Raramente mi era successo di leggere sul social network un confronto così pacato e approfondito, ma nello stesso tempo ricco e costruttivo, come quello suscitato dal post di Lettere Meridiane sull’annosa querelle del numero delle vittime dei bombardamenti del 1943 a Foggia, e sull’opportunità di iniziative rivolte ad accertare l’esatto numero delle vittime.
Vale la pena sottolineare che nel dibattito intervengono esponenti di diversi gruppi o comitato che hanno animato le celebrazioni del settantesimo anniversario della tragica estate del 1943, le cui posizioni si sono anche in qualche caso divaricate. È dunque particolarmente significativo che, davanti ad un tema così sentito quale quello delle vittime, e della memoria, le divergenze siano state messe da parte. È il primo confortante indizio della praticabilità di una ipotesi che Lettere Meridiane va da tempo avanzando: la costituzione di una public history dei bombardamenti e della successiva ricostruzione.
Di seguito gli interventi che i rispettivi autori hanno svolto nell’ambito di una conversazione su fb, proposta da Lettere Meridiane. Quello di Tommaso Palermo è stato invece postato dall’autore quale commento direttamente su Lettere Meridiane.
Salvatore Agostino Aiezza
Carissimo Geppe,sai bene cosa penso della questione e, l’ultima parte del tuo scritto è sostanzialmente la conferma del mio pensiero. Ritengo, ribadisco e sottoscrivo, che è semplicemente assurdo e, a tratti, inconcepibile, che si cerchi, da parte degli stessi foggiani, di fare di tutto per dimostrare che il numero dei morti dei bombardamenti fu molto inferiore ai 20.000 stimati. Ma quand’anche essi fossero stati 10.000 o 5.000, o 1.000, le cose non sarebbero cambiate.
In ogni luogo ove ci sono state vittime dei bombardamenti, fossero anche 1 (uno!) o due (due!) tutti; dagli studiosi, alle istituzioni, alla società civile, li hanno onorati, ricordati e lo fanno ogni anno, come fossero stati mille volte tanti.
Noi invece tentiamo a sminuire, ma è tipico del foggiano, la nostra importanza storica, i nostri dati e persino i morti! Che tristezza. Eppure, oltre alle fonti da te citate,nell’articolo, non dimentichiamo le gravi e pesanti parole di Monsignor Fortunato nella Sua missiva al Papa, nella quale parla di oltre 20.000 morti; I telex inviati dai vari questori (Benigni per tutti) e prefetti (Paternò per tutti) nei quali si parla di migliaia (decine di migliaia) di sfollati e una città deserta e distrutta. Ma poi! poi, basterebbe semplicemente fare la sommatoria di quanti, tantissimi foggiani,purtroppo testimoni di quegli eventi, i quali presi uno per uno possono dire di aver subito perdite di famigliari e amici o conoscenti o colleghi di lavoro, dei tanti testimoni che hanno parlato e ricordato, nei vari incontri, dibattiti dei lutti e delle perdite; basterebbe già questo per avere una idea della grandezza (in termini di numeri matematici) del numero dei morti. Per il resto, possiamo fare tutte le petizioni, le ricerche, le documentazioni, nessuno mai (MAI!) potrà darci il numero esatto o anche semplicemente stimabile del numero dei morti del 43, perché insieme a quelli che hanno avuto un nome, migliaia non ne avranno mai uno. Ribadisco, carissimo Geppe, la mia tristezza nel parlare di questo argomento “numerico” su un fatto così triste.
Alberto Mangano
La sfida è affascinante, magari si riuscisse a giungere ad una conclusione. Io anni fa pensai di organizzare una sorta di censimento nei paesi della provincia per sapere quanta gente aveva preso la cittadinanza definitiva in quei giorni. Considerando il censimento prima e dopo la guerra e la gente che da sfollata aveva deciso di rimanere fuori, si poteva provare a scrivere un numero, sempre approssimativo, ma forse vicino alla realtà.
