Raccolgo volentieri una provocazione (intelligente) di Alberto Mangano che sul suo stato facebook scrive: “I candidati sindaci sostenuti da liste civiche spiegassero bene a tutti i candidati quanti voti deve raccogliere la lista affinché uno di loro possa sedersi in consiglio, tutto prima che qualcuno possa illudersi. Sappiate che il lavoro di tutti potrebbe al massimo servire al candidato sindaco.”
Mangano ha ragione: la possibilità di essere eletto, per un candidato solo al consiglio comunale (e che non sia anche candidato sindaco) dipende da una serie di fattori, il più importante dei quali è rappresentato dal fatto che la lista ottenga il premio di maggioranza, cioè che faccia parte della coalizione del sindaco eletto.
Di conseguenza, la possibilità di essere eletti si riduce considerevolmente nel caso in cui la lista non faccia parte di una coalizione (e in questo caso, perché scatti un seggio è necessario superare la soglia di sbarramento, fissata nel 3%).
Lo dimostra l’analisi del voto amministrativo per l’elezione del sindaco di Foggia, del 2009, che fece registrare un autentico boom di candidati sindaci. Si presentarono alla griglie di partenza ben dieci candidati: tre sostenuti da coalizioni (centrosinistra, centrodestra e centro), 7 che correvano da soli, ovvero con il sostegno di una sola lista. Così come argomenta Mangano, nessuno dei candidati consiglieri comunali presenti nelle sette liste non facenti parte di coalizioni venne eletto.
Riuscirono a centrare l’obiettivo del seggio soltanto l’Italia dei Valori (candidato sindaco Giuseppe Trecca), e la Destra guidata da Paolo Agostinacchio, che conquistarono rispettivamente il 3,7 e il 3,6. Va detto che entrambi i candidati sindaci andarono meglio delle rispettive liste (Trecca ottenne 3.481 voti pari al 4%, Agostinacchio 4.753 pari al 5,4%).
Non ce la fecero tutti gli altri, i cui voti, messi assieme superarono comunque di poco il 3%.
Il sistema elettorale maggioritario favorisce la coalizione vincente e solo i candidati della coalizione che sostiene il candidato sindaco che indosserà la fascia tricolore possono sperare, beneficiando del premio di maggioranza, di venire eletti. Nel 2009 il meccanismo favorì in particolare due liste: la civica che sosteneva Gianni Mongelli, che sarebbe poi stato eletto sindaco, e la civica che sosteneva Lucia Lambresa, candidata sindaco al primo turno con il centro, poi apparentatosi con il centrosinistra, e dunque beneficiaria del premio di maggioranza.
Alle due civiche furono sufficienti circa 2.500 voti per mandare nell’assise municipale ben 2 consiglieri ciascuna: la civica di Mongelli ottenne il 2,9 per cento (2.447 voti), quella di Lambresa 2.994 voti, pari al 3,5%.
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Essere consapevoli delle difficoltà, non vuol dire averne il timore. D'altronde, associare per un puro calcolo elettoralistico una lista civica ad un candidato sindaco dei partiti storici, significa protrarre all'infinito il loro dominio sulla società civile. E' invece proprio dalla loro attuale mancanza di credibilità che deve derivare l'affermazione di un movimento popolare di persone nuove nella faccia, nei comportamenti, psicologicamente nuove, nuove nei programmi. E tuttavia la volontà popolare rimane decisiva nel promuovere con il voto tale necessario cambiamento. Il problema non è dunque nel numero delle liste civiche e dei loro rispettivi candidati sindaci. Certo non tutte promuoveranno un reale cambiamento per il fatto di essere parte attiva nell'affermazione dei partiti storici, una vera furberia politica. E ancora toccherà al corpo elettorale saper distinguere. E il popolo non è un corpo unico ma un insieme di persone diverse le une dalle altre, con dei propri co-interessamenti nel sistema di governo attuale, a qualsiasi livello di classe e di cultura.
E' quì la vera difficoltà.