Foggia, città che non sa sperare né sa disperare

Ho letto oggi su Facebook due post intelligenti ed esemplari, che mi piace condividere con gli amici di Lettere Meridiane, in questa domenica in cui Foggia sembra avvitarsi su se stessa e la crisi sembra un vortice senza fine, nonostante barlumi di speranza. È la domenica in cui si dovrebbe stappare lo spumante per i cinquemila visitatori che hanno partecipato alla prima edizione del Sieb, il salone dell’informatica svoltosi al quartiere fieristico, ad iniziativa di una coraggiosa azienda informatica foggiana, la KnowK. Ma è anche la domenica dei licenziamenti all’Amica, della crisi sempre più marcata dell’ex ospedale psichiatrico Don Uva. Una Foggia che guarda al futuro (con il Sieb) ma che resta prigioniere del presente.
Scrive Savino Russo: “Uff, che città depressa e deprimente, indolente e litigiosa, persa dietro i mille “particulari” degli interessi di ceto, di categoria, di gruppo, di famiglia e volontariamente incapace di guardare al bene di tutti. Città vittimista ed autolesionistica, città incapace di darsi speranza. Uff, che brutta domenica.”
L’altro post che ha catturato la mia attenzione è di Sandro Simone: non è di oggi, ma di qualche giorno fa, ma ha il pregio di sottolineare – come quello di Savino – un vizio antico dei foggiani, così antico che temo faccia parte del nostra dna. “Certi giorni – scrive Sandro – penso che a Foggia c’è gente che si mette al pc e dice: “mo, fammi trovare qualcuno che ha cercato di fare qualcosa di buono e che posso criticare”. Boh, contenti voi.”

Questo vizio ha rappresentato una regola del mondo dell’informazione locale, sempre attenta più ad esaltare ciò che non funziona nel capoluogo dauno, che non le molte cose che invece vanno egregiamente. Rilevo che però più o meno lo stesso accade nel mondo del social network: su Facebook si fa a gara tra chi critica di più, come se evidenziare la brutture fosse un fiore all’occhiello. Ma di proposte vere, serie per cercare di uscire dal tunnel, per rimettere in moto quel pensiero, quella dialettica che producono opinione pubblica ed innestano senso vicino se ne vedono poche. Lo sdegno – anche se sacrosanto – non costruisce il domani. Così come non costruisce il futuro l’atteggiamento sciovinista di quelli che non tollerano critiche perché “Foggia è la città più bella del mondo”.
Come ho poi evidenziato all’inizio, Foggia ci mette del suo, offrendo quotidianamente lo spettacolo di contraddizioni stridenti.
Al Sieb ho visto la Foggia migliore. Non solo imprenditori che stanno scommettendo seriamente sull’innovazione tecnologica, ma anche tantissimi giovani studenti che hanno animato il salone. L’ottimismo del futuro fa però a pugni con il grigiore del presente, scandito dalla crisi dell’Amica che ha ormai imboccato un binario morto e quella, che pare destinata alla stessa sorte, dei lavoratori del Don Uva.
Le due vicende hanno diversi punti in comune. Le crisi dell’azienda partecipata comunale e dell’ex ospedale psichiatrico sono cominciare da quando l’attenzione verso i servizi ed i loro destinatari – la raccolta dei rifiuti e i cittadini in un caso, la salute ed i disagiati psichici dall’altra – ha smesso di essere il cuore della missione istituzionale delle due aziende, e sono prevalse logiche politiche ed occupazionali che fatalmente sono uscite fuori dal controllo stesso della politica ed hanno fatto saltare il banco.
Come risolvere questa contraddizione? Prenderò in prestito un insegnamento – molto senechiano – che mi ha impartito Federico Massimo Ceschin in occasione della presentazione del suo libro a Troia, alla quale ho avuto la fortuna di partecipare come relatore, e di cui spero di parlare, perché è stata una serata fuori dal comune, sotto molto aspetti. Ceschin è una persona straordinaria, un veneto emigrato in provincia di Foggia, ed al quale la nostra terra deve parecchio (è stato – tanto per dire – uno dei fautori del Progetto di eccellenza turistica dei Monti Dauni).
“Voi avete due vizi antichi – ha detto Ceschin in quella occasione – che rappresentano i più seri vincoli allo sviluppo. O vi buttate giù del tutto, vi considerate i peggiori, gli ultimi, oppure vi esaltate a dismisura, irragionevolmente. L’uno e l’altro atteggiamento tradiscono un fatalismo che non porta da nessuna parte: occorre che quello che non funziona vada fatto funzionare, e che quel che è bello e positivo non ci si limiti a contemplarlo, ma lo si difenda e lo si consolidi.”
È una intelligente modernizzazione di una massima di Seneca che amo moltissimo: “Non sperare mai senza disperazione – diceva il filosofo – non disperare mai senza speranza.”
In questi anni Foggia è più grigia che mai. Dovremmo però imparare a convivere col grigio, senza rimpiangere il bianco, e senza volgerlo al nero. Per per risolvere la perniciosa contraddizione tra quelli che “a Foggia va bene tutto quanto, è la città più bella del mondo” e quelli che “Foggia è il buco del culo del mondo”, dovremmo imparare, in due parole, a sperare e a disperare.

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Author: Geppe Inserra

2 thoughts on “Foggia, città che non sa sperare né sa disperare

  1. Nel presentare il Libro di raffaele De Seneen ho invece sottolineato come, proprio in questi tempi "bui e tristi", stiamo assistendo ad un risveglio "in proprio" di Foggia, con nuovi scrittori, tanto teatro, musica, rispolvero di tradizioni. Solo chi non vuol vedere non vede. E solo chi vuol vedere nero, vede buio.

  2. Innanzitutto grazie per la citazione. Onestamente non credo che quello di criticare e non essere capaci di mettersi in rete siano problemi solo foggiani, di certo sono fra i difetti su cui bisogna lavorare di più per cercar di tirarsi fuori da questa bruttissima situazione.

    Concordo con Davide Leccese. Solo un appunto: è bene che ci siano mille iniziative teatrali e musicali. Meglio ancora sarebbe se si riuscissero a unire le forse anche in questi campi.

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