Ninì Russo, fondatore ed animatore dell’attivissimo gruppo facebook Civitas Troiana (un bell’esempio di come un gruppo di social networking possa diventare un’autentica agorà) commenta con la consueta tempestività ed acutezza il post di Lettere Meridiane sul lapsus dei conduttori della trasmissione di Radio2, Decanter, che parlando del Nero di Troia, ne avevano collocato la zona di produzione nel Salento.
L’errore geografico rilancia un’antica questione circa la difficile delimitazione della zona di produzione del grande vino pugliese o più precisamente circa i suoi legami con la sua terra d’origine che è Troia, la città d’arte dei Monti Dauni. “Il “Nero di Troia”, nascosto nel brutto nome “Doc Tavoliere”, in realtà – precisa Ninì Russo – rimane un IGT (Indicazione Geografica Tipica), il cui cuore del territorio di produzione va da Cerignola, Barletta e Andria, con presenze consistenti anche nel Salento. A noi col nome rimane il ricordo di vigne divelte che ora grazie all’impegno di Matteo Cuttano, qualche coraggioso reimpianta. L’augurio è che si possa passare dall’esaltazione di eccellenze obsolete alla loro rinascita.”
Ninì Russo mette il dito nella piaga: da tempo infatti il Nero di Troia si produce in ampie zone della Puglia, ma non in quella che dovrebbe essere la sua terra d’origine, ovvero nelle campagne della cittadina del Rosone.
Il peggio è che l’errore in cui sono incorsi i conduttori di Decanter è tutt’altro che isolato. Sbaglia anche il sito specializzato Bere Vino che piazza il Nero di Troia sul Gargano: “Vino tipico del Gargano – si legge nella pagina ad esso dedicata – , il Nero di Troia è stato ultimamente rivalutato. Ottenuto da uve di Troia, località dell’ entroterra garganico, il Nero di Troia è un vino rosso menzionato tra i vini più antichi della regione Puglia.”
L’errore è stato tuttavia fatto rilevare da numerosi commentatori, tanto da spingere i redattori a scusarsi e a puntualizzare: “avremmo dovuto collocare Troia nel territorio dell’ Appennino Dauno. Se abbiamo scelto di collocarla (erroneamente) tra i territori che fanno parte del Gargano è solo perché ritenevamo di dare un riferimento più facilmente riconoscibile ai nostri lettori.” Ma è proprio la precisazione degli amministratori di Bere Vino che dovrebbe fare riflettere attentamente: si delocalizza l’area d’origine di un certo prodotto agroalimentare al fine di renderlo più riconoscibile. Il che è certamente legittimo dal punto di vista della efficacia del messaggio che si vuol far giungere ai lettori, ma si traduce in uno smacco, in una mancata opportunità per la terra d’origine.
Ironia della sorte, proprio nel corso della stessa puntata, Decanter ha tessuto gli elogi del consorzio dei produttori del Prosecco, per il modo (eccellente) con cui sono riusciti a saldare un rapporto profondissimo e solidissimo con il territorio di produzione. L’esatto contrario di quanto succede a Troia.
Sul lapsus di Decanter ha scritto un divertente commento Sandro Simone, della redazione di Foggia Città Aperta: “Leggo su Lettere Meridiane che in una trasmissione che parla di vini su Radio Due hanno lodato un prodotto della nostra provincia, il Nero di Troia. Hanno detto che grazie a quel vino il Salento va forte. Troia in Salento? Ma questi il vino lo bevono prima o dopo di andare in onda? E meno male che non l’hanno confusa con la Troia di Ettore e Paride. Tempo fa sul sito Italia.it scrissero che le Tremiti erano in Molise, per non parlare di Beautiful dove hanno perfino spacciato per Polignanese la spiaggia di Vieste. Solo se arrestano un ghanese che viene dal CIE di Borgo Mezzanone scrivono in grande che è di Foggia, come se fosse uno cresciuto a panini coi torcinelli. Non c’è più manco bisogno di fuggire da Foggia, se sei buono ti spostano loro…”
A dire la verità, c’è chi afferma che la Troia di cui si parla sarebbe proprio quella omerica ed è la tesi che sostiene Gioacchino Rosa Rosa, commentando a sua volta il post di Sandro Simone: “pensare che il Nero di Troia sia un vino legato al comune di Troia è comunque un errore. La leggenda racconta che si tratti di un vitigno portato in questa zona da Diomede (cosa assai poco credibile ai fini pratici) ma la produzione del Nero di Troia in realtà avviene per la maggior parte nella zona di Castel del Monte ad estendersi fin quasi sotto le porte di Bari.”
Il busillis viene così risolto da Wikipedia: “Le origini del vitigno non sono certe, mentre certo è il legame con la città di Troia. Tra la leggenda che vuole Diomede sbarcato sulle rive del Gargano portando dei tralci di vite, che ha trovato qui il suo habitat naturale, a Federico II di Svevia che amava degustare il “corposo vino di Troia”, fino ad arrivare ai marchesi D’Avalos che acquistata la città nel 1533, e notata l’assoluta qualità ed attitudine dei terreni circostanti incrementarono notevolmente le coltivazioni di quest’uva. Una serie di carestie, ed una notevole richiesta di olio, spinsero i contadini a ridurre drasticamente le coltivazioni di questa vite, già di per sé poco produttiva, sostituendole soprattutto con uliveti. Al contrario, il vitigno ebbe una larghissima diffusione verso sud, precisamente nella provincia di Barletta-Andria-Trani.”
Al di là di ogni disputa storica, resta il fatto che la culla del prezioso vitigno è proprio Troia: che i produttori del territorio non si siano accorti della grande risorsa che possedevano è, purtroppo, altro discorso. Il commento forse più azzeccato è quello di Andrea Pastore: “Io continuerei comunque a giocare sull’equivoco e via di marketing! Non sarà mica insider trading?!”
No, non lo è. E che sia un equivoco o meno, l’amaro dato di fatto è che fino ad oggi è stato fatto assai poco per sfruttare la straordinaria opportunità offerta dall’exploit del Nero di Troia.
Ah, se Troia fosse stata veramente nel Salento…
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