Foggia nel secolo XVII |
Recenti accadimenti hanno rilanciato il tema di Foggia, città senza memoria. A voler esser precisi dovremmo parlare di “non accadimenti”, perché il dramma di questa città è che gli avvenimenti – le bombe che distruggono, il vandalismo che deturpa – vanno a sommarsi disastrosamente a quel che non accade: l’incuria, il disinteresse, l’abbandono l’oblio che colpisce i siti della storia e del passato come la Tomba della Medusa, la Masseria Regia del Pantano, San Lorenzo in Carmignano.
Ho ritrovato, sulla questione, un bel saggio di Antonio Ventura, che è stato per anni il responsabile dei Fondi Speciali della Biblioteca Provinciale, quindi il curatore del Museo Provinciale del Territorio che sta in via Arpi, prima di andare in pensione.
Alla passione verso la storia, Ventura ha sempre accoppiato un intenso impegno civile e culturale, nella consapevolezza che la memoria è una risorse fondamenta per il futuro di una comunità: se non sappiano precisamente chi siamo stati, è difficile renderci conto di chi siamo (oggi) e quindi progettare chi saremo (domani).
Il saggio di cui parlo (cliccare qui per scaricarlo) è stato pubblicato nella prima parte dell’annata 1984-1985 de La Capitanata, la rivista della Biblioteca Provinciale i cui numeri sono tutti disponibili e scaricabili nell’area digitale del bel sito della biblioteca La Magna Capitanata.
L’articolo riproduce la relazione che Antonio Ventura svolse il 24 aprile 1985, al Palazzetto dell’Arte, in occasione dell’incontro culturale “Rivisitiamo la città” organizzato dal CRSEC (Centro Servizi Culturali) della Regione Puglia. In città c’erano diversi di questi centri, ciascuno dei quali ospitava una biblioteca di quartiere. Istituiti dalla Cassa per il Mezzogiorno nel 1969, i CRSEC hanno svolto negli anni Settanta ed Ottanta un importante ruolo di animazione culturale a Foggia, ed è significativo che si riflettesse sul tema della memoria e delle sue tracce in un momento – gli anni Ottanta – in cui l’ottimismo provocato dal boom industriale e dalla ricostruzione cominciava ad affievolirsi e il modello di sviluppo perseguito fino ad allora cominciava a mostrare evidente crepe.
Ventura affronta con intelligenza e coraggio il tema, traendo lo spunto da una domanda tutt’altro che retoricaperché le tracce della memoria sono così scarse, nel capoluogo dauno, e quali effetti sono stati provocati da questa assenza?
“Molti e gravi, purtroppo – scrive Antonio Ventura – sono stati, nel corso dei secoli, gli eventi naturali ed umani che concorsero a cancellare le più preziose tracce di quella memoria storica che tanti, ancora oggi, vogliono negare alla città: negli anni 1456, 1534 e 1731, la furia rovinosa di terremoti, ripresentandosi con effetti sempre più devastanti, disfece quasi interamente la città antica ed i suoi monumenti; mentre, nel 1528 l’invasione del francese Lautrech, ma soprattutto, nel 1898, la rabbia cieca della folla distrusse col fuoco l’archivio comunale, unica testimonianza dell’evolversi di una coscienza civile cittadina attraverso i secoli.”
Il prezzo pagato dalla città, dalla sua coscienza civile è stato molto caro. Secondo l’autore, le vicende storiche della città hanno “sempre impedito la formazione di una cultura e di una tradizione omogenee e durature.”
“Terra di conquista, Foggia – aggiunge Ventura – è stata continuamente, nel corso dell’intera sua storia, preda ambita, passata, di volta in volta, dalle mani di condottieri spregiudicati e di ambiziosi imperatori a quelle di regnanti avidi che badarono soltanto a sfruttarne le risorse del territorio. Pertanto, il potenziale umano che avrebbe dovuto proiettare il futuro della città verso più alti traguardi civili, si disgregò inaridito e si chiuse alle esperienze della tradizione cittadina ed alle conquiste della cultura e dell’arte. L’intellettualità locale, schiacciata dal continuo sovrapporsi di forze e culture eterogenee, perse l’identità della propria origine e, di conseguenza, la città stentò ad acquistare una fisionomia ben definita sul piano storico delle civiltà urbane.”
