Le primarie (più precisamente, le parlamentarie), sono state veramente quello strumento di democrazia che si sperava fossero, anche per contrastare gli effetti perversi del porcellum, che ha sottratto agli elettori la possibilità di votare direttamente per un candidato, attraverso il voto di preferenza?
Considerando le polemiche ed i veleni che hanno accompagnato il voto e la predisposizione delle liste, sembrerebbe di no. Il post di Lettere Meridiane sul caso della senatrice foggiana Colomba Mongiello, retrocessa dal tredicesimo al quindicesimo posto della lista per fare posto a due “personalità” indicate dalla direzione nazionale, ha suscitato una interessante discussione (su Facebook) tra due intellettuali particolarmente attenti alle cose della politica, come Marco Barbieri e Salvatore Speranza.
È stato Barbieri ad aprire la discussione: “gli apparati, come si sa, non esistono più da un pezzo. E il quindicesimo posto della Mongiello è sicuramente utile. Delle lamentele di qualcuno di Sel meglio non parlarne. Le primarie (per i parlamentari, poi, non per le cariche monocratiche) sono uno strumento aberrante.”
Nel post si parlava, tra l’altro, del ricorso (successivamente ritirato) presentato dalla parlamentare foggiana contro la decisione della direzione regionale. Aveva scritto che la scelta di Mongiello fosse condivisibile, ma Salvatore Speranza non è d’accordo: “Questa volta mi sento di dissentire e ti porto l’esempio di una persona a noi cara … quando Pasquale Panico (senatore del Pci negli anni Ottanta, n.d.r.) non fu ricandidato al Senato nel 1983 (dopo un solo mandato) certo non si sognò di presentare ricorso … ma accettò il ruolo all’Arci e nei probiviri che il partito volle dargli … qui si parla di un terzo mandato (quasi) sicurissimo … con dei privilegi che le compagne ed i compagni che hanno dedicato una vita al partito nemmeno si sognavano …”
Risponde Barbieri a Speranza: “appunto: c’era il Partito. Né Pd né Sel sono veri partiti.”
Speranza obietta: “… ma esiste anche un comparativo di minoranza”; l’interessante discussione viene conclusa da Marco Barbieri che chiosa: “Un comparativo tra zero e zero non lo comprendo. Non sono partiti, sono altro (uno più grande, uno meno: ma entrambi completamente e parimenti altro).”
Mi sembra che tra l’intervento di Barbieri e quello di Speranza vi sia una sostanziale affinità, che mi trova d’accordo. Che la forma partito sia in crisi è un dato di fatto: i partiti hanno perduto qualsiasi capacità di mobilitare ed organizzare il consenso, ma anche di scegliere, di mediare, di riflettere.
Nella seconda repubblica sono andati definitivamente in crisi alcuni strumenti fondamentali dell’essere partito: pensiamo soltanto al tesseramento o ai congressi sezionali (a dirla tutta, non esistono più nemmeno le sezioni) o ai congressi tout court, che erano una volta i luoghi in cui i partiti sceglievano più o meno democraticamente la propria classe dirigente.
Si è pensato, forse a torto, che il vuoto lasciati dagli apparati potesse essere coperto da forme di democrazia più diretta, come possono esserlo appunto le primarie, che – sono assolutamente d’accordo con Barbieri – si sono dimostrate addirittura aberranti in occasione della designazione dei candidati.
C’è da aggiungere che si sono svolte in un vuoto politico agghiacciante. La necessità di averle dovute organizzare a tempo di record non giustifica affatto l’assoluta mancanza di dibattito, di confronto tra i candidati. Gli elettori non hanno avuto modo di poter confrontare un programma con un altro, un’opinione con un’altra. Non ci sono stati confronti pubblici.
Una volta, nei congressi sezionali o cittadini o provinciali, si aveva almeno la possibilità di ascoltare voci diverse, di “pesare” quanti si proponevano per un incarico di partito o amministrativo.
Più che antidoto al porcellum le primarie rappresentano un alibi alla crisi irreversibile dei partiti, e fanno da paravento a un’amara realtà che pochi si sentono di ammettere: la politica si può rinnovare, e rigenerare, soltanto se si rinnovano, e si rigenerano i partiti.
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I partiti si modellano per ottenere una capacità funzionale, non partecipativa… si va avanti con la messa in opera di pratiche e discorsi che conducono a un deficit democratico dichiarato ed argomentato in modo strumentale al fine di giustificare maggiore flessibilità nel campo dell’intervento decisionale e di operare grazie a dispositivi e a tempi di carattere emergenziale. Tutto questo viene confermando l’affermazione di una tipologia pragmatica di legittimazione appunto funzionale, non più partecipativa. Le primarie, con i loro limiti, intercettano un segnale nuovo, un ritorno al futuro. Sono un precedente, se lo sviliamo non se ne faranno più. Si desse una calmata la Mongiello.