Un consiglio che mi sento di poter dare ai colleghi più giovani, che come me cercano di raccontare la città, è di camminare a piedi, o tutt’al più con l’autobus. Camminando si ha modo di vedere una città che sfugge del tutto, quando si è al volante dell’auto, e bisogna badare ai semafori, alle precedenze ed a scansare le buche. Evitando le quattro ruote, si colgono scorci inattesi, si raccolgono quei messaggi sommessi che le città riescono a dare a chi si sforzi di comprenderle. In autobus, si possono cogliere invece gli umori della città:
toccare con mano quella pubblica opinione che per esprimersi ha bisogno d’altro che non un commento sul social network. Si avverte, insomma, la dimensione della città come comunità di persone, di sentimenti.
È stata proprio una camminata, qualche giorno fa, a regalarmi la scoperta e la sorpresa di una scritta sulla parete esterna della palestra del Liceo Scientifico Volta, su viale Pinto. Una dolcissima dichiarazione d’amore verso la scuola e la propria classe, appena di fianco all’immancabile “Forza Foggia”.
L’ignoto (o ignota, propenderei per la seconda ipotesi, perché le parole hanno una profondità che soltanto la scrittura femminile riesce ad esprimere) writer meriterebbe il diploma di maturità honoris causa o almeno un bel dieci al compito d’italiano, per com’è riuscito (o riuscita) a dare conto dello stato d’animo d’una generazione: “Adesso che siamo alla resa dei conti, ora che ricordi e futuro incerto fanno mancare l’aria, adesso più che mai, per sempre grazie 5/E.”
Sono quasi dei versi, e la ricercata calligrafia tradisce l’insostenibile voglia di dire dell’autore (autrice).
Migliaia e migliaia di studenti, alla vigilia dell’esame di maturità, hanno espresso la saudade che affiora nel fatidico momento della sospensione, del passaggio tra la certezza di lasciarsi alle spalle una stagione della vita e un avvenire ancora indistinto. Ma pochi credo siano riusciti a farlo con tanta delicatezza, con tanta suggestione e tanta sintesi.
E ci vuol anche coraggio, ad affidare al muro le proprie emozioni, sfidando il perbenismo e le regole scolastiche (immagino che i docenti non siano proprio rimasti entusiasti): ma le parole dette col cuore, non sporcano i muri. Ci inducono a riflettere. Ci fanno benedire d’aver lasciato l’auto ed essere andati a piedi. Rendono anzi la città più umana. Più bella, una volta tanto.
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