Giuseppe ha voglia di dire, Giuseppe ha urgenza di dire. E così, il XII Festival del Cinema Indipendente ospita quello che è forse il primo istant movie della sua storia: Quello che verrà di Giuseppe Guiduccio. alla sua opera prima, anzi primissima, come ha candidamente ammesso alla proiezione, ospitata nella sezione Cinema di Capitanata del festival: “Ho letto il bando e ho deciso di partecipare, girando il mio primo mediometraggio in quattro giorni. “
I mezzi tecnici sono quanto di più rudimentale si possa supporre (un cellulare), ma il risultato è intrigante, perché proprio nella povertà dei mezzi e nella necessità di doverli aggirare sta l’efficacia dell’esperimento condotto dall’autore. Interessanti il frequente ricorso a primi e primissimi piani, e l’alternanza tra sfocature e messe a fuoco che sembra sottolineare il precario rapporto tra il dramma umano dei personaggi e l’ambiente che li circonda.
Guiduccio mette sullo schermo una Foggia desolata e desolante, teatro perfetto delle tre storie di disperazione raccontate nel film e che sono quelle di Anna, una giovane donna affetta da cancro, costretta ad affrontare il dramma della terapia, di Iris, condannata alla disabilità da un incidente automobilistico e di Antonio e Maria, una coppia di nuovi poveri che non riescono ad adattarsi alla loro situazione di miseria. Tre calvari che si intrecciano e si rincorrono in una spirale che conduce tutti i protagonisti a toccare il fondo della loro esistenza.
A fare da cornice, c’è una città assente, grigia e buia. Giuseppe non fa denunce e non lancia proclami, ma nondimeno Quello che verrà scuote le coscienze, e ci chiama in causa tutti. Quanti di noi conoscono la banale tragedia che può scatenarsi per un disabile, se l’ascensore è rotto? O la solitudine di un paziente che deve affrontare la chemioterapia? O il dramma dei tanti nuovi poveri prodotti dalla crisi economica, incapaci perfino di chiedere l’elemosina?
Il cinema parla sempre un linguaggio universale ed è in qualche misura arbitrario tirar fuori metastorie, che probabilmente prescindono dalla volontà stessa dell’autore. Ma la sequenza più bella di Quello che verrà si svolge (genialmente, in una notte buia e disperata) davanti al reparto di radioterapia degli Ospedali Riuniti di Foggia, per realizzare il quale la città fu protagonista di una grande gara di solidarietà e di generosità.
Ma dov’è la città, adesso che il reparto funziona ed assiste i suoi pazienti, disperati e soli? Non so se Giuseppe sarà d’accordo, ma a me piace pensare che la città stia nel sorriso dolcissimo ed innocente di Marina Pia, la bambina che, essa stessa costretta alla chemioterapia, indica a Claudia la strada del coraggio, della consapevolezza, della speranza. Quello che verrà è una speranza possibile… possibile nella misura in cui la città (tutti noi) sia maggiormente solidale verso l’isolamento, l’indifferenza e la desolazione.
Il cast artistico è composto da attori teatrali e da ragazzi che si sono cimentati per la prima volta con la recitazione. Il risultato è notevole, e speriamo che Giuseppe ed i suoi amici non si fermino qui: Chiara Miucci (Iris), Veronica Angino (Claudia), Maria Colabella e Nicola De Simone (Maria e Antonio), Chiara Guadagno, Ilenia Guiduccio Rosa, Leonardo Colotti, Silvia Tarquinio e la piccola Marina Pia Schiavone.
Simpatici i credit, che ci dicono come anche il cinema amatoriale possa essere in fondo un prodotto ed un esercizio creativo collettivo: “La regia, la sceneggiatura ed il montaggio – vi si legge – sono stati elaborati da Giuseppe Guiduccio, con i preziosi consigli e supporto della madre, Loredana Zolla, del fratello, Vincenzo Guiduccio e del resto del cast.”
Bravi, tutti.
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