Lettere Meridiane ha rilanciato, qualche giorno fa, l’ebook sulla Madonna dei Sette Veli: un piccolo quanto raro gioiello di storia locale, messo a disposizione pubblicamente da quel tesoro di conoscenza e di memoria che è Google Libri.
[Il post in cui recensivo il volume è disponibile a questo collegamento, mentre in quest’altro post ho raccontato la storia della edizione di Google]
Nico Baratta ha depositato un commento interessante, in cui riflette sul senso politico della memoria.
“La digressione storica dell’iconografia della nostra amatissima Madonna dei Sette Veli o dell’Iconavetere trascritta dal buon e sempre attento Geppe – scrive Baratta – , è un diamante incastonato nella memoria di una città che ha bisogno di ricordare per ritornare a tempi migliori. Uno sprone per tutti i foggiani che dovrebbero ricordare nel momento opportuno a chi affidare le proprie volontà e future scelte a chi merita e a chi, senza indiscussi fini ad personam, potrebbe cambiare malcostumi locali. Ora, senza proseguire nella discussione di pura opinione politica, secondo il mio modesto parere la pubblicazione di Geppe è l’ennesimo buon tentativo di ridare alla storia foggiana la sua importanza storica e culturale che abbiamo l’obbligo di tramandare ai nostri figli e non solo attraverso l’educazione e la formazione tra le mura domestiche, bensì tra quelle scolastiche, semmai dedicando un po’ del prezioso, ma oramai ridotto, tempo di professionisti del settore.”
“ Come pure, questa pubblicazione – aggiunge l’autore del commento – , dovrebbe incitare i nostri amministratori a progettare e compiere eventi specifici utilizzando i nostri contenitori culturali, anche quelli per ora chiusi o malgestiti, riempiendoli di foggiani da attrarre con mostre pittoriche e iconografiche, anche estemporanee, serate teatrali e canore con tanto di concerti musicali, letture di libri (con tanto di interprete per il linguaggio dei segni) coinvolgendo i più giovani, futuri cittadini responsabili (si spera e se rimarranno) della nostra amatissima città di Foggia. Insomma, investire nella cultura locale è un volano da non sottovalutare, sempre che si abbia la voglia di farlo. Ad Maiora!”
Nico coglie con molta efficacia il senso – come dire – politico della memoria, quella che poi contribuisce a creare l’identità di una comunità, a sedimentarne il genius loci e a fare in modo che quella comunità viva con più o meno agio il contesto che la circonda. Se un ragazzo si riconosce nel suo quartiere, nella sua città, se percepisce come patrimonio suo il parco, il monumento, il giardino pubblico, il cassonetto dell’immondizia difficilmente li farà a pezzi o si darà a gesti vandalici. Il senso civico non s’impara (purtroppo) a scuola: è una diretta conseguenza della percezione di se stessi e del mondo: della propria identità.
Questa memoria che sprigiona identità e senso di appartenenza a Foggia difetta, e non da oggi. Non è solo un problema culturale, ma se vogliamo anche demografico. Negli ultimi settant’anni Foggia è stata costretta a cambiare pelle e identità: dalla tragedia della guerra che tanta memoria ha cancellato, dall’immigrazione galoppante che si è registrata negli anni della ricostruzione.
Gli immigrati hanno portato con se la loro tradizione, la loro cultura, e non deve far meraviglia che la devozione verso la patrona, la Madonna dei Sette Veli, debba fare i conti con devozione importazione, come la Madonna di Ripalta, o San Matteo.
Si comprende così anche l’amaro silenzio condito da diffusa delusione che Foggia ha registrato qualche giorno fa, la notte del 15 agosto, festa della Patrona, con il venir meno della tradizione pluridecennale dei fuochi pirotecnici. In altri luoghi sono realizzati attraverso le libere offerte dei fedeli e dei cittadini, eventualmente con il contributo finanziario dell’amministrazione comunale (ma non determinante). Il comitato feste patronali non ha raccolto fondi a sufficienza, e ai foggiani non è rimasto null’altro da fare che recarsi il giorno dopo nella vicina Lucera.
Ecco cosa accade quando le radici cominciano a diventare malferme.
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Sinceramente non so da dove cominciare per dire tutto quello che non condivido di questo post. Trovo come al solito insulso e sgrammaticato Baratta, e questo non fa notizia; ma trovo sorprendentemente confusionario e fuorviante anche il tuo approccio, Geppe. Importantissima la storia locale, ci mancherebbe; e preziosi in essa gli apporti della microstoria, di quel tessuto di piccole abitudini e vicende, ma anche di percezioni a volte ineffabili, che ne fanno cemento. Ma cosa c'entreranno mai i fuochi pirotecnici? La banale evidenza è che da molti anni il Comitato Feste Patronali non riesce a raccogliere cifre adeguate, per l'ottimo motivo che -come in molte altre cose- i Foggiani (più precisamente una loro minoritaria e rumorosissima parte) si sono abituati a ritenere che ci debba pensare qualcun altro. Atteggiamento che è il contrario della storia, dell'identità e della cultura? Che l'inurbamento abbia portato ad un (salutare) allargamento del nostro tessuto comue, a scapito di qualche residuo curtense, è storia comune dei centri urbani (cfr. Guccini, "Bologna"). Ma l'identità di Foggia, quella vera, non è in qualche spettatore parassita e becero sempre pronto ad intonare il coro delle lamentazioni, ma nelle decine e centinaia di foggiani che nelle corsie di ospedale, negli hospice, alla Stazione, nelle mense dei poveri, con i bambini di Chernobyl, con i cerebrolesi e con tutta la purtroppo enorme geografia della sofferenza umana onorano la "foggianità". Quelli che i fuochi li portano dentro, e per giunta non sono affatto artificiali.
Da Nico Baratta:
Come al solito il Ciccarelli si commenta da se e molti foggiani lo sanno evitandone il contatto, figuriamoci il rispondere. Offese, solo questo sai dire e scrivere Enrico. Stammi bene (?), mah….