La lettera di mons. Tamburrino: la crisi si supera attraverso la misericordia

È passata quasi del tutto sotto silenzio l’ultima lettera pastorale che mons. Francesco Pio Tamburrino ha inviato ai fedeli della diocesi di Foggia. E la notizia – o più precisamente la “non notizia”, il desolante silenzio con cui i mass media hanno accolto il messaggio episcopale – la dice lunga su cosa faccia notizia e cosa no, nel capoluogo dauno. I nostri politici dichiarano e pontificano su tutto e su tutti e giornali e televisioni sono sempre là pronti a raccogliere e diffondere le loro parole l’aria fritta.
Neanche un rigo invece di commento alle parole dell’arcivescovo di Foggia. Mons. Tamburrino non è nuovo a questo tipo di comunicazione, e sceglie anzi spesso la lettera pastorale come strumento per rivolgersi ai fedeli ed ai cittadini. Per sua natura, il presule non ama i clamori mediatici: per diffondere la sua lettera ha scelto il mezzo più giusto e più efficace: l’ha fatta stampare e ne ha fatto dono ai fedeli, che ne hanno ricevuto copia alla Messa di domenica scorsa. Qualcuno forse auspicherebbe strategie di comunicazione, come dire, più à la page: una conferenza stampa o perché no una pagina su Facebook. Ma si può affidare la ricchezza di un messaggio così profondo come quello trasfuso dall’Arcivescovo nella sua (peraltro particolarmente corposa) lettera, alle leggerezza dei bit dei social networking o ai ritmi sincopati dei format televisivi. A noi piace così.

La comunicazione per raggiungere il suo obiettivo, che è quello di trasmettere ed intrecciare conoscenze, opinioni ed emozioni, ha bisogno del silenzio e mal si addice ai luccichii dei salotti televisivi che menano la danza dell’informazione locale.
La lettera è una delle forme più antiche di comunicazione. Per usare il gergo tecnico non produce comunicazione in tempo reale, ma asincrona. Il messaggio di chi la manda non raggiunge il destinatario immediatamente ma dopo il tempo necessario al recapito, ed alla lettura. E chi la legge ha bisogno di farlo in un contesto idoneo. Generalmente, quando leggiamo una lettura che ci è giunta da una persona cara preferiamo farlo da soli. In silenzio, appunto.
La speranza è che sia il mondo della Chiesa che quello laico trovino il tempo e il modo di fare silenzio e di mettersi in ascolto. Un esercizio che consigliamo fervidamente soprattutto alla classe dirigente, perché la lettera pastorale di Mons. Tamburrino è un contributo di straordinaria importanza per affrontare il presente e l’immediato futuro, che vedono il capoluogo dauno ed il resto della provincia alle prese con una crisi durissima. Non ha una valenza esclusivamente locale: è universale, intrisa i un impliciti significato anche meridionalistico.
Siate misericordiosi, com’è misericordioso il Padre Vostro è il titolo, che indica già una scelta di campo, netta ed irrevocabile, operata dal presule: la Chiesa foggiana si schiera dalla parte dei poveri, i cui problemi diventano di giorno in giorno sempre più acuti.
La misericordia è qualcosa di più della solidarietà. Essere solidali significa condividere i problemi altrui, ed è già questo qualcosa di bello ed importante. Ma non basta. Occorre la misericordia che, come l’etimologia del termine suggerisce è la pietà verso la miseria, verso la povertà.
Se solidarietà è condivisione, la misericordia è compassione (cum-patire), altra bellissima parola che significa soffrire insieme, condividere il dolore degli altri fino a sentirlo proprio.
Per mons. Tamburrino è questo il modo d’essere della Chiesa e dei Cristiani. “Con gioia la Chiesa intera e ogni cristiano sono chiamati a vivere l’amore preferenziale per i poveri, liberandolo dalle tentazioni dell’attivismo e del protagonismo. La Chiesa è chiamata a vivere la povertà del suo Signore, segue Cristo povero… la catechesi, la formazione dei ministri ordinati, dei religiosi e dei laici deve condurre ad educare tutti all’amore preferenziale per i poveri.”
Questo amore preferenziale può diventare un formidabile strumento per affrontare le difficoltà economiche e sociali del momento, cui l’Arcivescovo dedica una parte importante della sua lettera, dopo aver chiarito che l’assistenza verso i bisognosi, la risposta ai drammatici problemi che accrescono la miseria morale e con essa quella spirituale, sono un dovere da parte di tutti, e riceverle è un inalienabile diritto verso chi sta male. “L’orizzonte della povertà – scrive il presule – si caratterizza sempre di più come povertà di diritti ed esclusione sociale. Se i poveri avessero dei diritti, il primo sarebbe quello di sperare in una vita migliore, per sé e per i propri figli, e di sapere che l’uscita dalla povertà è possibile. Invece oggi esiste una cultura diffusa secondo cui le azioni a favore dei poveri da parte dello Stato sono una specie di benevolenza, una concessione, una cura di  mantenimento per povertà di lungo periodo da cui è difficile uscire.”
Ecco dunque la carità e la misericordia come “alternative”, anche culturali, alla crescente povertà ed alla crescente esclusione. Mons. Tamburrino affronta anche i problemi della comunità locale, con parole ferme, che lanciano una sfida ma nello stesso tempo trasudano speranza.
“La Chiesa – si legge ancora nella lettera pastorale – di fronte alle povertà continua a sostenere un ruolo di grande rilievo, tentando di contrastare la povertà economica, la disoccupazione di lunga durata, l’emergenza abitativa, le inadeguate politiche sociali per la famiglia, le povertà degli stranieri aggravate della crisi economica. Si assiste al un ulteriore scivolamento verso l’indigenza. Si registra, infatti, la crescente presenza di giovani di origine extracomunitaria che elemosinano fuori dagli ipermercati, specie nei grandi centri urbani, l’aumento delle richieste di assistenza primaria ai centri di ascolto, l’aumento degli stranieri senza fissa dimora che si rivolgono ai servizi a bassa soglia, il forte disagio della comunità Rom, il peggioramento della qualità della vita e dell’alimentazione, il progressivo impoverimento delle donne sulla strada.”
Fin qui la lucida analisi dell’Arcivescovo, che conclude la sua riflessione indica la (sola) possibile via d’uscita: “i cristiani credono che l’amore per questi nostri poveri può costituire la matrice di una cultura della com-passione, quasi un dono per una nuova società. Tale cultura si qualifica come difesa della dignità umana e della giustizia, con la volontà di rimuovere strutture e  comportamenti.”
“Non si tratta – precisa mons. Tamburrino – di fare supplenza  o di sostituirsi allo Stato. Infatti l’amore preferenziale per i poveri, la frequentazione dei mondi della emarginazione, radica in tutti la coscienza che lo Stato è necessario: per tutti i cittadini, compresi i più poveri. Per questo vogliamo lavorare, facendo emergere una coscienza di comune responsabilità dei cristiani radicati nel mondo dei poveri.”
Speriamo che queste nobili parole non cadano nel vuoto.

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Author: Geppe Inserra

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