Riceviamo e volentieri pubblichiamo le stimolanti riflessioni di Maurizio De Tullio, giornalista particolarmente attento nella valorizzazione del genius loci. Nel suo intervento, dedicato all’importanza e alla necessità di fare sistema, De Tullio annoda diverse considerazioni svolte in articoli comparsi negli ultimi anni. Il risultato è importante, e induce alla riflessione.
Se da un lato sorprende l’attualità delle tesi sostenute dal collega (prima tra tutte la necessità di fare sistema, che soprattutto in una provincia particolarmente estesa qual è la nostra, si traduce nella necessità di tessere reti, condividere obiettivi e strategie), dall’altro non può che lasciare un retrogusto d’amaro leggere l’elenco delle tante occasioni perdute, anche quando siamo riusciti a fare sistema (come nel caso dell’Authority per la sicurezza alimentare). Il che significa che non soltanto vi è l’urgenza di fare sistema, ma vi è pure la necessità di una classe dirigente adeguata, in grado di sorreggere e stimolare il sistema, per fare in modo che una volta costruito, questo sia in grado di sprigionare sviluppo.
Ma questo è un altro discorso, che non chiama in causa soltanto i partiti e le istituzioni, ma anche la classe dirigente diffusa: imprese, sindacato, tecnocrazia e burocrazia, società civile che troppo spesso “si chiamano fuori”, puntando il dito contro la politica.
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Nel giugno 2006 inviai un intervento al mensile foggiano “Il Provinciale”, che intitolai Per fare sistema occorre coraggio. Dopo aver segnalato che “…siamo ancora una volta responsabili di impedire al nostro territorio di svilupparsi”, indicavo una serie di priorità, per il graduale rilancio della nostra provincia, in chiave economico-sociale e mediatico-culturale, il tutto accompagnato da un elenco di proposte concrete. Naturalmente non mi aspettavo alcun commento, e così avvenne.
Oggi, rileggendolo, mi sembra però di aver colto nel segno in alcuni punti, e siccome sono un inguaribile cocciuto vado a riproporre quei punti, riprendendoli dallo stesso articolo di sette anni fa.
Per fare sistema – scrivevo – occorre unificare le forze per potenziare lo sviluppo, in una visione il meno autoreferenziale possibile. E’ positivo l’esempio manifestato con la forte azione concentrica esercitata da enti e istituzioni per difendere la specificità del nostro territorio in prospettiva della Capitanata quale sede nazionale dell’Authority agroalimentare. Non una difesa di bandiera, cioè, ma di logica.
L’esigenza di fare sistema non può però prescindere da una rigorosa presa d’atto della incapacità finora manifestata dalle forze politiche, istituzionali ed economiche di difendere le ragioni e le risorse della Capitanata.
Non vorrei ci dimenticassimo che questa provincia è incapace di gestire al meglio e di programmare l’articolazione viaria. Si pensi al dramma di chi desideri investire seriamente nelle nostre terre; incapace di interrompere la continua azione del governo nazionale tesa a depotenziare la rete ferroviaria e gli annessi servizi; incapace di garantire luce ed acqua in maniera continuativa e sufficiente ai comparti produttivi e al sistema turistico; incapace di provvedere per tempo nel caso di forte maltempo e intense piogge: torrenti e canali che esondano in poche ore mettendo KO aziende ed economia, luoghi e comunità (e questo accade in un territorio quasi privo di corsi d’acqua!); incapace di chiudere definitivamente un aeroporto – il “Gino Lisa”, limitato a qualunque ipotesi di espansione – e di pensarne uno nuovo, con caratteristiche e potenzialità diverse. Per esempio, dovremmo essere (politicamente) in grado di “sdoganare” (militarmente) quello di Amendola, trasferendone mezzi e uomini nella vicina base di Gioia del Colle, e trasformandolo in un grande aeroporto destinato al traffico passeggeri e a quello commerciale. Idea bislacca, questa, o semplicemente temeraria? Su questo punto, confidando sempre sulla bontà di chi mi ospita, interverrò con un separato articolo che, ugualmente, riprenderà uno da me pubblicato sulla rivista “Diomede” nel 2010.
Facevo poi riferimento al tema dell’agricoltura e dell’Ente Fiere di Foggia, citati velocemente nella parte iniziale di quell’articolo.
Allo stato, e ne parlo per difetto, sono almeno una dozzina le manifestazioni fieristiche che le amministrazioni locali organizzano durante l’anno in Capitanata. C’è quella che si richiama all’aspetto agricolo o zootecnico, altre di natura meramente commerciale, altre che sono vere e proprie sagre paesane cui l’appellativo di Fiera fa sorridere. Ma le cito perché tutto questo ardore organizzativo da parte delle amministrazioni locali – spesso economicamente sostenute anche con fondi di Provincia e Regione Puglia – si risolve in uno scarso impatto a livello territoriale, economico e mediatico.
