La Provincia utile e necessaria / Franz Kuntze

Il ridimensionamento della Provincia sarà un ulteriore schiaffo per la Capitanata: una terra che per la sua varietà, per la grandezza e la complessità del suo territorio ha bisogno di un autorevole ed efficiente ente intermedio.
Sono purtroppo considerazioni che lasciano il tempo che trovano, in tempi di opinionisti a buon mercato che hanno deciso che la Provincia sia un ente inutile, in tempi di crisi economica generale ed in tempi di governi tecnici più bravi ad affrontare i problemi delle banche che non quelli dei territori e della gente.
Non ci resta che ricordare, affidarci alla memoria. Da oggi, e nei prossimi giorni pubblicherò articoli che ricordano gli amministratori che hanno fatto grande la Provincia di Foggia. Il primo medaglione è dedicato a Francesco “Franz” Kuntze. L’articolo è in realtà l’introduzione agli atti di un convegno che l’amministrazione dedicò al suo compianto presidente, qualche anno dopo la sua morte.

* * *

Della straordinaria esperienza della Giunta Kuntze, ho avuto la fortuna di essere testimone esterno, ma diretto e quotidiano. All’epoca lavoravo nella redazione foggiana della Gazzetta del Mezzogiorno, occupandomi di cronaca “bianca” e in particolare di cronaca amministrativa. Una circostanza fortunata, che produsse anche una fortunata coincidenza: man mano che Franz Kuntze inventava una nuova dimensione dell’Ente Provincia, la Gazzetta, e via via anche gli altri organi di informazione locale, scoprivano Palazzo Dogana, prima d’allora relegato a poche righe nel taglio basso delle cronache locali. Non accadde per una particolare predilezione del cronista verso Franz o perché il presidente godesse, come si usa dire, buona stampa. Ma semplicemente perché solo con lui, la Provincia ha cominciato a “fare notizia”. Ci sono uomini che devono costruirsi un’immagine; altri, come Franz, che ce l’hanno, e basta: è una questione di carisma. Un presidente da sogno per qualsiasi addetto stampa o, come si dice oggi, “portavoce”: un presidente che si meravigliava perfino dell’attenzione che la stampa gli dedicava, come quando un fotoreporter lo immortalò, sorprendendolo mentre andava a Palazzo Dogana, in bicicletta.
Diciamo che Franz ha avuto il gran merito di portare la Provincia in prima pagina, e proprio in anni difficilissimi nel dibattito sul riordinamento delle autonomie locali, dibattito in cui diverse voci, anche a sinistra, postulavano l’inutilità istituzionale delle Province e la necessità del loro superamento, a favore di nuovi tipi di aggregazione, come i comprensori.
Quando la sua Giunta si insediò, nel 1976, era appena cominciata la seconda legislatura regionale. Le Regioni avevano superato la fase di rodaggio e conclusa la loro stagione costituente. Solo un anno dopo, nel 1977, il DPR 616, che rappresentò il primo organico tentativo di decentramento di poteri dallo Stato alle Regioni ed agli Enti Locali, riconobbe di fatto un ruolo centrale ai Comuni, lasciando alle Province una dimensione malinconicamente residuale.
Per dirla tutta, con la sola eccezione del fiore all’occhiello rappresentato dalla Biblioteca Provinciale voluta da Berardino Tizzani e da Franco Galasso, nel 1976 la Provincia era un Ente dalle competenze limitate e parziali: si occupava di strade, di scuole secondarie (e neanche tutte, come oggi, ma solo licei scientifici ed istituti tecnici), e di assistenza psichiatrica, peraltro delegata quasi esclusivamente all’ospedale psichiatrico foggiano con una situazione debitoria ai limiti del dissesto (un rosso di 20 miliardi di lire).
Fu questa la situazione che Franz si trovò a dover fronteggiare quando si insediò al primo piano del palazzo Upim di via Rosati. Già, via Rosati, perché a completare il contesto di precarietà c’era anche il problema della sede. L’Amministrazione provinciale aveva dovuto lasciare lo storico Palazzo Dogana, la cui agibilità era stata resa problematica da un terremoto, qualche mese prima.
Non fu, dunque, un caso che la prima decisione assunta dal neopresidente fu quella di restituire Palazzo Dogana alla Provincia ed alla città: i lavori non costarono neanche tantissimo (619 milioni) a fronte di un canone annuo di locazione per i locali di via Rosati e di corso Giannone di 47 milioni.
