione alle quali si fa assumere nella coscienza dei contemporanei, carattere e proporzione quasi leggendari cosicché ci adiriamo quando ad esempio, qualcuno ci costringe a metterli in discussione.
Ciò vale anche per il Pellegrino uomo politico e, mito moderno.
Egli è noto, non aveva una grande oratoria e anzi, talvolta dal suo discorrere, era difficoltoso perfino trarre un preciso significa del suo pensiero. Per questo mi pare ma, sarei lieto di essere smentito che, lo scritto sia stato redatto da altri.
Sarà per questo forse che, una parte del discorso riportato, è intriso di retorica risorgimentale a tal punto che, pur citando egli la "rivisitazione storica" riferendola alla storia e alla geografia di questo territorio, definisce il Re borbone e la dinastia borbonica, come "passati alla storia per la loro fellonia e la vocazione allo sperpero e al parassitismo".
Non rammento di aver mai avuto l'idea di Pellegrino studioso di storia e quì sia chiaro parlo solo e soltanto della sua figura di politico tralasciando sua la storia professionale medica e le qualità umane delle quali, sono certo si dirà un gran bene.
Io stesso provavo una istintiva simpatia nei suoi confronti.
Con ciò non sostengo assolutamente che solo coloro che si qualifichino come "storici" abbiano il diritto di argomentare ma che, ciascuno di noi si può cimentare anche se soltanto dopo aver approfondito adeguatamente il tema.
IL MISTICISMO RISORGIMENTALE…
È necessario innanzitutto precisare che il "risorgimento" italiano è stato ed è un grande falso storico oltre che un grandissimo crimine essendosi configurato come un capitolo della storia dell’imperialismo inglese.
La politica imperiale inglese si è sempre basata su due fattori cardini: il mantenimento di una grande potenza navale e, l’alimentazione di disordini all’interno degli altri Stati che, venivano cosí distolti dalla politica estera. L’Inghilterra, per quanto riguarda in particolare il Mediterraneo, perseguí una sua complessa strategia politica che si sviluppò attraverso varie fasi.
Iniziò impossessandosi di Gibilterra e nel 1800 di Malta che, apparteneva alle Due Sicilie.
Poi, intorno al 1850, in previsione dell’apertura del canale di Suez, per essa divenne vitale possedere il dominio del Mediterraneo per potersi collegare facilmente con le sue colonie.
Per questo i suoi obiettivi principali furono l’eliminazione della Russia dal Mediterraneo, contro la quale scatenò la vittoriosa guerra di Crimea nel 1853, e il ridimensionamento dell’influenza politica della Francia nel Mediterraneo.
Il fattore determinante che spinse l’Inghilterra a dare inizio alle modifiche dell’assetto politico della penisola italiana furono gli accordi commerciali tra le Due Sicilie e l’impero russo, che aveva iniziato a far navigare la sua flotta nel Mediterraneo, avendo come base di appoggio i porti delle Due Sicilie.
La Francia, a sua volta, voleva rafforzare la sua influenza sulla penisola italiana, sia con un suo protettorato sullo Stato Pontificio, sia con un suo progetto di mettere un principe francese nelle Due Sicilie.
Per raggiungere questi obiettivi le due potenze si servirono del piccolo Stato savoiardo che, non avendo risorse economiche e militari per fare le sue guerre, dovette vendere alla Francia Nizza e la Savoia, ed era in procinto di vendere anche la Sardegna se non fosse stato fermato dall’Inghilterra che temeva un piú forte dominio della Francia nel bacino mediterraneo.
In Piemonte il sistema sociale ed economico era ben povera cosa.
Vi erano solo alcune Casse di risparmio e le istituzioni piú attive erano i Monti di Pietà.
Insomma esistevano solo delle piccole banche e banchieri privati, generalmente d’origine straniera, che assicuravano il cambio delle monete al ridotto mercato piemontese.
In Lombardia non c’era alcuna banca di emissione e le attività commerciali riuscivano ad andare avanti solo perché operava la banca austriaca.
