Sono dieci anni che non c’è più Franco Marasca, l’indimenticabile fondatore de Il Rosone e dell’omonima casa editrice, ed è difficile crederci, ché sembra soltanto ieri che mi compariva davanti, discreto e sorridente, per sfornare dalla borsa la copia ancora fresca di stampa de Il Rosone o de Il Provinciale.
Non saprei dire come l’ho conosciuto, né chi ci abbia presentati l’un l’altro, come s’addice a quelle amicizie remote e profondamente condivise. Certamente furono le comuni frequentazioni troiane: forse il sogno del museo civico pazientemente allestito da quell’altra indimenticabile persona che fu Vincenzo Bambacigno, alla cui inaugurazione il Rosone dedicò un numero da collezione.
Né saprei ricordare quante volte le nostre strade si sono incrociate. Io con La Refola, lui con i suoi periodici, esploravamo indefessamente le tipografie del capoluogo, sempre alla ricerca del miglior rapporto qualità prezzo, e fatalmente si finiva assieme, a respirare lo stesso odore di inchiostro, a curvarsi sulla stesso tavolo per correggere le bozze. E, soprattutto, a condividere speranze e sogni.
Uno su tutti. L’idea che la crescita culturale di un territorio, di una comunità non sia un fiore all’occhiello, ma al contrario un elemento costitutivo di qualsiasi sviluppo, anche economico e civile. Ed assieme la consapevolezza che perché la cultura riesca veramente ad essere un propellente per il futuro, occorre che sia sorretta dal fare impresa, e che produca essa stessa impresa.
L’eredità più bella che Marasca ci lascia è proprio questa sua tenacia, questa sua incrollabile perseveranza che l’ha portato ad essere imprenditore di cultura sul terreno più improbo: se ci vuole coraggio a mettersi a produrre libri, riviste, giornali in una terra che detiene indici di lettura tra i più bassi d’Europa, ci vuol perfino follia a non smettere, a tirare avanti.
Anche per questo sembra sia stato soltanto ieri che Franco si è congedato con la vita. Perché le cose che ha fatto sono ancora lì, rigogliose come non mai. Gli annali dei suoi giornali sono più corposi, gli scaffali delle sue collane sono ancora più colmi di pubblicazione.
Che si può dire di meglio, di una persona che non c’è più, che non ha seminato invano, e che i frutti della sua opera terrena, continuano a germogliare?
Ma non ha lasciato soltanto giornali e libri, Franco. Ha lasciato amicizie, affetti, rapporti umani profondi che la sua dipartita non ha interrotto, a giudicare dalla partecipazione e dalla commozione che hanno accompagnato la manifestazione, organizzata per ricordarlo nel decennale della sua morte, che si è svolta nella prestigiosa cornice della Sala del Tribunale di Palazzo Dogana.
“Un percorso per chi resta”, era il tema della serata, durante la quale si è svolta anche la cerimonia conclusiva del premio letterario dedicato a Franco dal Liceo Bonghi di Lucera, di cui fu un apprezzato docente. “Un percorso per chi resta” era anche il titolo di apertura del numero speciale de Il Rosone, pubblicato in occasione della sua dipartita.
“Il percorso culturale del nostro Franco – scriveva Vito Procaccini – è inciso nel piombo della tipografia, ma non si renderebbe un buon servigio alla sua memoria se ci limitasse a custodire le sue carte. Occorre invece raccogliere il testimone e portarlo ancora in avanti. La strada è lunga ed è stata appena tracciata.”
Quel testimone è stato raccolto, in primis da sua moglie Falina e da sua figlia Marida, ma anche dai tanti collaboratori che in questi dieci anni hanno continuato a riempire di articoli le colonne dei periodici da lui fondati e diretti e di titoli le collane della sua casa editrice.
Tante persone, tanti amici, e non solo testimoni, che assieme a chi scrive si sono dati appuntamento nella bella serata svoltasi a Palazzo Dogana, offrendo una tangibile dimostrazione che il percorso lasciato in eredità da Franco Marasca viene proseguito da tanti che sono rimasti, e che caparbiamente e tenacemente continuano a tramandarne le tracce, le intuizioni, le sfide.
(Articolo pubblicato sulla rivista Diomede)
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