La questione della memoria si pone insomma ben più profondamente di quanto non appaia a prima vista. È mancato un ceto intellettuale che si occupasse di difendere l’identità, di lasciare che la memoria si sedimentasse, producendo quel senso di appartenenza che stimola la crescita di senso civico.
È un problema che si pone in qualche modo ancora oggi, proprio in riferimento allo scempio edilizio delle periferia, che sta cancellando tracce preziose come la Regia Masseria Pantano, o alla scarsa sensibilità che si registra a proposito di altri scempi, come quello che riguarda la Tomba delle Medusa o allo stato di degrado e abbandono che è tornato a intristire il centro storico. Tanto per lanciare una provocazione: se l’abbandono del cantiere della Tomba della Medusa, le incredibili vicissitudini dell’intervento di recupero non avessero riguardano un bene archeologico (di straordinaria importanza) ma – poniamo – la tribuna o la gradinata dello stadio, come avrebbe reagito la cittadinanza?
È un problema che si pone in qualche modo ancora oggi, proprio in riferimento allo scempio edilizio delle periferia, che sta cancellando tracce preziose come la Regia Masseria Pantano, o alla scarsa sensibilità che si registra a proposito di altri scempi, come quello che riguarda la Tomba delle Medusa o allo stato di degrado e abbandono che è tornato a intristire il centro storico. Tanto per lanciare una provocazione: se l’abbandono del cantiere della Tomba della Medusa, le incredibili vicissitudini dell’intervento di recupero non avessero riguardano un bene archeologico (di straordinaria importanza) ma – poniamo – la tribuna o la gradinata dello stadio, come avrebbe reagito la cittadinanza?
L’articolo di Antonio Ventura è particolarmente interessante perché ricostruisce con diligenza la diverse tappe della storia della città, fermandosi (ed è un peccato) alla vigilia della seconda guerra mondiale, che con i devastanti bombardamenti avrebbe provocato un’ulteriore perdita di memoria e di identità della città.
La forzosa necessità di ricostruzione fece nascere una nuova classe imprenditoriale che andò ad affiancare quella tradizionalmente agricola, rappresentata dai latifondisti: “Oggi, – conclude Ventura – in una collusione-identificazione tra politici e costruttori si è venuta modellando la nuova classe dirigente delle città del Mezzogiorno, la quale ha proiettato un’ombra di squallore sul territorio urbanizzato. Come quasi tutti i capoluoghi provinciali ed alcuni centri di media grandezza, interessati da nuclei industriali, anche Foggia ha vissuto, dopo i danni dell’ultimo conflitto, una tumultuosa espansione. Cresciuta, però, solo negli apparati burocratici e nelle dotazioni del terziario, essa non solo continua a non avere nessuna identità, ma è divenuta un affastellato di case, in cui una frangia cospicua di popolazione, dedita all’edilizia, alla pubblica amministrazione ed ai servizi di prima necessità, lavora alla “riproduzione” della città senza che sussistano reali risorse per una espansione fisiologica. Se, pertanto, non si deciderà di intervenire, per ritornare alla città a misura d’uomo, Foggia subirà la stessa sorte di altri centri meridionali. Continuerà a crescere senza le più elementari garanzie di tutela della salute, in senso lato, dei suoi abitanti: difetteranno sempre più aree verdi ed una trama ordinata di spazi per il lavoro e per il tempo libero; abbonderanno, invece, solo palazzi di esibita agiatezza o di sciatta fattura e poche strade-passerella per i feticci di una civiltà industriale sempre sostanzialmente estranea.”
Purtroppo, le cose sono andate perfino peggio di quanto preconizzava Antonio Ventura nel 1985.
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