Adesso Foggia è veramente più sola. Più indifesa. Come succede quando in una famiglia muore il patriarca, e se ne va il custode della memoria e delle radici, che tramandano l’identità da una generazione all’altra.
Con la scomparsa di Gaetano Matrella se ne va un pezzo importante non soltanto della memoria, ma del cuore della città, perché il professore Foggia l’amava profondamente, perdutamente, pur essendo spesso molto critico con i suoi concittadini.
Gaetano amava ripetere che per per contare i foggiani intelligenti ed appassionati di sua conoscenza, bastavano le dita delle mani: ho avuto la fortuna di essere tra quelli.
Matrella è stato però un pessimista razionale, che non si è mai arreso all’evidente spettacolo del declino, forse irreversibile, della nostra Foggia.
Ha dedicato la maggior parte della sua copiosa produzione pubblicistica a raccontare la città, il suo splendido passato il cui ricordo tinge ancora più di grigio il presente. Ha dedicato due volumi alle biografie dei foggiani illustri, nella incrollabile convinzione che una città che ha dato i natali a Umberto Giordano – di cui è stato uno dei più grandi studiosi – è una grande città. Era convinto che per risalire la china, si debba in qualche modo ricominciare dal passato, che va raccontato soprattutto ai giovani affinché trovino l’orgoglio della loro identità.
L’ultima volta che l’ho incontrato, l’estate di due anni fa, ci intrattenemmo a lungo proprio su Giordano, e sulla scarsa fortuna che questo illustrissimo figlio di Foggia ha incontrato nella sua città natale.
Ribadì che una città che non sa valorizzare ciò che è stata, è una città che ha scarse speranze di futuro. Ma indicò proprio nel recupero dell’orgoglio foggiano la strada per percorrere per risollevarsi: “Ce l’abbiamo fatta tante volte, dal terremoto del 1731 ai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Dobbiamo farcela anche stavolta.”
Ed è questa l’eredità imponente che lascia, nei suoi mille articoli e nelle annate dei giornali che lo hanno visto direttore.
Ci siamo conosciuti sul finire degli anni Settanta, quando il giornalismo foggiano era ancora capace di grandi battaglie civili ed ideali, e così di contribuire – attraverso la dialettica ed il confronto dei diversi punti di vista – alla formazione di quell’opinione pubblica divenuta ormai una mosca bianca, soverchiata da raffiche di comunicati stampa o dalle polemiche da ballatoio dei social network.
Ci trovammo dalla stessa parte della barricata – lui direttore del Nuovo Risveglio, io cronista alle prime di Capitanata Agricola Industriale diretto da Matteo Tatarella – nel dire no alla costruzione della cosiddetta “muraglia cinese”: la tangenziale sopraelevata che avrebbe dovuto collegare la superstrada Candela-Foggia con il casello autostradale di via Manfredonia, lambendo l’aeroporto Gino Lisa, gli Ospedali Riuniti e probabilmente determinando in modo irrevocabile l’espansione urbanistica cittadina.
Ci battevamo per una trasformazione del progetto (come poi effettivamente avvenne, almeno per quanto riguarda l’incrocio di viale degli Aviatori), a favore di un tracciato più ragionevole, che prevedesse svincoli a raso e dunque non ingabbiasse lo sviluppo urbanistico della città.
Fu una vittoria a metà: la strada non è mai stata completata (confermando il sospetto che l’insano progetto servisse soltanto a condizionare il futuro urbanistico cittadino, premiando la speculazione fondiaria); lo sviluppo edilizio della città è stato caotico e disordinato. Fummo fianco a fianco in tante altre memorabili battaglie: per la riapertura del Gino Lisa, per l’istituzione del terzo centro universitario pugliese che vide Matrella sostenere con forza le ragioni e l’impegno di quell’indimenticabile (ma dimenticato) protagonista della storia dell’Università a Foggia che è stato Luigi Imperati.
Da queste comuni battaglie, ho imparato che essere giornalista significa prima di tutto avere il coraggio di dire le cose come stanno, esprimere le proprie opinioni, impegnarsi perché tutte le opinioni possibili abbiano diritto di cittadinanza.
Quante altre volte, da allora, abbiamo raccontato insieme la città, abbiamo espresso le nostre opinioni, trovandoci quasi sempre d’accordo. Qualche anno dopo, passato alla redazione foggiana della Gazzetta del Mezzogiorno, lo ebbi come appassionato “cicerone” in una serie di articoli dedicati alla “Foggia da salvare”.