Vanno meglio, a quanto pare, le fiere specializzate (tipo “Euro Med Food”), che proprio perché puntano ad un obiettivo preciso e circoscritto, e si fondano su una convinta adesione di importanti enti territoriali, possono sperare in un futuro e in una dimensione di livello nazionale e soprattutto di interesse internazionale.
A seguire entravo nel dettaglio delle proposte. Penso che la Capitanata, nelle sue varie articolazioni della sfera pubblica e privata, dopo che si sarà svegliata dal sonno di falsa grandezza in cui è calata per qualche decennio, dovrà fare un paio di scelte, semplici-semplici ma coraggiose. Primo: cancellare una volta per sempre dal proprio calendario fieristico le due manifestazioni di primavera e autunno, sempre più fini a se stesse, e rimodulare il calendario in funzione di pochi ma qualificati eventi. Secondo: individuare – indicativamente nel mese di aprile – un periodo ampio (della durata anche di due settimane) nel quale condensare una serie di eventi, anzi: di Eventi con la “E” maiuscola, che portino in primo piano l’Agricoltura (con le sue immense potenzialità legate alla filiera), il Turismo (partendo dalla ricollocazione della Borsa del Turismo Religioso di San Giovanni Rotondo), la Cultura (magari con l’inserimento del “Festival del Cinema Indipendente” promosso dalla Provincia di Foggia e con il lancio definitivo della “Film Commission di Capitanata”, le cui implicazioni con il terziario sono ben note). Terzo: creare pacchetti con offerte che comprendano prenotazioni fortemente scontate in località turistiche (e non), che consentano l’accesso ad eventi culturali e musicali previsti nel corso dell’estate, che permettano di acquistare prodotti eno-gastronomici e artigianali a prezzi agevolati in tutto il territorio provinciale. Quarto: essendo la nostra una provincia che vive di turismo ma che non dispone di un solo Ufficio degno di questo nome, occorrerebbe istituire un unico sportello (per esempio presso il piano terra di Palazzo Dogana con finestra informatica di dialogo nelle ore di chiusura dello stesso) che informi, aggiorni e prenoti accessi ad alberghi, spettacoli, luoghi d’arte e cultura. Quinto: valorizzare i centri meno esposti alla “curiosità turistica”, come per esempio i bellissimi borghi del Subappennino e altri del Gargano, assegnando loro, all’interno di quella che immagino come una rinnovata Fiera, uno spazio organizzato in maniera più attiva e diretta, dando la parola a personalità che in quei luoghi sono nati o vi sono particolarmente legali e che nei diversi àmbiti professionali hanno raggiunto livelli di notorietà in campo nazionale e/o internazionale (ad esempio Michele Placido per il Subappennino, Lucio Dalla per le Isole Tremiti e il Gargano, Renzo Arbore per Foggia, l’ex Ministro Stanca per Lucera, il cantante Raf per Margherita di Savoia ecc.).
Concludevo suggerendo anche il collante che potesse tenere insieme tutto ciò, una sorta di “grande sponsor”, un nome chiaro, forte e riconoscibile ben oltre gli stessi confini nazionali; un nome che fosse di per se stesso anche una sorta di simbolo. Quel nome-simbolo, capace di far volare la fantasia attraverso un progetto di rinascita civile prima che culturale, un nome che unisca agricoltura, cultura e uomini e che possa permettere di far muovere interessi molteplici si chiamava (e si chiama) Federico II. E mi spingevo anche oltre, suggerendo un possibile brand a chi volesse farne buon uso: “EuroFed”.
“Insomma – così concludevo l’intervento – l’invito è a farla finita con le operazioni di facciata, con gli sponsor politici che hanno sempre più il fiato corto (loro o le loro idee)”. E usavo un eufemismo per rendere meglio l’idea sulla prima cosa da fare: “occorre rimettersi a studiare, come fanno gli studenti che seriamente intendono conseguire titoli che siano poi spendibili sul piano delle realizzazioni pratiche”.
A questo punto, soddisfatto per aver rilevato che una parte di quelle proposte e sollecitazioni, negli anni a seguire, sono state prese in considerazione, posso lasciarmi andare, affidandomi a un auspicio in perfetto stile arboreano-catalano: il modo più efficace e semplice di valorizzare un luogo o un territorio è… valorizzarlo.
Ma quanti decenni dovranno passare prima che ciò venga colto nel suo significato più autentico?
Maurizio De Tullio, giornalista
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