L’episodio è significativo non solo perché ha consentito di recuperare un tesoro architettonico alla città (si era paventata perfino la possibilità di demolire il Palazzo settecentesco…) ma perché testimonia come, a partire dalle intuizioni di Kuntze, alcuni obiettivi, alcuni impegni siano entrati a far parte del dna della Provincia, del suo patrimonio più profondo, in una linea di sostanziale continuità che ha, da allora in poi, accomunato diverse amministrazioni. Il recupero di Palazzo Dogana è stato proseguito da Michele Protano prima (restauro della Sala Consiliare) e da Antonio Pellegrino dopo (restauro del Cortile, del Salone-Tribunale della Dogana, e quindi la decisione di destinare l’intero immobile a contenitore culturale).
La stessa linea di continuità ispira l’altra fondamentale intuizione di Franz, che è in qualche modo legata alla stessa vicenda di Palazzo Dogana: l’idea di una “dignità” profonda dell’Ente Provincia, l’orgogliosa consapevolezza della “necessità” della Provincia, in quanto ente intermedio, ai fini del più complessivo sviluppo della Capitanata.
La seconda metà degli anni Settanta è stata molto positiva per la provincia di Foggia. Gli indicatori socio-economici la collocavano tra le aree centromeridionali a più rapida riduzione del divario con il Nord. La realizzazione dei progetti irrigui della Cassa per il Mezzogiorno aveva aperto straordinarie potenzialità per l’agricoltura, diversificando un ordinamento colturale in precedenza dedito quasi esclusivamente al grano. Erano gli anni ruggenti delle partecipazioni statali, presenti non solo sul versante industriale ma anche su quello turistico (Pugnochiuso) ed agricolo.
Sul futuro della Capitanata si moltiplicavano studi e progetti, che vedevano le forze sociali ed economiche solerti e consapevoli protagoniste ed antagoniste. Mentre il Consorzio di Bonifica lanciava il Progetto Tecnagro e il Consorzio ASI elaborava il progetto Masterli, la Federbraccianti rispondeva con il Progetto Anni Ottanta. La Provincia di Kuntze si fece carico di ricucire le fila, con il Progetto Capitanata che è la radice della storia economica dei successivi decenni, che sarebbe culminata nella  “stagione della concertazione”, vent’anni dopo. Come a dire che questa idea è rimasta l’elemento centrale e portante della elaborazione progettuale e programmatica di tutte le amministrazioni che si sono avvicendate al Governo di Palazzo Dogana, a prescindere dal loro colore politico.
Il progetto, presentato il 24 marzo del 1981, quasi a suggello della straordinaria esperienza amministrativa della Giunta Kuntze, fu elaborato da Federico Pirro (linee dello sviluppo industriale), Salvatore Garofalo (agricoltura ed irrigazione), Edoardo Abruzzese (assetto del territorio), Luigi Di Comite (movimenti demografici e mercato del lavoro).
Alla base del progetto, un’idea tanto bella da essere addirittura sfavillante: la consapevolezza che, grazie alla ricchezza del suo territorio, alla sua favorevole posizione geografica, alla sua grandezza, la Capitanata non aveva bisogno di importare dall’esterno modelli di sviluppo, com’era accaduto negli anni Sessanta, ma poteva, doveva puntare su uno sviluppo autencentrato, multisettoriale, integrato. Di particolare interesse le opzioni per l’agricoltura (fu in quegli anni che si partorì l’immagine suggestiva della Capitanata come “California del Sud” e del Tavoliere come “food valley”) e per l’industria. Per quanto riguarda l’agricoltura, la proposta era di utilizzare l’enorme patrimonio irriguo per favorire la produzione di carne, attraverso il ciclo irrigazione – foraggicoltura – zootecnia – carne. “Vogliamo dare vita – disse Kuntze durante il convegno di presentazione – ad uno sviluppo di tipo e di segno ‘padano’ basato sulle risorse esistenti, sulla loro ottimizzazione e, soprattutto, fondato sul protagonismo delle autonomie locali. La Capitanata degli anni Ottanta sarà quella che noi riusciremo a farla diventare”.
Il coinvolgimento dei Comuni e delle Comunità Montane nell’ambizioso disegno era il dato saliente delle linee per lo sviluppo industriale elaborate da Federico Pirro, articolato in cinque settore: il progetto marmo (che vide la Provincia stimolare la creazione del consorzio per l’esportazione delle imprese estrattrici del bacino di Apricena); il progetto agro-industria, con l’incentivazione delle riconversione colturali anche il collaborazione con le finanziarie operanti nel settore; il progetto legno – carta – mobilio (attraverso iniziative di forestazione produttiva); il progetto metalmeccanica, legato essenzialmente all’indotto Sofim ed il progetto edil-mat, che sviluppava le imprese produttrici di materiali per l’edilizia).
