La Capitanata è più povera. La provincia di Foggia è più sola. Siamo tutti un po’ più poveri e più soli. Nel giro di qualche mese se ne sono andati – li cito in ordine cronologico di scomparsa – Berardino Tizzani, Antonio Pellegrino e Gabriele Consiglio, tre presidenti che hanno guidato l’amministrazione provinciale in epoche diverse, tra di loro legati da almeno due tratti comuni: la lungimiranza e l’amore profondo per la cultura.
A legare ulteriormente Consiglio e Tizzani c’è anche la professione forense esercitata ai massimi livelli. Il primo è stato tra l’altro presidente della Camera Penale; il secondo ha guidato per vent’anni l’Ordine degli Avvocati. Furono poi entrambi incrollabilmente democristiani, assumendo nel gioco torrentizio del vecchio partito scudocrociato posizioni diverse. Fu decisamente moroteo e di sinistra Tizzani, mentre Consiglio si attestò sempre su posizioni moderate.
Assieme ad un altro grande presidente di Palazzo Dogana, Franco Galasso, furono decisivi nel pensare e realizzare l’opera che ha fatto cambiar pelle e passo alla Provincia, trasformandola da Ente con poche e marginali funzioni, in un punto di riferimento per tutta la comunità provinciale, la Biblioteca Provinciale.
Adesso che li ricordo con commozione e profonda nostalgia, mi accorgo che il mio rapporto con loro, la nostra amicizia è stata scandita proprio dal comune amore per i libri. Tizzani mi aveva precettato affinché raccogliessi per lui i libri che la Provincia pubblicava o acquistava. Quando ne avevo radunata una certa quantità lo chiamavo per consegnarglieli. Arrivava immancabilmente con una grande cartella: la stessa – credo – che lo aveva accompagnato nell’esercizio della professione. La riempivamo di libri e ci salutavamo affettuosamente.
L’ultima volta che l’ho visto ha coinciso con una manifestazione pubblica in cui lui era relatore, ed io moderatore: non a caso la presentazione di un libro scritto da un comune amico, Domenico Mucciarone, “Il Mezzogiorno d’Italia ieri e oggi”.
Gabriele Consiglio non è stato soltanto un gran lettore, ma anche un grande scrittore di libri, uno dei più prolifici autori della nostra terra, cui ha donato diciassette opere. Chi scrive ha avuto l’onore di contribuire spesso a presentarli, venendone ripagato non soltanto da una stima sincera e profonda, ma da quella emozione irripetibile che trasmettono le parole di Gabriele. Nella vita di questo grande personaggio le parole hanno avuto una centralità assoluta: fossero esse le parole domestiche pronunciate in famiglia, quelle scritte e affidate alle sue opere, quelle forbite e rigorose con cui intesseva le sue arringhe.
Ci siamo visti soltanto qualche giorno prima della sua scomparsa, per concordare alcune correzioni alla prefazione che mi aveva chiesto di scrivergli per la sua ultima opera, che uscirà postuma. Da qualche tempo la vista gli si era offuscata ed era assistito nella lettura dalla sua segretaria. Amava così tanto le parole da aver praticamente imparato a memoria quanto avevo scritto, ed è inutile dire che le correzioni suggerite erano tutte sacrosante, dettate da quella logica ferrea e da quella tensione culturale che sorreggono tutta la sua produzione. Anche in quella occasione, come sempre accadeva con lui, ho imparato, sono uscito più ricco da quell’incontro.
Un Maestro, Gabriele Consiglio, come Maestro è stato Antonio Pellegrino per una generazione di medici e per una generazione di intellettuali. Dei tre Presidenti recentemente scomparsi è stato il primo direttamente eletto dal popolo, ed anche – proprio grazie all’investitura popolare – quello che più a lungo ha retto (nove anni)l’amministrazione provinciale. Lungimirante e sognatore, ha però saputo mettere ali ai suoi sogni, fino a farli diventare cose, e cose di tutti. Da lui ho imparato che la bellezza ha un valore politico, anzi la bellezza dovrebbe coincidere con la politica: arte del possibile, ma di un possibile da sognare prima, e inverare poi.
Non ci fosse stata una Biblioteca Provinciale, sono sicuro che l’avrebbe realizzata lui. Ma visto che ci avevano pensato già Tizzani e Consiglio, ha fatto altro, e di che spessore: due teatri, tre musei, una galleria d’arte, tante nuove scuole. È invece rimasto inattuato il suo sogno più grande: rivisitare le geografie dello sviluppo provinciale facendo della Capitanata una “grande Provincia” e stabilendo legami forti con le terre limitrofe. Aveva disegnato assieme a presidenti altrettanto lungimiranti (quelli delle province di Benevento, Avellino e Campobasso) quasi una nuova Regione, forgiando il “patto delle 4 province”.
La dipartita di Tizzani, Pellegrino e Consiglio lascia un vuoto immenso, che nessuna nostalgia e nessun ricordo potrà colmare. Ma l’eredità che ci hanno trasmesso è immensa. Se sapremo esserne degni custodi riusciremo ad essere, forse, anche un po’ meno poveri e un po’ meno soli.
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Bellissima analisi, bellissime parole e un fedele ritratto di tre grandi personaggi della nostra storia contemporanea, soprattutto, come hai detto tu, Geppe, tre protagonisti della nostra Cultura che meriteranno per sempre il nostro rispetto e il nostro affetto.
Grazie, Geppe, per aver fatto quello che per tutti noi è un dovere morale e mi permetterai di associarmi alle conclusioni di questo bell'articolo!
Loris Castriota Skanderbegh