Non amava molto il quotidiano regionale, che riteneva “troppo barese”: individuava nel difficile rapporto tra il capoluogo dauno e quello regionale, una delle cause del declino di Foggia.
Eppure si offrì con entusiasmo di accompagnarmi in quell’insolito viaggio. Fu entusiasmante passeggiare con lui tra i vicoli del centro storico, alla scoperta di pezzi di memoria minacciati dalla protervia edilizia: dai ruderi della Taverna dell’Aquila, agli ipogei che allora erano grotte e basta, ai resti del Palazzo della Pianara, alle misteriose colonne dei palazzi prospicienti la Cattedrale, allo stupendo e pressoché sconosciuto bassorilievo di San Martino, incastonato sul fianco sinistra del Duomo.
Gaetano, che aveva trascorso tutta la sua infanzia tra quelle strade, conosceva la storia di ogni pietra, di ogni palazzo, di ogni iscrizione: ed era orgoglioso di esserne figlio.
Eppure fu tutt’altro che un conservatore, politicamente parlando. Democristiano di incrollabile fede morotea, fu un convinto sostenitore degli “equilibri più avanzati” teorizzati dal grande statista di Maglie, e successivamente di quel “compromesso storico” che costò la vita ad Aldo Moro, diventando la causa scatenante del rapimento e e del feroce assassinio, ad opera delle brigate rosse.
Della Democrazia Cristiana, così come del mondo cattolico, Matrella è stato tuttavia sempre coscienza critica: personaggio scomodo, per la sua fede nella verità.
Fu fondatore della Fuci (Federazione Universitari Cattolici Italiani) e protagonista della stagione in cui quel movimento offrì alla “società civile” cittadina personaggi del calibro del giudice Magrone, dei medici Galasso, De Filippis, Cela, Natale, e più tardi Michele Perrone, Davide Leccese, Tonino Coppola e Peppino Normanno, questi ultimi esponenti di quel “cattocomunismo” che in un serrato dialogo con la Democrazia Cristiana seppe produrre l’amministrazione comunale (guidata da Pellegrino Graziani) forse più illuminata e prolifica, in termini di opere e di servizi, che la città abbia mai avuto.
Anni fa, cercammo di riprendere la riflessione politica sulla importanza dell’incontro tra i cattolici ed i progressisti, in un dibattito promosso proprio dal Nuovo Risveglio, e fu un altro bel momento di collaborazione, di comune confronto. Il suo giornale era sempre aperto ad ogni discussione: era il suo modo di contribuire al progresso civile e morale della città.
Il Nuovo Risveglio è stato, nella storia del giornalismo foggiano. un insuperabile esempio di come la cronaca, la narrazione dei fatti non siano antitetiche alla passione civile. Matrella mi ha insegnato che non è possibile raccontare i fatti senza prendervi parte in qualche modo, e che la dirittura morale, l’onestà intellettuale e la passione civile sono l’anima del mestiere di giornalista.
Gaetano ha sempre pagato di tasca proprio la pubblicazione del giornale, confidando solo sull’affetto dei lettori, così come tutti i libri che dava alle stampe. Non ha mai chiesto abbonamenti, finanziamenti o inserti a pagamento alle pubbliche amministrazioni: è stato un mecenate vero, così come quando ha fatto dono di alcuni quadri di cui era proprietario alla Galleria di Arte Moderna e Contemporanea di Palazzo Dogana e delle annate del Nuovo Risveglio alla Biblioteca Provinciale.
Ha vissuto fino in fondo la dimensione comunitaria della città. Ha scritto sempre per i gusto di farlo.
La sua scomparsa mi ha sorpreso e costernato. Sapevo che da qualche mese il suo stato di salute non era eccellente. Progettavamo di andarlo a trovare assieme all’avv. Michele Perrone e a don Tonino Intiso per organizzare un confronto pubblico sull’impegno del laicato cattolico, in un momento così difficile per la città.
Non ho fatto in tempo, e non me lo perdonerò mai. Spero che voglia perdonarmi lui, da lassù, e che non voglia farmi mancare ancora il suo affettuoso stimolo, il suo incoraggiamento, la sua fraterna amicizia. Ne ho ancora bisogno. Ne ha ancora bisogno la sua, la nostra Foggia.
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