Non mancarono alcuni lodevoli tentativi di tradurre in realtà operativa le intuizioni del Progetto Capitanata: si lavorò molto, per esempio, anche per merito dell’assessore provinciale Antonio Grosso che era ai vertici dell’INSUD, per la forestazione produttiva, con investimenti in forestazione su una superficie di 3.600 ettari.
E così la Provincia che, prima di allora faceva solo strade, scuole ed assistenza ai disagiati psichici mise le ali, e spiccò il volo.
Ricordo un momento topico, in una seduta del consiglio provinciale, che sancì una svolta clamorosa anche in senso politico. Si discuteva della contrazione del mutuo con cui la Provincia avrebbe acquistato a Sannicandro Garganico il complesso di Portone Perrone, prelevandolo dalla Fondazione Zaccagnino. La complessa operazione finanziaria avrebbe, come dire, preso due piccioni con una fava: dotare le scuole di Sannicandro di una sistemazione migliore (ancora oggi quel “campus” è tra i migliori e più efficienti dell’intero territorio provinciale) e nello stesso tempo di risolvere la drammatica situazione finanziaria in cui era precipitata la Zaccagnino, una fondazione importante per l’agricoltura del Gargano, ed anche per la sua capacità di produrre innovazione. 
La minoranza sembrava piuttosto contraria alla proposta di Kuntze, quando nel dibattito intervenne Guido Rotella, capogruppo dell’opposizione missino, nella vita professionale dirigente del Consorzio di Bonifica ed esperto agricolo di fama internazionale. 
Tenendo tra le mani un barattolo di salsa di pomodoro, Rotella svolse un appassionatissimo intervento per sottolineare la necessità di sostenere lo sviluppo agroindustriale, affinché i prodotti della terra potessero venire trasformati in loco, affinché la Capitanata potesse svilupparsi da sola, senza sottostare al giogo delle aziende di trasformazione campane. A sorpresa, prendendo le distanze dall’orientamento del suo gruppo, Rotella annunciò il suo voto favorevole all’acquisto di Portone Perrone, voto che fu decisivo.
Un episodio che la dice lunga anche sul clima politico e sui rapporti di forza interni al consiglio. Era un clima rovente, nel pieno degli anni di piombo, però mai venne meno il reciproco rispetto, e maggioranza ed opposizione si trovarono spesso concordi nell’affrontare problemi drammatici, come il risanamento dei debiti con l’ospedale psichiatrico e le iniziative per la ricostruzione dopo il terremoto del 23 novembre 1980. Ma fu anche un consiglio provinciale di altissimo profilo: nei banchi consiliari sedevano due ex presidenti della Provincia (Franco Galasso e Berardino Tizzani), un ex vicepresidente della giunta regionale (Antonio Grosso). La maggior parte dei consiglieri provinciali aveva, inoltre, maturato esperienze amministrative nei comuni di origine.
Un record politico stabilito da Kuntze, fu l’aver concluso la consiliatura senza neanche un giorno di crisi. 
Per moltissimi versi, fu una Giunta lungimirante, se non addirittura in anticipo sui tempi. Ma di record, Kuntze ed i suoi assessori, ne hanno stabiliti parecchi. Nell’80, ad iniziativa dell’Assessore al Personale, Vincenzo Pizzolo, il Consiglio varò il piano di ristrutturazione dei servizi e degli uffici di straordinaria portata innovativa: la Provincia fu uno dei primi enti locali in Italia a prevedere l’istituzione di un centro elaborazione dati. Per vederlo attuato, sarebbero però stati necessari altri vent’anni.
Straordinario anche l’impegno profuso a favore della cultura: si deve all’assessore provinciale Maria Schinaia la prima Estate Culturale promossa dalla Provincia, nel 1980. E poi la creazione della Galleria d’arte moderna e contemporanea di Palazzo Dogana, l’istituzione della Fondazione Di Vittorio, l’impegno a favore dell’ISEF, la partecipazione all’Expo Arte con gli studenti delle nostre scuole artistiche. Sogni che hanno gettato semi profondi, idee, che sono diventate realtà negli anni. O che attendono di essere riscoperte.
