La svolta di don Tonino Intiso: dall’oratorio al pensatoio, sempre dalla parte degli ultimi

Non è la prima volta che durante la sua vita sacerdotale, don Tonino Intiso si trova davanti a un bivio. Si è sempre lasciato guidare dalla Provvidenza, dalla consapevolezza che – come recita la copertina del suo ultimo libro – “la nostra vita è la storia di Dio”, il disvelarsi quotidiano e concreto del rapporto tra l’uomo e il suo Creatore.
A metà settembre lascerà la guida della parrocchia-oratorio San Filippo Neri, che per dieci anni ha diretto con l’entusiasmo di un prete abituato a stare dalla parte degli ultimi. Veniva da altre periferie: quella dei disagiati mentali assistiti alla Casa della Divina Provvidenza di via Lucera e quella dell’Opera Nomadi. Periferie cui aveva ispirato, per tre anni, la sua attività quale Vicario per la Pastorale.
San Filippo Neri sorge a poche centinaia di metri in linea d’aria, all’estrema periferia orientale della città, alla fine della zona 167 di rione Biccari. Per dieci anni le funzioni religiose si sono svolte in un garage. Tra qualche settimana verrà inaugurata almeno in parte la nuova Chiesa: il nuovo parroco, mons. Antonio Sacco, potrà organizzare l’attività pastorale in un contesto logistico più adeguato e funzionale alle necessità di una comunità comunque popolosa.

Chissà cosa resterà dello spirito dell’oratorio filippino su cui don Tonino ha cercato di modellare la sua attività in questi anni? Non avendo a disposizione spazi idonei, ha puntato a fare parrocchia “fuori dal Tempio”, spesso celebrando la messa nelle sale condominiali o anche nelle abitazioni delle famiglie (ne ha fatto più di trecento). La stessa attività catechistica è stata orientata alle famiglie: quando il bambino si prepara alla prima Comunione, al catechismo ci vanno anche i genitori e in qualche caso perfino i nonni.
Le prime Comunioni non sono state moltissime: sono state però il nocciolo su cui si è nata e si è radicata la piccola comunità parrocchiale. L’attività culturale è stata intensa: dalla pubblicazione di Vita Comunitaria che ha scandito settimanalmente la vita della comunità, nel tentativo di portarne fuori la voce e  il messaggio anche a quanti non frequentano la messa, al Pensatoio, che per anni ha raccolto e pubblicato rassegne stampa ragionate sui fatti della città, nella convinzione che Dio parli e si sveli ed indichi strade anche… “nella strada”.
Adesso si cambia tutto. Cambia la Parrocchia col nuovo titolare, cambia don Tonino che andrà per altri lidi. La fase di transizione è stata amara e per certi versi dolorosa, e ci sono stati anche momenti di frizione tra l’Arcivescovo e la gente della Parrocchia.
Dieci anni non sono molti, quando si deve operare in un contesto – logistico, organizzativo e sociale – così difficile. È più tempo di semina, che non di raccolto. Sarebbe stato forse il caso di concedere al Parroco uscente la possibilità di governare anche la fase di radicamento della Comunità nella nuova Chiesa. Ma così non è stato, e, forse, “provvidenzialmente” per don Tonino può essere una fortuna la svolta che si profila: una svolta importante, che potrebbe portarlo a svolgere una funzione nell’associazione Genoveffa de Troia, una delle più importanti istituzioni di volontariato e di solidarietà della provincia di Foggia. La novità potrebbe preludere al rilancio del progetto varato da don Tonino quando era direttore della Caritas Diocesana: Osare più solidarietà, nella consapevolezza che con una maggiore ma anche più pensata solidarietà non soltanto si dà una risposta ai problemi delle persone che soffrono (e che sono esponenzialmente cresciute con la crisi economica), ma è anche possibile migliorare la qualità della vita di tutta la città, aggiungendovi una maggiore coesione sociale, una più diffusa condivisione.
Don Tonino, perché sostieni che la solidarietà va ripensata?
Partiamo da un dato di fatto. Il nostro territorio, cioè Foggia e provincia, posseggono una straordinaria ricchezza di talenti, risorse umane e naturali, ambientali, culturali. Però la povertà è in crescita.E non che manchino le organizzazioni di volontariato o le iniziative di solidarietà. Quel che manca è forse il riconoscersi, da parte di quanti fanno volontariato o producono momenti di solidarietà, in un progetto forte, un obiettivo e in un modello comune. Un obiettivo e un modello che non possono essere calati dall’alto, ma  vanno appunto pensati, progettati. Il “fare” dev’essere sostenuto ed alimentato dal primato del pensare, per motivare con forza e consapevolezza la ricerca di solidarietà e per creare un’autentica comunione attorno ad essa.
Le diverse iniziative gestite dall’associazione Genoveffa de Troia potrebbero diventare un laboratorio per sperimentare questo modello?
L’idea è affascinante, anche in considerazione del fatto che si tratta di iniziative solide e profondamente radicate. È molto stimolante e promettente l’incontro, la relazione tra l’associazione e “Il pensatoio”, che con la conclusione dei mio mandato pastorale a San Filippo Neri è chiamato adesso ad uscire dal tempio, e forse è un bene, perché avrà modo di mettersi in relazione con una dimensione più ampia.
Nostalgia, rimpianti?
È umano che quando si chiude una pagina e si comincia a scriverne un’altra resti un po’ d’amarezza, che è però sicuramente temperata dal fatto che gli scambi, i rapporti ci hanno arricchito e ci restano dentro. Porto con me una parte dell’anima e del cuore dei tanti fratelli e sorelle, soprattutto ragazzi, che in questi anni hanno riempito di luce l’attività di San Filippo e sono certo che, attraverso loro e attraverso la memoria del reciproco arricchimento, una parte del mio cuore e della mia anima resterà sempre a San Filippo.
Che bilancio puoi trarre dalle iniziative degli ultimi mesi, come la pubblicazione e la presentazione del libro “La nostra vita la storia di Dio”, la pubblicazione dell’e-book “Osare più solidarietà”, gli incontri per rilanciare il Pensatoio?
Foggia è lenta a mettersi in moto. E la mia sensazione è che l’exploit di internet e del social network abbia peggiorato la situazione. La condivisione virtuale serve a poco quando si tratta di mettere in piedi progetti che richiedono un impegno personale, non foss’altro in termini di tempo, di riflessione, di pensiero, appunto. L’adesione alle idee, ai progetti che in rete si dà cliccando sul pulsante “mi piace” o su “parteciperò” restano fini a se stesse, se non preludono ad incontri veri, a relazioni reali.
Le copie del libro sono state tutte distribuite, a me è rimasta una sola. Il ritorno economico è stato scarso, al punto che sono in debito profondo con la tipografia. Giudicando esteriormente, da questi dati, ci sarebbe veramente di che scoraggiarsi.
Ma non demordiamo, anzi rilanciamo. Perché a breve Foggia ha un appuntamento con la storia, cui non può sottrarsi e che sono fiducioso veramente riuscirà a ridare vigore all’idea di una Foggia che può, deve osare più solidarietà.

