Si è (finalmente) concluso, per Foggia e la sua provincia, un anno difficile. Forse il più difficile del terzo millennio. La crisi è diventata più acuta: la gravità della situazione è simboleggiata dall’ultimo posto raggiunto dalla Capitanata nella classifica annuale della qualità della vita compilata dal Sole 24 Ore, che ci ha visti perdere un’altra posizione rispetto all’anno precedente, facendoci conquistare la maglia nera.
Ad aggravare la crisi hanno contribuito due fenomeni: l’appesantirsi dei fattori economici, divenuti ormai endemici, che l’avevano innescata,. e la mancanza di slancio, cioè il mancato venire al pettine di progetti o iniziative, pubbliche e non, che avrebbero potuto dare ossigeno, indurre all’ottimismo.
Sullo sfondo c’è l’esaurimento, ormai tangibile, della spinta che tra la fine del vecchio millennio e l’inizio del nuovo aveva dato la cosiddetta stagione della concertazione, che aveva visto il territorio intercettare numerosi strumenti che veicolavano finanziamenti pubblici. Il contratto d’area e sette patti territoriali: poche altre aree del Mezzogiorno avevano ricevuto così tanto. Il territorio non è stato però in grado di cambiare marcia: era ampiamente prevedibile che, una volta esaurito il periodo contrattuale che vincolava le imprese destinatarie dei finanziamenti a restare sul territorio, molte di queste avrebbero preso cappello e sarebbero andate vie. Era prima e durante che si doveva far qualcosa: per esempio apprestare le condizioni perché venisse su un qualche indotto che mettesse le aziende nelle condizioni di poter continuare a produrre a costi più convenienti, oppure favorire l’ingresso nelle compagini societarie di capitali e forze imprenditoriali locali, in modo che, alla scadenza del contratto, ci fosse un qualche interesse a restare. Ma è successo assai poco di quello che si era sperato, e va detto che una volta tanto non si può attribuire la colpa alla politica, che ha fatto quanto ha potuto, azionando e governando i meccanismi della programmazione negoziata.
Poi, la mancanza di slancio, l’amara conclusione di quella fiera delle illusioni che ha visto la Capitanata ripetutamente beffata dal governo. Il peggio è che non se ne parla neanche più, come se fosse subentrata la rassegnazione.
Il 2011 che ci siamo lasciati alle spalle è stato l’anno che ha visto definitivamente naufragare la speranza che Foggia potesse diventare la sede dell’Agenzia nazionale per la sicurezza nazionale, cancellata dal governo, nonostante il voto favorevole del Parlamento e la mobilitazione, che in questo caso è stata bipartizan, delle istituzioni locali.
E nessuno più parla di altri importanti finanziamenti che sono evaporati nel nulla, come quelli che avrebbero dovuto consentire la costruzione della seconda diga sul Fortore, a Piano dei Limiti (praticamente cassata dai tagli al piano irriguo nazionale, anche questi decisi dal governo) o quelli della diga di Palazzo d’Ascoli.
Va detto che non è stato soltanto il governo di centrodestra ad accanirsi contro la provincia di Foggia. Anche la Regione Puglia ci ha messo del suo. Il 2011 sarà ricordato come l’anno delle polemiche sul “foggianesimo”, neologismo coniato dal governatore pugliese, Nichi Vendola, per stigmatizzare l’abitudine dei nostri concittadini e comprovinciali a lamentarsi sempre e comunque. Non ha tutti i torti, il presidente, ma non è una invenzione giornalistica il taglio dei finanziamenti per sostenere i voli di linea al Gino Lisa, voluto dalla Regione, che ha provocato il blocco dei voli, dopo un anno in cui l’aeroporto aveva fatto segnare addirittura un exploit, in termini di passeggeri o il mancato decollo di quei progetti strategici, come il treno-tram, che avrebbero dovuto farci voltar pagina. Tra l’altro, il settennio dell’intervento comunitario (2007-2013) sta per concludersi, e di opere cancerizzate se ne sono viste assai poche.
Tante speranze naufragate, o comunque rinviate. Il fatto è che ritardare la soluzione dei problemi, l’avvio dei progetti, soprattutto in tempi di crisi generale e di recessione, come quelli che stiamo vivendo, ha un suo costo, salato, così salato che può diventare insopportabile, anche perché nell’era della globalizzazione e dell’esasperata competizione tra i territori, chi non resta al passo, chi cammina più lentamente degli altri, alla fine resta inesorabilmente tagliato fuori.
È un rischio che corre il turismo, che è tra le poche cose belle che questo 2011 consegni alla storia: la stagione 2011 ha fatto segnare un ottimo risultato, determinato in parte proprio della buona performance dell’aeroporto Lisa. I buoni risultati fatti registrare dall’industria del sole, contemporaneamente al picco di passeggeri raggiunto dallo scalo proprio durante i mesi estivi, dimostrano una volta di più la spiccata vocazione turistica dell’aeroporto foggiano, ma nello stesso tempo gettano una luce sinistra sull’andamento del turismo nel 2012, quando presumibilmente l’aeroporto avrà un’attività in tono minore rispetto al passato.
Non è comunque un caso che, oltre al successo della stagione turistica, tra le altre poche cose positive che il 2011 ci abbia lasciato in eredità vi sia (ed è la notizia più bella di tutte) il riconoscimento conferito dall’Unesco a Monte Sant’Angelo quale patrimonio dell’umanità.
Il fatto ha un alto valore simbolico: al cospetto di un presente così critico, svelato in tutta la sua gravità da questo fosco 2011, le note liete giungono dal passato, e da quel che ne resta.
Monte Sant’Angelo fu una delle capitali di quel culto micaelico tanto caro ai Longobardi, era il terminale di quella Via Francigena lungo la quale sono passati secoli di cultura, e di civiltà.
Turismo e cultura sorridono, sulla macerie di un modello di sviluppo che si è rivelato effimero, ed additano una strada sulla quale ripartire, per esplorare nuove prospettive. Non è abbastanza per sognare un 2012 che ci porti l’agognata ripresa. Ma sperare, almeno, si può.
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