Abbiamo preso l’abitudine di misurare tutto, di applicare parametri a tutto e a tutti, di formarci opinioni e di esprimere giudizi sulla scorta dei criteri stabiliti dai padroni del vapore.
Gli esodati sono numeri. I pensionati sono numeri. I precari sono numeri. E non persone, con le loro ansie, con i loro problemi.
L’altro giorno Foggia ha accumulato un altro record negativo, finendo sulla copertina del Sole 24 Ore perché il rapporto tra la spesa del personale e la spesa complessiva dell’Ateneo è il più alto d’Italia. E quindi il peggiore, secondo il quotidiano economico-finanziario.
Peggiore? e perché mai? Chi produce la conoscenza, la formazione, la ricerca, se non le persone, i docenti, e perché mai dunque una spesa troppo elevata del personale in una scuola, in un ateneo dovrebbe essere considerata un fattore critico? Non so quale fosse il rapporto tra la spesa del personale e quella totale ai miei tempi, quando andavo al liceo o all’università. So che le aule erano piuttosto scassate e il riscaldamento non funzionava, ma ringrazio il cielo di avere avuto insegnanti come Carlo Gentile, Michele Valente, Michele Melillo, Vito Amoruso, Giuseppe Semerari, Italo De Feo.
Giustamente – e sono dalla sua parte – il rettore Giuliano Volpe ha argomentato che il calcolo del Sole 24 Ore è fasullo giacché il problema non riguarda la spesa, e in particolare quella del personale che è in linea con il resto degli atenei italiani, ma piuttosto l’entrata, che è assai più bassa che nel resto del Bel Paese.
Insomma a determinare la presunta bassa performance dell’Università di Foggia sono stati in primis i tagli al Fondo di funzionamento ordinario che – sentite un po’ – viene determinato in base al costo standard per docente e non già in base al costo standard per studente, come sarebbe ovvio, tenuto conto che ogni assegnazione di danaro pubblico dovrebbe essere effettuata in riferimenti ai suoi beneficiari finali.
Il rettore fornisce alcuni dati che fanno riflettere: “Se il fondo fosse ripartito, come sarebbe equo, assegnando ad ogni studente il valore medio standard di € 4.218, le Università del Sud e delle isole riceverebbero oltre 200 milioni di euro in più, e la sola Università di Foggia oltre 7 milioni all’anno.”
C’è poi la questione delle tasse studentesche i cui introiti sono molto modesti, a Foggia, e contribuiscono ad abbassare le entrate: “Basti pensare – dice ancora Volpe – che la media italiana (dati 2009) è di € 982, ma al Nord è di oltre € 1.350, al Centro di circa € 1.000 e al Sud è di € 650, e nella mia Università – pur avendo negli scorsi anni quasi raddoppiato le entrate dalle tasse – è di soli € 373, tra le più basse d’Italia. Eppure una legge dello Stato fissa al 20% il limite massimo per le entrate dalle tasse studentesche in rapporto al FFO: legge ampiamente violata in questi anni, senza alcuna sanzione, anzi premiando quelle Università che l’hanno disattesa.” Come spesso accade in questo Paese vincono i più forti e i più furbi. Che per giunta sono portati sugli altari dagli opinionisti che dettano le regole del gioco.
Insomma, dati come quelli pubblicati dal Sole 24 Ore andrebbero compresi, motivati e non dovrebbero servire a sbattere il mostro in prima pagina, come fa invece il quotidiano. Dovrebbero alimentare interventi di solidarietà rivolti ad attenuare la sistematica forbice tra Nord e Sud. Che continuerà ad allargarsi, grazie ai padroni del vapore, che definiscono i parametri e i criteri delle classifiche su cui poi si forma l’opinione pubblica. E noi continuiamo a cascarci.
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