Sono passate quasi del tutto inosservate le scritte razziste che sono spuntate sabato scorso sui muri della periferia cittadina, probabilmente come “accoglienza” ai tifosi del Gladiator al seguito della loro squadra che giocava allo Zaccheria. L’episodio è oscuro, ma verosimilmente va messo in relazione con quanto accadde nel capoluogo partenopeo il 17 novembre scorso, quando un pullman di tifosi rossoneri venne assaltato da tifosi napoletani, in occasione della partita con l’Interpoli Campania. Qualcuno disse che i supporter dei satanelli erano stati scambiati per tifosi milanisti, altri che erano stati i foggiani ad attaccare briga. Fu un momento molto brutto, che non serve però a giudicare queste odiose scritte.
Si sa che la mamma degli stupidi è sempre incinta, ed anche quella degli ignoranti: chi ha vergato le scritte non si è accorto, tra l’altro, che il Gladiator non viene nemmeno da Napoli, ma da Santa Maria Capua Vetere, provincia di Caserta.
La ruggine tra le tifoserie è cosa risaputa, ma non antica. Una volta non era così. E mi piace ricordarli, i tempi in cui non era così, e tra i tifosi del Napoli e quelli del Foggia c’era feeling.
Ho vissuto un anno a Napoli, in servizio di leva, e ricordo bene quanto i tifosi azzurri tenessero al Foggia. Era per loro la seconda squadra del cuore, ovviamente dopo quella di casa, in un campionato sempre più settentrionale e nordista: nel torneo a sedici squadra c’erano soltanto tre compagini meridionali, Napoli e Foggia, appunto, e poi il Pescara.
Tifare Foggia, per i napoletani, era un modo, sincero e convinto, di difendere e di esaltare la meridionalità più genuina.
Passeggiavo spesso in galleria e ogni volta che qualcuno s’accorgeva che ero foggiano, ci scappava sempre l’augurio al Foggia, che quell’anno giocò al San Paolo due volte, disputando un’amichevole e la gara di campionato.
In entrambe le occasioni gli spalti erano gremiti di tifosi rossoneri, fu un’autentica festa. I foggiani mobilitarono la metropolitana, il mezzo più comodo per raggiungere lo stadio era il treno, piuttosto che il pullman. Una volta scesi alla Stazione Centrale, dieci minuti di metrò e si arrivava al San Paolo. Per minuti e minuti i convogli della Metro furono pavesati di bandiere rossonere.
In amichevole perdemmo di misura, dopo un primo tempo spettacolare che vide il Foggia il vantaggio. In campionato le cose andarono peggio, Savoldi segnò addirittura quattro gol a Memo, dopo che gli azzurri erano passati in vantaggio con un gol del foggiano Pellegrino Valente.
Il ritorno si disputò in un momento nevralgico del campionato, a cinque giornate dal termine. Il Foggia si giocava la permanenza nella massima divisione, il Napoli la zona Uefa. Passammo in vantaggio con Nicoli, nel secondo tempo pareggiò l’immancabile Savoldi ed il punto perduto fu fatale al Foggia che non andò oltre la soglia dei fatidici venticinque punti (allora una vittoria ne valeva due) e retrocesse assieme al Genoa ed al Pescara, per la peggiore differenza reti, a vantaggio della Fiorentina.
Di quella partita ho un ricordo indelebile, che è molto significativo dello speciale rapporto che legava le due tifoserie. Arrivai allo Zaccheria di corsa, qualche minuto prima del fischio d’inizio. Alla porta della Curva Sud c’era un’insolita calma. Quando raggiunsi gli spalti compresi perché: la curva era stata interamente destinata ai tifosi azzurri che erano entrati già da tempo. Guardai la partita circondato dai tifosi “avversari”, senza che succedesse niente. Anzi, alla fine i napoletani mi fecero gli auguri, sperando nella salvezza del Foggia.
Fu l’ultima volta del Foggia di Fesce in serie A: di lì a poco la compagine rossonera sarebbe precipitata nel vortice della serie C, e avrebbe dovuto attendere la favola di Zemanlandia per riscattarsi. Ma questo è un altro discorso, e forse anche un’altra città…
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