E tutto questo già da solo dovrebbe rendere evidente che prima dell’invasione del Sud, al nord non potevano esserci vere industrie, né vi poteva essere un grande commercio, né i suoi abitanti erano ricchi ed evoluti, come afferma la storiografia ufficiale.
Per il Piemonte, dunque, il problema più urgente era quello di evitare il collasso economico, dato il suo disastroso bilancio e l’unico modo per venirne fuori era quello offertogli da Inghilterra e Francia che gli promettevano il loro appoggio per l’annessione dei prosperi e ricchi territori delle Due Sicilie e degli altri piccoli Stati della penisola italiana.
Il mezzo con cui l’Inghilterra diede esecuzione a questo disegno fu innanzitutto la propaganda delle idee sul nazionalismo dei popoli e critiche sul "dispotismo oppressivo" dei governi di Austria, Russia e Due Sicilie.
E, di quella propaganda, fa riporto Pellegrino quando parla di borboni felloni vocati allo spreco ed al parassitismo, lasciando che parte del suo mito moderno cada sgretolandosi per incompetenza storica.
LE 4 PROVINCE, UNA GRANDE INTUIZIONE…
Di ciò avevo già scritto commentando l'articolo su "Foggia capitale" (http://letteremeridiane.blogspot.it/2013/11/foggia-capitale-basterebbe-capoluogo.html) e pertanto non mi dilungherò ulteriormente anche se mi è dispiaciuto che Lei, Inserra, non vi abbia apportato alcun contributo scritto, anche critico.
MONGELLI, FOGGIA CAPITALE E, LA SUA "STRARIPANTE VITTORIA"
Lei Inserra, la propaganda elettorale di Mongelli, giustamente la sfiora soltanto quando scrive: "Rilanciata dal sindaco in carica, Gianni Mongelli, durante la sua vincente campagna elettorale di quattro anni e mezzo or sono, l’idea di Foggia Capitale…".
Altro che capitale, Foggia non potrebbe neppure vantarsi di essere capoluogo, nella condizione economica e sociale nella quale ci troviamo.
In parte ne hanno la responsabilità, le classi dirigenti, non soltanto politiche, locali, manifestamente incompetenti e classiste anche se il giudizio non è ovviamente generalizzato.
In parte la responsabilità dell'arretramento anche civile della città è dovuto allo scarso ruolo che essa ha assunto in una regione baricentrica, la Puglia che, le sottrae sfacciatamente investimenti e futuro.
In gran parte, la responsabilità è nazionale, essendo la Nazione, nata da un atto colonialistico militare nei confronti del Regno più esteso e popoloso della penisola, quello delle Due Sicilie e, della sua popolazione sottoposta per decenni ad una infame campagna razzista.
Ed essendo Foggia una città meridionale, è stata anch'essa vittima del colonialismo economico settentrionale che ha relegato il Mezzogiorno in una appendice territoriale del Settentrione "produttivo" dal quale, acquistare tutto, anche le cose più futili.
Tant'è che, rinnegata la nostra coscienza di meridionali, ci sottoponiamo acriticamente ad ogni genere di vessazione ci giunga dai cosiddetti governi nazionali.
Compresa l'adesione al Decreto Salva Enti ideato da Monti, per cui Mongelli ha ottenuto un prestito per coprire un debito e così, debito dopo debito, sacrificheremo al nazionale ogni progetto futuro di sviluppo locale.
La maggior parte della responsabilità dei problemi che affliggono il Mezzogiorno e con esso la nostra città ma, anche lo stesso Settentrione, risiede nella perdita di sovranità monetaria, fiscale e, politica che la Nazione ha consegnato nelle mani della BCE e delle grandi banche, dell'alta finanza e, delle grandi corporazioni.
Nella foga della campagna elettorale, Mongelli non mostrò mai di avere questa competenza della grande dimensione storica degli eventi.
Altro che Foggia capitale…