Uno dei problemi più seri della politica locale (e non solo) è il suo ottimismo di facciata: eufemismo che sta per l’incapacità (o la non volontà) di dire le cose come stanno. Questo difetto di trasparenza – spesso inconsapevole – produce guasti notevoli, per una serie di ragioni.
La prima è che ritarda, quando non vanifica del tutto, l’attuazione delle scelte compiute dalla politica stessa preziose risorse. La scarsa celerità con cui gli investimenti vengono cantierizzati e le opere vengono realizzate è uno dei grandi – ed irrisolti problemi – della pubblica amministrazione meridionale, ed anche una delle cause più significative che innescano il divario tra il Sud ed il Centronord. Quante decine di milioni di preziosi investimenti vengono perdute soltanto perché non si riesce a spenderli entro i tempi previsti?
DIRE LE COSE COME STANNO, PRINCIPIO DI BUONA POLITICA
Non dire le cose come stanno provoca anche una seconda conseguenza, d’impatto non minore della prima, anzi forse anche più devastante: impedisce il controllo (democratico) dell’opinione pubblica sul percorso attuativo delle scelte politiche stesse.
È banale ricordare che non basta operare una scelta politica per vederla concretizzata: anzi, la qualità della politica, lo spartiacque che divide la buona politica dalla cattiva politica, sta proprio nella capacità di trasformare una scelta astratta in un dato di fatto: in un’opera, in un servizio efficiente, in “qualcosa”, insomma.
Un caso di scuola sui guasti prodotti dall’ottimismo di facciata della politica è raccontato dalla vicenda dell’aeroporto Gino Lisa di Foggia. Dopo anni di tira e molla, finalmente sembra essersi profilata un’intesa sul progetto di allungamento della pista dello scalo, assolutamente necessaria per consentire l’atterraggio ed il decollo dei voli charter, e dare una mano all’economia turistica del Gargano, strutturalmente penalizzata dall’inadeguatezza del sistema dei trasporti. Nell’era della globalizzazione, è inammissibile che un turista arrivi prima a Sharm El Sheik che non a Vieste.
L’ultima atto pubblico di questa vicenda infinita è stato rappresentato dalla conferenza di servizio convocata, qualche mese fa, dal provveditorato regionale delle opere pubbliche per mettere d’accordo i diversi “portatori di interessi”.
Il summit si è concluso con un nulla di fatto o quasi.
Gli ostacoli non sembrano insormontabili, d’accordo. Ma comporteranno un allungamento dei tempi di realizzazione del progetto? Assai probabilmente, sì. E renderanno necessari correttivi al progetto stesso? A questa domanda, finora nessuno ha risposto in maniera chiara. Sic stantibus rebus, sembra di no. Ma i precedenti sono assai poco incoraggianti: già oggi, la pista paga un dazio severo per la presenza di ostacoli fisici nel cosiddetto cono d’atterraggio, che impediscono di sfruttarla in tutta la sua attuale lunghezza.
Gli ostacoli che si frappongono all’attuazione del progetto di allungamento non sono soltanto di natura burocratica: tra le righe, si è capito che occorrerà negoziare con alcuni “portatori d’interessi” (privati) affinché questi attenuino i loro interessi, che – va detto – sono legittimi.
UNA SFIDA DI “BUONA POLITICA”
Trovare un punto d’accordo tra gli interessi pubblici della collettività e quelli privati di pochi o tanti cittadini fa parte della vita quotidiana di un paese democratico, ma non è mai facile. Nella fattispecie, è lecito supporre che si tratterà di una trattativa lunga e difficile, anche se non sarebbe male comprendere – seppure a posteriori – chi e perché ha rilasciato concessioni edilizie nella zona aeroportuale, sapendo che avrebbero potuto collidere con le prospettive di crescita dello scalo. Dell’allungamento della pista non si parla sicuramente da oggi, e già in passato, sul progetto si erano profilate resistenze “private”, così come era accaduto a proposito del progetto del raddoppio della circonvallazione,, di cui non parla più nessuno, tanto che sembra essere ormai caduto nel dimenticatoio.