Esemplare il caso del Parco Nazionale del Gargano. Per sostituire il dimissionario assessore Arcangelo Sannicandro, il Consiglio Provinciale elesse nella Giunta, quando mancava meno di un anno alle elezioni, un giovanissimo consigliere, Matteo Fusilli. E qui è il caso di aprire una breve parentesi. 
Kuntze riuscì anche a temperare ed armonizzare una Giunta “intergenerazionale”, in cui sedevano, fianco a fianco, decani della politica, come il suo vicepresidente, Teodoro Moretti (che di lì a qualche anno sarebbe anche diventato Presidente) o come Leonardo Russo, Pasquale Ricciardelli, Michele Lattanzio, ed amministratori decisamente più giovani, come Fusilli o Michele Caccavone. Un’armonia resa possibile dal senso di squadra che animava la Giunta ed i suoi collaboratori, anche non politici. A far da collante erano però il costante sorriso di Kuntze, la sua allegria che rendeva sopportabile anche il lavoro più oneroso. Il tirar tardi la sera, oltre l’orario di lavoro e oltre lo straordinario contrattualmente consentito era una costante per i collaboratori del presidente e degli assessori. Ricordo Anna Maria Zampino, Raffaele Giampietro (che furono i capi di gabinetto di Franz), Vincenzo De Stefano, vicesegretario generale, Giuseppe Marchese, Franco Mercurio, Franco Zizzo , Liliana di Ponte, Antonio De Cosmo. Ricordo, soprattutto, l’entusiasmo che li animava, l’entusiasmo febbrile di chi è consapevole di lavorare a qualcosa di grande, che potrebbe cambiare la storia della comunità. E molte cose cambiarono. Molte nuove strade, nuove direzioni vennero intraprese.
Come quella, appunto, del Parco Nazionale del Gargano, che si deve al giovanissimo Fusilli.
In quei mesi, dalle colonne della Gazzetta del Mezzogiorno, Sabino Acquaviva rilanciò l’idea di tutelare il patrimonio ambientale e culturale del Gargano che si andava depauperando, attraverso l’istituzione di un’area protetta, Fusilli raccolse lo spunto, ed organizzò un grande convegno che per la prima volta fece registrare una faticosa ma convinta convergenza sull’ipotesi del Parco. Ci sarebbero voluti ancora anni perché l’idea potesse diventare realtà, ma il germe fu gettato lì. Per la cronaca, Fusilli è stato il primo Presidente del Parco Nazionale del Gargano, e grazie a questa esperienza è diventato anche Presidente nazionale della Federparchi.
Fu una giunta laboratorio, una fucina di idee e progetti. Per dire gli ultimi: l’impegno progettuale per l’elettrificazione rurale e la metanizzazione del territorio provinciale, il rilancio delle attività di pesca e di acquacoltura, il progetto per la ristrutturazione a fini didattici dell’albergo rifugio della Foresta Umbra, una politica di lavori pubblici  orientata a svolgere una funzione di volano per incrementare il capitale fisso sociale e per la crescita delle aree indotte; l’impegno a favore delle aree interne che sfociò nella progettazione della Pedesubappenninica, l’attuale strada regionale n.1 che, ad onta del suo numero beneaugurale, la Regione Puglia ha purtroppo lasciato cadere nel dimenticatoio.
Nessun uomo passa mai invano nel suo percorso terreno: l’eredità che ci hanno lasciato Franz Kuntze e la sua giunta costituisce un patrimonio straordinario, come tutto ciò che a partire dalle idee e dalla volontà, riesce a diventare opere, e storia. Un patrimonio di speranza, soprattutto, fondato sulla consapevolezza – come Franzino amava ripetere – che sono gli uomini i costruttori del loro destino, che il nostro futuro sta nelle nostre mani. Ricordarlo non è solo affetto, e non è solo attestazione di stima, perché questa terra ha, oggi più che mai, bisogno di speranza. Dopo Kuntze sarebbe arrivato il “decennio debole”, gli anni Ottanta che avrebbero segnato la fine del modello di sviluppo scritto dalla partecipazioni statali, e poi ancora il caso Capitanata, con  la più promettente delle province meridionali condannata ad una posizione sempre più marginale nello scacchiere dello sviluppo pugliese.
A volte, la cronaca diventa storia. Francesco Kuntze ha scritto una delle pagine più belle della storia della nostra terra. Rileggendole, alla nostalgia per quella straordinaria persona, ed amico e compagno che egli fu, s’accompagna un rinnovato orgoglio d’essere figli di questa terra. 
Grazie, Franz.

Views: 0

Author: Geppe Inserra

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *