Si sente spesso dire che la questione meridionale è scomparsa da tempo dall’agenda del Governo nazionale, ed è sotto molti aspetti vero, almeno per quanto riguarda il dibattito meridionalistico, da molti anni ridotto a polemica da ballatoio.
La crisi economica e la necessità di ridurre la spesa pubblica rilanciano, invece, la necessità di ripensare il meridionalismo e con esso la questione meridionale, che non è stata risolta e si pone oggi più o meno negli stessi termini di un secolo e mezzo fa. Tra il Mezzogiorno ed il Centro-Nord persiste un divario economico, sociale e culturale che impedisce l’autentica integrazione delle diverse aree del Paese.
Ad essere cambiato, e moltissimo, è però il contesto della questione meridionale, che riguarda ormai solo marginalmente il rapporto tra il Mezzogiorno ed il resto d’Italia (e di conseguenza non riguarda più soltanto la più o meno concreta volontà della classe dirigente di rimuovere le cause che producono il divario). L’Italia è in Europa: la questione meridionale deve dunque fare i conti dell’Europa.
I NUOVI TERMINI DELLA QUESTIONE MERIDIONALE
L’epoca in cui Pasquale Saraceno e Rodolfo Morandi teorizzarono la necessità di un intervento straordinario dello Stato per ridurre la forbice che penalizzava il Mezzogiorno si è da tempo chiusa. Ma l’intervento straordinario ha cambiato registro: le redini non stanno più a Roma ma a Bruxelles. Vale la pena ricordare che l’Italia è un paese contributore del bilancio comunitario, nel senso che è chiamato a versare nelle casse comunitarie la questione parte che gli spetta per finanziarle. Ma l’intero Mezzogiorno ricade nelle aree dell’obiettivo 1, ovvero le regioni svantaggiate (presenti soltanto in quattro stati: l’Italia, la Spagna, la Grecia e la Germania) che usufruiscono di contributi e politiche di intervento “straordinario” proprio per colmare il gap che le separa dal resto del continente.
Tanto per dire, la Germania ha brillantemente approfittato di questa opportunità, riuscendo a risolvere nel volgere di solo qualche decennio il suo divario interno: della Germania Est contrapposta alla prospera Germania Ovest, oggi non si ricorda più nessuno.
La sfida nevralgica per il Mezzogiorno o, se preferite, i nuovi termini con cui oggi si pone la questione meridionale, sta dunque proprio nella capacità di ripensare il meridionalismo all’interno dell’Unione Europea, dei suoi programmi, delle sue politiche, delle sue strategie.
Il bilancio a tutt’oggi è assolutamente negativo. Giovanni De Mauro, direttore della rivista Internazionale, ha dedicato al problema un editoriale dal titolo quanto mai emblematico: “Imbarazzante”.
“La cifra – scrive De Mauro – è di quelle così grandi da sembrare un errore: 43,3 miliardi di euro. Sono i soldi dei fondi strutturali europei che finora l’Italia non è riuscita a investire e che alla fine del 2013 non potrà più usare. I calcoli sono della ragioneria dello stato. Per il periodo 2007-2013 a favore dell’Italia sono stati stanziati 59,4 miliardi di euro e al 30 giugno 2012 ne erano stati spesi solo 16,1. Soldi destinati soprattutto alle regioni meridionali.”
L’ITALIA VERSA ALL’UE PIÙ DI QUANTO RIESCA A SPENDERE
C’è di che restare allibiti: “in Europa – osserva ancora il direttore dell’Internazionale – l’Italia è al terzo posto tra i paesi che ricevono più soldi da Bruxelles (dopo Polonia e Spagna) e al secondo tra quelli che li usano di meno (dopo la Romania). Ma, soprattutto, (come abbiamo già rilevato prima, n.d.r.) l’Italia è un contribuente netto al bilancio comunitario: ha versato nelle casse europee più di quanto abbia ricevuto sotto forma di aiuti.”
Sulla scandalosa mancanza di feeling tra i meccanismi di intervento comunitario e il nostro Paese ha riflettuto anche sul Corriere della Sera, Sergio Rizzo: “Sulle cause si è discusso a lungo, spesso si tira in ballo la scarsa (o scarsissima) capacità progettuale delle amministrazioni locali o centrali. Ma non c’è dubbio che ci sia anche il concorso dell’indolenza burocratica e di una certa miopia della politica.”
Il problema non è nuovo, anzi va avanti praticamente da sempre. L’imbarazzo al quale si riferisce l’editoriale di De Mauro è quello esternato dal capo dello Stato.
“Il presidente della repubblica – vi si legge – ha detto che è arrivato il momento di voltare pagina, di farla finita con le opere incompiute e di mettersi d’impegno per usare i soldi. Ha parlato di “imbarazzo” e “di grande spreco” di soldi che potrebbero far crescere il sud, uno spreco ancora più insultante perché “sono in qualche modo soldi nostri, che vengono dalle nostre tasche, dal nostro lavoro”.
Ma – conclude causticamente il direttore – “il presidente era Carlo Azeglio Ciampi, nell’ottobre del 2000.”
OPEN COESIONE: UN SITO PER CAPIRCI DI PIÙ
Il governo Monti, soprattutto attraverso il ministro della coesione territoriale, Fabrizio Barca, sta cercando di voltare pagina, e va segnalata in questa direzione una iniziativa molto positiva, affidata alla Rete: è il sito Open Coesione in cui sono monitorati tutti, ma proprio tutti, i 473.048 progetti avviati nel territorio nazionale, per impulso comunitario e che potrebbero restare nel cassetto.
La provincia di Foggia, come vediamo nella cartina tratta dal sito (raggiungibile all’indirizzo web http://opencoesione.gov.it/) è tra le province meridionale che hanno maggiormente attinto, almeno sulla carta, ai meccanismo comunitari di intervento. Il colore più scuro corrisponde al finanziamento più elevato.
Ma sono allarmanti – anche se meno negativi di quelli di altre province meridionali – i dati che riguardano la capacità di spesa, ovvero la capacità di tradurre i progetti approvati in cantieri, opere. I progetti attivi in Capitanata sono ben 5.557, per un finanziamento “virtuale” complessivo di ben un miliardo e mezzo di euro. Una massa finanziaria imponente: in buona sostanza, è come se l’Unione Europea avesse elargito ad ogni abitante della provincia di Foggia 2.295 euro. Ma i pagamenti effettivi sono di gran lunga inferiori: soltanto 339,4 milioni di euro, poco più del 20 per cento.
Se non verranno accelerate le procedure per l’utilizzazione dei finanziamenti disponibili la provincia di Foggia perderà qualcosa come un miliardo e 200.000 euro. Se, al contrario, si riuscisse a spendere questi quattrini, sarebbe assai di più di una boccata d’ossigeno contro la crisi. Ma perché è così difficile spendere questi contributi? Lo vedremo in uno dei prossimi post.
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