Dire come stanno effettivamente le cose consentirebbe il formarsi di un’opinione pubblica più matura e consapevole. Se il progetto di allungamento dev’essere rivisto o se addirittura non deve farsene più nulla, lo si dica: quei soldi potrebbero essere utilizzati in altro modo. Il peggiore servizio che si può rendere al territorio, in questi tempi di crisi, è ritardare la cantierizzazione di opere che producono investimenti ed occupazione.
LA PISTA FARÀ LA FINE DEL PARCO EOLICO?
Sul Gino Lisa di Foggia sembra incombere una maledizione. Ogni volta che si prospettano investimenti consistenti la pizza si brucia. È accaduto poco tempo fa, a proposito del mega parco fotovoltaico che avrebbe assicurato entrate consistenti alla società di gestione dell’aeroporto e di conseguenza allo scalo stesso. Non se n’è fatto più nulla.
Per la città tutta, e per la sua classe dirigente, il problema del Lisa e l’allungamento della pista costituiscono un cruciale banco di prova. Riuscire a trovare una convergenza tra gli interessi pubblici e quelli privati non dipende soltanto dalla buona volontà del sindaco Mongelli, che ce la sta mettendo tutta.
Se non si dovesse trovare un punto d’equilibrio, non ci saranno vincitori e vinti. Perderemmo tutti. Proprio per questo è auspicabile che il confronto si svolga all’insegna della massima trasparenza. E senza preconcetti di sorta: gli interessi privati sono legittimi. Forse è stato inopportuno lasciare che si sedimentassero, nel senso che occorreva governare meglio il territorio, impedendo per tempo che nella zona aeroportuale sorgere manufatti che ne avrebbero reso difficoltosa l’espansione. Ma questo è un altro discorso, e adesso è inutile piangere sul latte versato: si tratta di contemperare gli uni e gli altri interessi. Come? Proprio attraverso la politica. Ma la buona politica.
Il problema è più profondo di quanto non appaia a prima vista. Non è la prima volta che la città ha perso occasioni preziose, rimanendo paralizzato nella spirale perversa degli interessi privati che si oppongono a quelli pubblici.
Consiglieremmo a quanti vogliano capire meglio il senso di questa sfida di farsi un giro dalle parti di piazza padre Pio, dov’è scomparso quello che per anni è stato il monumento dello spreco, e dell’effetto devastante che certi interessi privati producono sulla città. O, più precisamente, dell’effetto devastante provocato dal mancato raggiungimento di un punto di equilibrio tra gli interessi privati e quelli pubblici.
MERCATO PADRE PIO, MONUMENTO ALLO SPRECO
Questo monumento era il mercato padre Pio. Non c’è più. È stato demolito dall’impresa che lo ha acquistato, e che vi realizzerà civili abitazioni, dopo che il cantiere era rimasto bloccato per decenni.
Per l’amministrazione e per la città è stato un affare, trovare qualcuno che abbia acquistato quella cattedrale nel deserto, nemmeno completata. Ma quanto era costata quella struttura, mai ultimata, alla collettività, in termini di progettazione e realizzazione? Che spreco di risorse. Che frustrazione di speranze. Che sconfitta, per la politica.
Il mancato completamento del mercato è figlio di una vicenda politica precisa. L’opera – varata dall’amministrazione guidata da Pellegrino Graziani – avrebbe dovuto ospitare i commercianti del mercato di via Rosati, eliminando la bruttura di quel mercato rionale a cielo aperto, che tante volte è finito agli onori della cronaca, per i problemi igienico-sanitari provocati nel rione che lo ospita, suo malgrado.
Però i commercianti non hanno mai voluto saperne del trasferimento: per giunta, quando fu progettato era sufficiente per accoglierli tutti. Con il passare degli anni sarebbe stato insufficiente, visto che l’amministrazione ha continuato ha rilasciare le licenze commerciali.
Un altro caso in cui gli interessi pubblici sono finiti in rotta di collisione con quelli privati, ed hanno avuto la peggio. Finirà così anche per il Gino Lisa?
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