Savino Russo
Ho già espresso il mio pensiero: questa storia della petizione (???) è assurda e qui si rischia di avere notizie di una manciata di morti già noti ed accertati, quando il problema è giungere a quelli senza nome. Una commissione potrebbe finalmente darsi un metodo di ricerca e potrebbe spulciare tra le pieghe di una documentazione incompleta e lacunosa, ma che comunque a qualche più definita “approssimazione” potrebbe portare. Sfatare il probabile tabù degli oltre 20.000 morti non sarebbe chissà quale offesa, sarebbe solo un servizio alla verità. Giustamente Salvatore Aiezza scrive che fossero stati solo (solo?) 5.000, la sostanza di quella tragedia non cambia.
Alberto Mangano
Pienamente d’accordo con Savino
Raffaele de Seneen
Beh, diciamo che dopo l’idea lanciata da Mercurio nel Coordinamento. Cittadino per la Commemorazione delle vittime bombardamenti del ’43, che non mi pare abbia trovato ostacoli e avversità di sorta ma che a livello di idea è rimasta, questa di ScenAperta, petizione o no, commissione o no, ripropone il caso e l’esigenza. ScenAperta ha suggerito, in mancanza di altro, un altro percorso, un altro metodo che è l’unico al momento in atto.
I risultati di questo, se ci saranno, potranno essere incrociati con l’altro che ancora non c’è, potranno essere di supporto e integrazione. Il problema è si vuol fare o non si vuol fare? Cinquemila o ventimila è la stessa cosa: i morti si contano a sentimenti, né a numeri, né a tonnellaggio e le medaglie non ce le toglierà nessuno, come i morti quanti essi siano.
Salvatore Agostino Aiezza
Le parole di Savino e Raffaele sono sacrosante. Sono d’accordo con quanto affermato da entrambi.
Tommaso Palermo ..
La questione del conteggio delle vittime resta tuttora aperta, difficilmente risolvibile a pieno per vari motivi ampiamente trattati e ben noti. Si può e si deve, però, a settant’anni dai bombardamenti, ricorrere alle fonti archivistiche, requisito basilare per ogni ricerca criteriata, documentata, seria. Ciò per uno sguardo di rinnovata sensibilità verso un mistero tutto foggiano che seppur tale chiede un’attenzione rigorosa. Plaudo quindi all’idea di Mercurio, caldeggiata da Inserra. Gli archivi comunali e cimiteriali potrebbero già da soli fornire un buon quantitativo di informazioni, non un totale rassicurante ma almeno una base solida ed ufficiale.
La raccolta di testimonianze è e resta sempre occasione preziosa e ricca, perché restituisce dati e fatti spesso inediti, molto personali e quindi carichi di densità emotiva, elemento non altrimenti rintracciabile; essa va, però, criteriata. Il problema è la gestione corretta dei dati: una volta raccolti i preziosi nominativi segnalati dai cittadini, non si dovrebbe correre il rischio di considerare quei dati come un valore assoluto, come parametro per colmare il vuoto che la città si trascina da settant’anni.
Se, però, in mancanza di cifre assolute, i nomi riescono a riempire un vuoto di memoria collettiva, a risanare un disagio storico, ben vengano quei nomi.
Il mio auspicio è per iniziative sempre più precise, coordinate e partecipate, da qualunque soggetto provengano. Desidero, in conclusione, citare le parole di Alberto Perrone a Vittorio Salvatori tratte da un notiziario del Comune del 1967, esse restituiscono alla dignità del dolore di un popolo le ragioni di un silenzio lungo settant’anni:” “Il sacrificio, soprattutto di vite umane, che con tragico privilegio, Foggia ha subito durante l’ultima guerra…è poco conosciuto dagli italiani, e ciò per la natura stessa, così schiva, della nostra popolazione che, in tutti i tempi, ha curato da sola, in operoso silenzio, le sue ferite”.
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