A che ti riferisci?
Al trentesimo anniversario della Giornata Internazionale della Lebbra che si svolse a Foggia nel 1983, e che ricorre proprio per quest’anno. Anche in quella occasione ci fu una partenza lenta, ma man mano che il progetto andò avanti e mise radici, riuscimmo a coinvolgere veramente tutta la città, a tutti i livelli, centrando l’obiettivo che ci eravamo prefissati e contribuendo alla realizzazione dell’ospedale di Nalgonda.
Quel che portò al successo non fu soltanto l’entusiasmo e l’impegno dei volontari che ne furono coinvolti, ma il metodo: non ci limitavamo a raccogliere fondi. La raccolta era un’occasione per sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della lebbra, e la lebbra era a sua volta un’occasione per riflettere insieme sui problemi della diversità, dal terzo mondo, della salute. Ecco il pensiero che produce solidarietà, e la solidarietà che produce pensiero, riflessione, ulteriore condivisione.

Don Tonino mi porge un libro francese “Raoul Follereau Hier de aujourd’hui” di Etienne Thévenin. Un capitolo è dedicato a Foggia, anzi, più precisamente al metodo-Foggia. L’autore si sofferma in modo particolare sull’idea di un progetto comprensivo che, attraverso la festa che si svolse ad ottobre 1983 (e che propose momenti di spettacolo, di musica, mostre d’arte e di fotografia) riuscì a svolgere una capillare azione di sensibilizzazione, contribuendo al successo dell’iniziativa.
Trent’anni dopo Foggia può ritrovare lo stesso spirito, lo stesso slancio.

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Author: Geppe Inserra

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