Il bello di un blogger, se volete del social network, sono queste amicizie che nascono nell’etere, sul filo di quella mosca sempre più bianca che è il pensiero sostenuto dal confronto dialettico. Non conosco personalmente Girolamo Arciuolo, se non per le cose che spesso mi scrive nei commenti ai post. Lo stimo, lo sento vicino, come sento vicini tutti quelli che non si fermano agli slogan e agli “stati” di Facebook, alle battute che strappano un sorriso e a volte un’emozione, ma durano lo spazio di un mattino, nel senso che non producono opinione pubblica. La nostra terra ha bisogno che si (ri)formi una opinione pubblica, ed è questo lo sforzo che quotidianamente cerca di condurre Lettere Meridiane.
Oggi che perfino i giornali non concedono più di venticinque righe anche ai temi pià importanti, solo la leggerezza dei bit può dare sfogo e mettere ali al pensiero, così come caparbiamente prova a fare Girolamo Arciuolo, che è intervenuto sui temi che ho cercato di sollevare (il termine è ahimè efficace, i temi dovrebbero essere discussi e basta ma non da noi: vanno sollevati di peso, per sottrarli all’oblio) nel post sulla crisi che angustia la provincia di Foggia. Ringraziandolo, propongo integralmente il suo commento.
Bella analisi.
Mi permetto di fare qualche osservazione a latere.
Negli anni ottanta l’Italia ha cercato e in qualche modo trovato un tipo di presenza industriale basata su capitali privati. Sono stati gli anni della sostanziale dismissione delle “partecipazioni statali” e dell’affermazione del sistema dei distretti produttivi manifatturieri, del “Piccolo è bello” e del “Made in Italy”. È stata la particolare modalità con la quale l’Italia ha deciso di rispondere alla crisi della fabbrica fordista. La ragione divulgata è stata la presenza onnivora dei partiti. La seconda non era meno vera della prima ma era facilmente superabile con pochi efficaci provvedimenti normativi. Bastava fare delle semplici riforme.
Noi abbiamo in tal modo rinunciato a furor di popolo sotto una campagna di stampa ben orchestrata al settore petrolchimico, a buona parte della siderurgia, alla cantieristica navale al settore delle c.d grandi opere, ecc. Siamo stati i primi a produrre un personal computer, abbiamo realizzato grandi dighe e autostrade in giro per il mondo, abbiamo messo elettrodomestici in ogni casa europea e abbiamo invaso il pianeta di vaschette di moplen. Oggi stiamo rinunciando con altrettanta incoscienza alla nostra industria automobilistica e a quello che resta della nostra industria siderurgica, mentre a oggi non abbiamo prodotto un solo smartphone o un tablet o un televisore lcd. Siamo inoltre totalmente o sostanzialmente assenti, come produttori, nei settori delle energie alternative, dalle biotecnologie, del farmaceutico.
Ci vantiamo però di produrre divani e minigonne molto belle.
Abbiamo cioè dismesso il settore industriale a favore di quello artigianale e abbiamo cambiato nome a quest’ultimo chiamandolo pomposamente “settore industriale” e abbiamo messo a capo di confindustria sanguigni rappresentanti di quel mondo.
Spesso lo abbiamo fatto a favore della Germania, la quale, invece non ha affatto dismesso il suo sistema industriale e ha risolto la crisi facendo riforme serie, alzando il livello di conoscenza contenuta nel ciclo (sia in termini di prodotto che di processo) e dismettendo serenamente e lucidamente il loro settore manifatturiero semmai proprio a favore dell’Italia.
Oggi ci accorgiamo che non possiamo più competere nel mondo globalizzato in termini di costo della manodopera mentre le nostre produzioni sono alla portata di chiunque. Continuiamo a raccontarci che solo noi abbiamo la manualità necessaria ma si tratta di una vera e propria balla.
Ciò che voglio dire è che sicuramente la Provincia di Foggia ci ha rimesso dalle politiche degli spezzatini, degli anni ottanta ma ci sta rimettendo anche l’itera Nazione.
Il tutto in un quadro politico-amministrativo che non consente più politiche di governo.
Parlavo qualche giorno fa con il professor Viincenzo Cerulli Irelli sul tema dei risultati delle riforme del sistema delle autonomie locali e del c.d federalismo. A livello accademico il dato del fallimento è già acquisito. Anche quelle politiche sono state prodotte esattamente in quegli anni.
Uno dei sottoprodotti di tale situazione è la politica che si occupa di rappresentare le istanze localistiche.
La frammentazione/frantumazione di competenze non già su materie ma su base territoriale porta anche a questa sorta di guerra di territorio con politici spesso un po’ “terra terra”.
Una delle ragioni per cui sono personalmente contrario alle rappresentazioni rivendicazionistico/localistiche è anche dovuta alla considerazione che o si ha la capacità di avere visione di insieme o non si governa neppure un piccolo comunello di montagna. Lo vedo qui a Monte S. Angelo, diventato per tanti versi un piccolo comunello di montagna nonostante le sue potenzialità e la sua storia. Il livello della cd politica è sconcertante. Non si ha nessun tipo di visione, neppure di breve periodo e neppure solo di livello locale e non si governa un bel niente.
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