L’agricoltura resta la grande cenerentola delle politiche comunitarie, e la disaffezione dell’Ue verso il comparto primario rappresenta un ulteriore vincolo per la ripresa, soprattutto nelle zone, come il Mezzogiorno, la Puglia e la Capitanata tradizionalmente vocate per l’agricoltura. Tutto questo alla vigilia di due appuntamenti importanti, forse decisivi: il varo della nuova PC (Politica Agricola Comunitaria) e la rivisitazione del Piano di Sviluppo Rurale della Regione Puglia, anche questo alimentato da fondi comunitari.
Per fortuna, una volta tanto, la politica non sta a guardare. Alle prospettive che si schiudono con la nuova PAC ha dedicato una seduta monotematica ed aperta il consiglio provinciale, mentre l’assessore provinciale all’agricoltura, Nino Santarella, sta chiamando a raccolta tutte le forze agricole per creare una piattaforma condivisa che punti alla revisione del Piano Triennale per l’agricoltura (provinciale) e quindi presenti alla Regione una proposta unitarie per quanto riguarda il Piano regionale di Sviluppo Rurale. Per ascoltare gli stakeholder, l’Assessorato ha dato vita ad uno specifico blog.
Il successo di questa sfida dipende tutto, o quasi, dall’atteggiamento e dal comportamento del Governo nazionale e dell’Ue verso i problemi dell’agricoltura.
E’ evidente che il comparto ha bisogno di una massiccia iniezione di risorse finanziarie fresche, di sovvenzioni pubbliche. E’ successo qualche mese fa, quando la crisi economica internazionale ha raggiunto i suoi livello più acuti. I governi sono intervenuti bruciando risorse notevolissime per salvare le banche ed evitare che la crisi precipitasse in un vortice irreversibile. E’ accaduto subito dopo a favore dell’industria, soprattutto quella automobilistica.
Bisognerebbe domandarsi perché ancora non sia successo per l’agricoltura. Bisognerebbe domandarselo in termini prima di tutto politici, anche a costo di ricevere risposte scomode. La risposta amara è che il comparto agricolo non “tira”, in termini di peso politico, quanto gli altri comparti dell’economia. Sono finiti i tempi in cui il voto delle campagne (sia quello dei proprietari fondiari, sia quello dei loro dipendenti, i braccianti agricoli) influenzava pesantemente gli equilibri politici nazionali, ed il governo costruiva il suo consenso sulla riforma agraria.
La perdita di peso politico dell’agricoltura non è fisiologica, ma è la conseguenza di scelte ben precise, assunte più o meno all’unanimità da tutto il quadro politico nazionale. Una di questa scelte è rappresentata forse proprio dall’ingresso in Europa: scelta che nessuno si sognerebbe oggi di contestare, ma i cui effetti sono stati positivi per alcuni settori, che hanno oggettivamente guadagnato in competitività, come il credito e l’industria, ma negativi per altri, come l’agricoltura. In questo hanno una qualche responsabilità i paesi comunitari che hanno la maggiore vocazione agricola, come l’Italia, la Francia e la Spagna, i cui governi non sempre sono stati solerti, come avrebbero dovuto, nel difendere le ragioni dell’agricoltura, facendo sì che prevalesse la linea di “disimpegno” dettata da alcuni paesi centro e nord europei.
Il punto è che l’Unione Europea considera i prodotti dell’agricoltura, i beni alimentari in genere, come oggetto di consumo, piuttosto che come risorsa produttiva tipicamente europea. Per dirla anche più chiaramente, l’Europa concepisce se stessa come mera consumatrice di prodotti alimentari (da acquistare dunque secondo le leggi di mercato, al miglior offerente, spesso anche a scapito della qualità).
Esemplare ed emblematica, in questo senso è la vicenda dello zucchero. L’Europa ne produceva abbastanza da essere autosufficiente, grazie soprattutto a paesi come l’Italia. Però lo produceva a costi più elevati rispetto ai paesi extraeuropei. Di qui la scelta di “dismettere” la filiera saccarifera, approvvigionandosi dai paesi extraeuropei.
Una storia che la Puglia e la Capitanata hanno sperimentato a proprie spese: un intero comparto smantellato, i due zuccherifici di Rignano ed Incoronata chiusi, le iniziative di riqualificazione ancora tutte in fieri (si parla della famosa e discussa riqualificazione della Sfir, che dovrebbe portare alla realizzazione del centro commerciale, a Borgo Incoronata).
Ma di storie simili la PAC è diffusamente punteggiata: dalle polemiche sulla impossibile miscela di grano duro e grano tenero nella pasta alimentare (scelta fortemente penalizzatrice di chi produce pasta di qualità, come la Capitanata) a quelle sul marchio d’origine a denominazione controllata sul vino.
La posta in palio è alta, altissima. Se non si riuscirà a far cambiare idea all’Unione Europea in questa nevralgica materia, se non verranno ascoltate le ragioni di chi produce secondo una tradizione forte di qualità. Per dirla con una battuta. Ai tedeschi potrà anche piacere mangiare spaghetti di grano tenero con la marmellata: ma non hanno alcun diritto di imporre la loro discutibile filosofia alimentare e dietetica al resto dell’Europa. E’ questo che occorrerà far capire a chi regge i fili della Politica Agricola Comunitaria, diversamente sarà molto difficile salvare l’agricoltura del Mezzogiorno, della Puglia, della Capitanata.
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