Troia, ombelico del mondo, e noi gamberi di collina

Leggendo il bell’articolo di Ennio Tangrosso su Affari Italiani a proposito dei guasti provocati al territorio dall’assedio di pale eoliche, impianti fotovoltaici e di biomasse, mi sono tornati alla mente tanti ricordi, tante sfide, un pezzo della mia storia, del mio rapporto con Troia.
Ho pubblicato la recensione di Lettere Meridiane sul gruppo fb Civitas Troiana (ringrazio Ninì Russo per averlo voluto mettere in evidenza), ne è nata una discussione sincera ed appassionata, di cui riferirò in seguito.
Troia è la cittadina pugliese che maggiormente simboleggia la contraddizione posta in evidenza da Tangrosso: città d’arte per vocazione e per l’impressionante patrimonio storico e artistico; città spiccatamente agricola, in grado di produrre eccellenti ortaggi, vini, olii, è oggi il comune dei Monti Dauni maggiormente “tributario” di terreni per l’installazione delle pale.
Per comprendere quale feroce impatto abbiano provocato i parchi energetici sul paesaggio basti sapere che una volta si poteva facilmente intravedere dal Tavoliere il profilo dello straordinario duomo romanico di Troia. Oggi non più. La visione è impallata dalle eliche che producono l’energia.
La verità, non espressamente dichiarata da Tangrosso, ma che attraversa come un filo rosso tutto il suo articolo è che probabilmente la Capitanata (ancora una volta, ahimè) ha imboccato la strada di un modello di sviluppo sbagliato.

Ma la verità è che proprio a Troia, proprio all’ombra di quella cattedrale sottratto alla vista di quanti vivono in pianura, esistono gli anticorpi per riflettere – se non altro – sulla possibilità di uno sviluppo diverso.
I ricordi di cui vi ho detto prima risalgono a quando ebbi la fortuna (grazie a Giacomo Curato) di dirigere Radio Studio 98, e là di incontrare un gruppo di amici e di compagni meravigliosi: quell’indimenticabile “gambero di collina” che è stato Lillino Altobelli, e poi Giovanni Aquilino, compagno di vita e di strada in tante avventure culturali, Antonio Gelormini, di cui ho sempre invidiato la scrittura, tanto rigorosa nella logica che la sorregge, Leon Marino, capace come nessun altro di raccontare attraverso forme e colori la civiltà contadina e le sue perduranti potenzialità. E ancora Angelo Bortone, Paolo De Santis.
La radio raccontava tutti i giorni una Troia possibile, ma quelle parole che volavano – tipiche dei moderni mass media – poco s’addicevano alla necessità di declinare meglio – attraverso la pagina scritta – quella Troia possibile e sognata.
Fu così che nacque La Refola e soprattutto l’idea di uno sviluppo diverso che proprio (e forse solo) nei Monti Dauni poteva trovare l’opportunità per dispiegarsi: uno sviluppo affidato in primo luogo alla cultura e all’identità del territorio, alle sue risorse più autentiche e più profonde: più le pietre parlanti della Cattedrale (su cui Aquilino ha scritto pagine straordinarie e temo ancora inedite) che non il vento, per sua natura effimero; più il “nero di Troia” che sgorga dai vitigno di Diomede che non l’improbabile energia prodotta dagli orrendi pannelli fotovoltaici.
Quel progetto riuscì ad ottenere il consenso della cittadinanza, procurando la vittoria della coalizione di sinistra guidata da Domenico Labella: la prima volta Domenico sopravanzò la lista avversaria di appena 14 voti. La seconda invece quasi raddoppiò i voti. La maggioranza si sciolse poi per contrasti interni: in politica come nella vita – si sa – le cose belle finiscono.
C’è però chi tiene ancora duro. Giovanni Aquilino e Antonio Gelormini sono i protagonisti di un progetto – Ecotium – che affida alla cosiddetta economia dell’ozio la suggestione di un altro modello di sviluppo per i Monti Dauni, ma anche per il resto della Capitanata. “L’Economia dell’Ozio – scriveva qualche anno fa Aquilino in un editoriale in cui presentava il primo ciclo di incontri promosso per declinare il concetto – può rappresentare il tentativo di uscire dalla schiavitù del tempo dettato dall’economia di mercato, per provare a dare valore all’andamento dei propri tempi interni, che come si è ampiamente sperimentato non possono essere né accelerati né monetizzati, pena l’accumulo di stress. Economia dell’Ozio significa ampliare lo spazio e le estensioni della nostra mente, del nostro sentire, portandoci fuori dei luoghi comuni, convincendoci che il tempo non è affatto denaro e che anche avendo denaro non si può comprare il tempo.”
La riflessione sull’economia dell’ozio si è arricchita quest’anno di un ulteriore tema: l’Amor Loci, quell’amore per il luogo (il proprio luogo, quello in cui affondano le nostre radici) sempre più soffocato dagli oltraggi al paesaggio e al territorio denunciati dall’articolo di Tangrosso.
Intervistata da Antonio Gelormini, Elena Granata (autrice assieme a Paolo Pilieri di un libro sull’argomento ed ospite della stagione 2012 di Ecotium), ha detto:  “È impressionante vedere la metamorfosi del paesaggio pugliese, vedere le sue colline morbide ed eleganti, la sua campagna ricca di colori, punteggiata dalle pale eoliche in maniera sparsa e disordinata, senza alcun tentativo di armonizzare qualità del paesaggio ed esigenze energetiche. L’erosione del paesaggio italiano è avvenuta nella disattenzione e nel silenzio. Oggi è necessario recuperare e diffondere una cultura del paesaggio e del suolo come beni comuni, da difendere nella consapevolezza che sono beni che ci riguardano da vicino, sono lo specchio di noi stessi, e non hanno solo valenza estetica e contemplativa ma anche discorsiva ed etica: ci ricorda chi siamo e chi siamo stati, ci invita a riflettere su chi vogliamo essere.”
Mi è stato riferito che in occasione della presentazione del prezioso volume in cui Leon Marino ha raccolto le copertine firmate per La Refola, qualcuno – che da anni regge le redini del governo municipale – abbia ironizzato sul ruolo svolto dal giornale verso la città, sostenendo più o meno: “mentre voi pensavate a sognare, noi costruivamo il futuro”.
Se i risultati sono questi, non ho dubbi: preferisco sognare, continuare a sognare assieme a Giovanni Aquilino e Antonio Gelormini.

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Author: Geppe Inserra

1 thought on “Troia, ombelico del mondo, e noi gamberi di collina

  1. … hai fatto bussare alla nostra porta i ricordi. Ricordi che mi sono giunti accompagnati dal rammarico di averli solo potuti seguire dalla struggente lontananza che per tanti anni mi ha escluso da quei fermenti. Grazie Geppe.

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