È stata una serata inaugurale di altissimo spessore, quella che ci ha regalato il XII Festival del Cinema Indipendente di Foggia, con la proiezione della versione integrale e restaurata di C’era una volta in America, e la risposta del pubblico foggiano è stata positiva: l’indimenticabile sorriso in macchina di Robert De Niro che chiude il film, è stata salutata da un caloroso applauso.
Ritenevo il capolavoro di Sergio Leone un film bellissimo, inimitabile, struggente già da prima che vedessi la versione director’s cut voluta dai figli. Adesso che l’ho vista, il film mi piace ancora di più, ed è un vero peccato che sia stato necessario aspettare per tanto tempo.
Si è detto sempre che C’era una volta in America è un film sul tempo: ma il tempo ha giocato un brutto scherzo al film, rovinando la pellicola utilizzata per le nuove sequenze inserite nella versione integrale . Se si fosse aspettato ancora un po’, sarebbe stato impossibile il restauro, effettuato su positivi miracolosamente ritrovati.
Avrebbe dovuto pensarci lo Stato, e prima, come si fa con i monumenti nazionali. La versione definitiva regala 24 minuti in più che Sergio Leone era stato costretto a tagliare per non appesantire troppo la versione originale, che durava già 3 ore e 40′.
Come ha detto Raffaella Leone presentando a Roma il director’s cut: “Questo è il sogno di mio padre. Per quanto avesse amato la versione tradizionale, i tagli gli erano costati moltissimo. L’idea di rimontare il film aleggiava nella famiglia. Personalmente rimango legata alla versione con cui sono cresciuta, ma questa aggiunge al film una compiutezza e dà dei chiarimenti che un po’ mancavano”.
Oltre che completare il puzzle della trama, inserendo alcuni tasselli che nella prima versione creavano qualche problema alla fluidità del racconto, il director’s cut arricchisce il senso ed il significato del capolavoro del film di Leone.
L’apparire nella storia di Eve, che era troppo repentino nella prima versione, viene raccontato in una scena in cui Robert De Niro dà il meglio di sé. Noodles incontra Eve subito dopo la sequenza dello stupro, cercando senza riuscirci di fare l’amore con lei, e chiamandola ripetutamente Deborah.
Nella versione integrale, C’era una volta in America appare anche un film decisamente più politico. Mostrando ancora una volta le sue capacità profetiche, Leone ci offre l’immagine di un potere brutale e di una politica corrotta come mai aveva fatto prima. Leone sembra indicare più nitidamente che Bailey muore per mano del potere politico, il cui tradimento è più violento e più radicale perfino della mafia. Chissà come avrebbe reagito la critica, se la sequenza del colloquio tra il senatore Bailey e il sindacalista corrotto fosse uscita nella prima versione. Si sarebbe probabilmente parlato di un Leone che annunciava la degenerazione della politica.
Visto oggi, com’è giusto che succeda quando si parla di un classico, e cioè di un’opera capace di parlare agli uomini di ogni tempo, C’era una volta in America sembra una lucidissima analisi sulla spietatezza del potere, di fronte alla quale la sola possibile risposta è cercare di restare fedeli a se stessi, anche se questo è decisamente démodé: la nostalgia del tempo, appunto.
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