Sarà la rete, con le sue potenzialità, con i suoi social network a permettere al Mezzogiorno di superare il gap di partecipazione, il deficit di quella che Robert Putnam ha definito civicness, neologismo che sta più o meno a definire il senso civico, ma un senso civico al quadrato: quella roba che, secondo il politologo americano, innesca sviluppo, quella roba che manca al Mezzogiorno, che proprio per questo si trova in ritardo rispetto al Nord?
Non c’è dubbio che la rete abbia favorito meccanismi di aggregazione e di partecipazione che, per quanto intangibili, sono assai più concreti di quelli, spesso finti (e, questi sì “virtuali”) della politica.
È una lezione che stanno imparando anche i giornali, le televisioni. La rete sostituisce ai meccanismi tradizionali della informazione (unidirezionali: c’è un’emittente e ci sono i destinatari passivi del messaggio): gli ascoltatori, gli spettatori che possono soltanto riceverlo, al limite smadonnare se sentono puzza di bruciato o di bugia, ma non interagire.
È una lezione che sta imparando anche la politica, come ha dimostrato l’evento Ultimi ma non ci arrendiamo, promosso dalla componente renziana del Pd di Capitanata.
Almeno negli ultimi anni, era successo molto di rado che un incontro politico avesse fatto discutere tanto, prima e dopo il suo svolgimento.
L’originalità dell’iniziativa dei seguaci del sindaco di Firenze stava proprio nell’incontro con l’universo della rete, dei gruppi del social network. I commenti e le polemiche si sono tuttavia limitati ad un terreno – come dire – piuttosto convenzionale se non tradizionale. Si è discusso sulla credibilità dei promotori, che dicono di voler radicalmente trasformare il metodo, la sostanza ed i soggetti della politica cittadina. Si è discusso, in generale, su come possa promettere discontinuità la corrente di un partito – il Pd – che governa la città – quella città che si vuol cambiare, che si vuol far crescere – da dieci anni. Discussioni interessanti, appassionate, sincere. Ma tutto sommato, esse stesse vecchie.
La sfida che attende i renziani – se intraprenderanno con la necessaria coerenza la strada tracciata dall’evento dell’Altrocinema – è in fondo speculare a quella che il social network sta ponendo ai giornali, alle televisioni, all’informazione convenzionale.
Se questi ultimi devono promuovere il lettore, lo spettatore ad interlocutore attivo, un gruppo politico che voglia veramente confrontarsi con la rete deve promuovere il potenziale elettore a cittadino. Deve riconoscere nei gruppi, nei movimenti che riempiono di fermenti facebook ed altri social network non già terreni nei quali cercare consensi, ma agorà in cui esercitare e in cui mettere a prova la dichiarata volontà di cambiamento.
Il cittadino-elettore deve diventare, per dirla col gergo del più diffuso social network del mondo, veramente un “amico”, le cui opinioni, suggerimenti, critiche, osservazioni diventano lievito per cambiare la politica, la costruzione della nuova politica.
L’importante non è essere d’accordo tutti con tutti. Anzi, l’espressione di opinioni divergenti, la manifestazione del dissenso costituiscono una risorsa preziosa, una garanzia di confronto vero, che è da lungo tempo assente dalla vecchia politica.
E lo stesso accade per l’informazione. La rete, l’intreccio delle relazioni è così spesso, denso, che produce esso stesso fatti, notizie. I lettori diventano produttori di notizie, e le notizie cessano di essere quelle che sono state fino a ieri, ovvero “racconti di fatti” prodotti generalmente da giornalisti addetti di uffici stampa, con il rischio di perdere contatto con i fatti veri, quelli che succedono nelle strade, nelle piazze, con il rischio di parlarsi addosso, tra conventicole di addetti ai lavori.
L’informazione e la buona politica sono gli strumenti essenziali attraverso i quali si può costruire la civicness indicata da Putnam quale il vero fattore del divario che oppone Nord e Sud e ci fa essere ultimi.
Va ricordato che Putnam attribuisce la concentrazione di civicness nelle aree centro-settentrionali del Paese al fatto che queste hanno conosciuto, attraverso i Comuni, esperienze condivise e democratiche di governo della cosa pubblica, assai prima di quanto non sia stato per il Mezzogiorno, governato sempre da un potere centrale, e molto distante dalla vita quotidiana.
Il Sud è stato sempre carente di agorà. Al centro e al Nord le piazze sono da sempre usate per l’incontro, lo scambio di opinioni, il confronto. Da noi sono state storicamente per ingaggiare i braccianti, per il mercato delle braccia.
Se la buona politica e la buona informazione guarderanno sinceramente alla rete come opportunità di costruzione dell’agorà riusciremo forse a recuperare il gap di civicness. E non saremo mai più ultimi.
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