Caro Geppe,
le cose da te sottolineate in tema di social network e informazione, e poi commentate ottimamente dai colleghi Lapenda e Ciccarelli e delicatamente espresse in breve da Ninì Russo, non lasciavano margine a un ‘duro e puro’ come me (non si tratta di un’autocitazione, piuttosto di un auto rimprovero…).
Il nostro vecchio e sempre attuale www.ilvademecum.it sta ancora lì, fedele testimone di un’epoca triste ma fiero strumento che voleva tendere al miglioramento e non all’annullamento delle professionalità e delle imprese locali, come erroneamente da molti considerato.
Era nato, prima settimanale e poi mensile, semplicemente per “fare informazione su chi fa informazione”. Ricevetti querele e indebite pressioni politiche (tu sai bene da chi e da allora ho smesso di iscrivermi a quel partito, pur sostenendolo alle elezioni, ma turandomi quasi sempre il naso. Per la cronaca non era la DC…).
Ma, al di là di ciò, avrei voluto aggiungere anch’io qualcosa. Gli interventi dei tre citati colleghi, invece, mi hanno frenato: avrei aggiunto pochissime cose intelligenti, forse nessuna.
Ho allora preferito entrare a gamba tesa, ma sul pallone non sull’avversario, e per essere risoluto e chiaro e non per far del male (il mio antico motto è sempre: “A prescindere”).
Richiamandomi al mio commento [è possibile leggerlo qui, n.d.r.] in cui citavo l’immancabile autogol della Gazzetta di Capitanata (delle 4 foto sui bombardamenti, presunti, sulla nostra città ben 2 riguardavano altre città e sicuramente non la martoriata Foggia), ecco le prove: si tratta di Londra e di Dresda. Te le allego perché tu possa pubblicarle e confrontarle con la pagina citata [fatto, sono le foto che illustrano questo post, n.d.r.].
Addirittura la Gazzetta era arrivata a spiegare nella prima didascalia – nella edizione del 22 agosto scorso, a pagina 5 – che si trattava di “Piazza XX Settembre dopo le bombe” (era invece Londra) e nella seconda “Come appariva Foggia dopo i bombardamenti a tappeto” (era Dresda).
Ovviamente quelle immagini non tolgono nulla al dramma foggiano, agli orrori e agli errori commessi. Ma il lavoro del giornalista prescinde da tutto ciò: deve puntare alla qualità del servizio, alla precisione, al rispetto dei lettori, alla verifica e veridicità delle fonti.
Quando dirigevo la rivista Diomede – tra il 2009 e il 2011, una delle poche cose belle che mi onoro di aver ideato e diretto con tanta fatica e senza alcun ritorno economico – avevo preparato per quello che doveva essere il nuovo numero (febbraio 2012, mai pubblicato), un lungo servizio – documentato e urticante – sulle pretese storiche di un nostro noto e valente collega giornalista foggiano, il quale asseriva sulla Gazzetta di Capitanata – sull’onda emotiva dell’allora recente naufragio della nave Costa Concordia all’Isola del Giglio – che il grande ingegnere e progettista foggiano Francesco Rotundi aveva anche collaborato alla fase progettuale del mitico transatlantico “Andrea Doria”, affondato nell’Oceano nel 1956, lui che – morto nel 1945 – aveva speso una vita nel solo àmbito militare, sia in termini carrieristici che progettuali.
Avevo raccolto tantissimo materiale, intervistato telefonicamente e via mail numerosi esperti di ingegneria navale – italiani ma di fama internazionale – oltre a parenti del Rotundi ma nessuno aveva confermato quella strampalata ipotesi del nostro collega, il quale, a suffragio delle sue tesi, aveva citato libri a mio parere tuttora inesistenti; indicato siti internet che pubblicano tutto tranne quello che lui asseriva ed altro ancora. Peccato che la nostra rivista non sia più stata pubblicata e quel materiale sia rimasto inedito.
Ma non avendo problemi a confrontarmi con lui, chiedo a Geppe Inserra di far da giudice in un possibile, futuro “incontro chiarificatore” che faccia luce in maniera chiara e netta sulle due versioni.
Un cordiale saluto e… buona informazione alla Foggia che verrà.
Maurizio De Tullio
Caro Maurizio,
se lo ritieni, Lettere Meridiane potrebbe pubblicare il pezzo che avevi scritto per Diomede, rivista che ha rappresentato uno degli ultimi tentativi (e riusciti) di coniugare qualità dell’informazione con qualità della veste grafica e della presentazione ai lettori. Sarebbe il caso di riflettere, oltre che sull’informazione nell’era dei social media, anche sulla crisi impietosa che investe l’editoria, con particolare riferimento a quella stampata. La crisi ha provocato la chiusura di buona parte delle testate, soprattutto quelle periodiche provocando, di riflesso, anche una caduta di qualità.
È chiaro che un buon articolo resta un buon articolo, indipendentemente dal supporto su cui viene offerto al pubblico. Ma la carta è una cosa, l’immateriale leggerezza dei bit un’altra.
Accetto in ogni caso, se ve ne saranno le condizioni, il ruolo di arbitro che intendi affidarmi, a proposito di Francesco Rotundi. Se la memoria non m’inganna, un grande collega che di lui ha scritto è stato Gaetano Matrella.
Per quanto riguarda il possibile errore della Gazzetta del Mezzogiorno (non ho letto l’articolo, e quindi non posso dire nulla a riguardo) conoscendo la professionalità della collega, sono propenso a ritenere che si sia trattato di un banale (per quanto deprecabile) errore grafico.
Condivido comunque tutte le tue perplessità circa i rischi provocati dalla crescente enfatizzazione dell’informazione, il voler/dover scrivere comunque e a tutti i costi, spesso riferendo le cose più per sentito dire, che non sulla base di riscontri ed approfondimenti. È un’enfatizzare determinata, forse, proprio dalla necessità, di dover inseguire il ritmo frenetico imposto dai social network e dalle televisioni.
Senza dire, poi, dell’impoverimento dei contenuti. La sintesi prima di tutto: ma come fai a spiegare bene le cose, in 1.000/1.500 battute?
Geppe Inserra
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