Archiviata la grandiosa manifestazione popolare di Manfredonia, per i futuro delle Tremiti e dell’Adriatico si apre l’ore della riflessione. Lo abbiamo detto più volte: è impensabile vincere questa battaglia di civiltà da soli: sia le indagini alla ricerca di idrocarburi, sia l’eventuale coltivazione dei pozzi sono un affare che riguarda tutte le comunità, e tutti gli Stati che si affacciano sull’Adriatico.
La vicenda delle Tremiti è un capitolo importante di una storia più ampia e complessa: la storia dell’assedio che le società petrolifere stanno stringendo nei confronti dell’Adriatico. Se si vuol compiere un salto di qualità nelle iniziative che si stanno promuovendo per scongiurare che le trivelle petrolifere vadano a scavare troppo vicino a Tremiti, bisogna partire da questo dato.
È superfluo ricordare che i pozzi petroliferi sono già in funzione da tempo in Abruzzo, a Vasto: bisognava mettere in conto che prima a poi sarebbe toccato a un pezzo così pregiato dell’Adriatico, dal punto di vista ambientale, quale le Tremiti, cimentarsi con una prospettiva così poco compatibile con la vocazione naturalistica dell’arcipelago, come le attività estrattive.
Il decreto 128 licenziato due anni fa dal Ministero dell’Ambiente rappresenta ancora oggi un punto di partenza importante, anzi ineludibile. Come si ricorderà, si deve proprio a questo provvedimento la bocciatura della prima richiesta di indagini sui fondali marini presentata dalla Petrolceltic, ed è comunque a partire dalle norme impartite dal provvedimento che si deve cercare di tessere i fili della difesa delle Tremiti.
Sarebbe pertanto giunto il momento che il muro contro muro, la polemica a buon mercato, il gusto di sparare al pianista sempre e comunque cedessero il posto ad una strategia più ragionata, evitando di disperdere il comune spirito di concordia e di collaborazione che si è sedimentato alla vigilia della manifestazione sipontina.
Il tutto, tenendo nel debito conto il dato di partenza di cui abbiamo detto: l’attacco alle Tremiti si colloca in un disegno più vasto di colonizzazione petrolifera dell’Adriatico, sostenuto anche dalle royalties piuttosto basse che le società pagano qualora le indagini abbiano successo e si passi all’attività estrattiva vera e propria. Assieme a quello già rilasciato (e bloccato qualche settimana fa dal Tar Lazio che ha accolto il ricorso della Regione Puglia, esclusa dalla valutazione di impatto ambientale) la Petrolceltic ha chiesto altri quattro permessi di ricerca nella stessa area dell’Adriatico. Tre riguardano zone più distanti dall’arcipelago, l’altra – che è quella oggetto delle polemiche delle ultime settimane – è invece assai più vicina: si situa giusto proprio all’altezza dei 12 chilometri che il decreto impone quale zona di rispetto tra le attività di introspezione e le aree marine protette.
È chiaro come il sole che la sola via percorribile per scongiurare l’inizio delle attività ispettive (e in futuro la possibilità di quelle estrattive) sta dunque nell’ampliamento del perimetro dell’area protetta.
Il Parco Nazionale del Gargano ha presentato da tempo la sua proposta di riperimetrazione dell’area marina protetta delle Tremiti, ma la pratica sembra essersi insabbiata nei meandri dei corridoio ministeriali.
Da parte della classe dirigente di Capitanata dovrebbero essere poste in essere sane azioni di lobbying in modo da indurre il Ministero a pronunciarsi.
Bisogna comprendere che in un contesto così esteso e grave come quello che si va profilando ai danni delle Tremiti dire “no” non basta, se non al limite a mettersi a posto la coscienza. Per fermare veramente le trivelle occorre costruire e sostenere un percorso credibile. Riperimetrare i confini dell’area marina protetta non è del resto un mero espediente per bloccare i propositi della società petrolifera. È la via maestra per ribadire l’enorme valore naturalistico ed ambientale delle Tremiti, e per impedire che venga messo a rischio da un pugno di royalties.
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