Nella bacheca del gruppo facebook Giornalisti di Capitanata, Gianni Cicolella ha postato un’ interessante riflessione sulle crescenti difficoltà che i giornalisti professionisti incontrano nel trovare lavoro in provincia di Foggia. Gianni pone l’accento sul paradosso rappresentato dal doppio albo.
Per i non addetti ai lavori, va detto che l’ordine professionale suddivide i giornalisti in un due elenchi, professionisti e pubblicisti. I primi hanno l’obbligo dell’esclusività, i secondi possono essere iscritti anche ad altri ordini, ovvero fare altre professioni.
Secondo Cicolella, “il pubblicista è una figura che non può più essere tollerata. O si fa il giornalista o si fa un’altra professione. Non è più tollerabile che ci sia chi mangia in due piatti e chi invece resta digiuno. Ci sono troppi professionisti disoccupati e troppi pubblicisti con il doppio lavoro.”
La questione sollevata da Gianni è concreta e condivisibile: in un periodo di forte crisi come quello che viviamo, i disoccupati – qualsiasi sia la professione che esercitano – vanno tutelati e garantiti.
Mi pare però che tanto nelle riflessioni di Cicolella, quanto nell’animatissimo dibattito che esse hanno suscitato sia stato affrontato solo marginalmente il vero nocciolo del problema: perché i giornalisti possano lavorare occorrono, prima di tutto, gli editori.
I posti di lavoro mancano perché non ci sono più editori “puri”, ovvero imprenditori che (senza essere giornalisti) scelgono di investire nel settore editoriale con la finalità (sacrosanta) di ricavarne profitti, di creare un’impresa di successo.
La figura dell’editore prevalente, in provincia di Foggia, è quella – nobilissima e un po’ romantica – del giornalista-editore, come Matteo Tatarella (Il Quotidiano di Foggia e di Bari), Piero Paciello (L’Attacco) e Antonio Blasotta (Il Mattino di Foggia). È una figura profondamente radicata nella tradizione giornalistica dauna che trova tra i suoi epigoni proprio il compianto papà di Gianni, quel Luca Cicolella che è stato per me un amico fraterno e un Maestro.
Luca è anche uno splendido esempio di pubblicista che ha dedicato al giornalismo tutta la sua vita: fu il primo capo ufficio stampa del Comune, e per molti anni redattore sportivo della Gazzetta del Mezzogiorno. Chiusa la collaborazione col quotidiano regionale, dette vita assieme a Mario Gismondi a quel grande esperimento di informazione autogestita dei giornalisti che è stato il quotidiano Puglia.
Ma la figura del giornalista-editore ha svolto e svolge una funzione di supplenza rispetto all’endemica carenza di editori “puri”.
I tempi eroici di Valverdino Della Vista e Renato Forlani (rispettivamente fondatori ed editori di Telefoggia e Teleradioerre) sono tramontati da un pezzo. I due venivano dal settore della scuola privata e con successo dettero vita alle due emittenti storiche cittadine, cedendole dopo qualche lustro ad un’altra figura che da allora ha monopolizzato il panorama dell’impresa editoriale provinciale: l’editore-politico, che investe nei mezzi di comunicazione di massa attendendosi non già un ritorno d’impresa, ma una ricaduta in termini elettorali.
Non se la passa molto meglio la comunicazione pubblica.
Qualche decennio fa, lo sbarco della pubblica amministrazione nell’informazione e nella comunicazione aveva fatto sperare in una robusta offerta di posti di lavoro giornalistico nel settore pubblico. Queste speranze sono stati frustrate dalla legge 150, che anziché creare opportunità occupazionali per i giornalisti ha finito con l’innescare un infernale spoil system.
Un fenomeno del tutto nuovo e sotto molti versi stimolante è rappresentato dall’informazione sul web, che sta portando qualche interessante e nuovo fermento, con redazioni locali di testate nazionali (Foggia Today di CityNews) e start up innovative, come Foggia Città Aperta, l’una e l’altra laboratorio di citizen journalism, ovvero di forme molto nuove
Ma è troppo poco per sperare in prospettive migliori. La crisi profonda che colpisce la professione giornalistica in provincia di Foggia è un altro aspetto della mancanza di spirito, di capacità, di cultura d’impresa.
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Il mondo dell'informazione non coincide più con i media tradizionali (carta stampata, radio e tv), quindi non ci si può aspettare che questo cambiamento epocale non coinvolga anche le figure professionali tradizionalmente legate a tale contesto. Da profano, trovo che la problematica "convivenza" fra giornalisti e pubblicisti non abbia particolare rilevanza nella questione.