Appartengo a quella vasta fetta di umanità che, come ha detto Obama, ha appreso della morte di Steve Jobs da un computer pensato da lui. Qualche minuto prima che Safari (geniale e superveloce browser della casa di Cupertino guidata da Jobs) si aprisse sulla home page di Google che recava la ferale notizia, caso più unico che raro, avevo dovuto riavviare il Mac che non voleva saperne di uscire dallo stato di stop. Era diventato lentissimo. Era come se piangesse.
Esagero? Forse sì. Si sa che i computer non hanno un’anima. Ma è un dato di fatto che grazie a Steve Jobs, per la prima volta, hanno avuto una interfaccia umana. E che grazie a questa interfaccia e ad Internet, da freddi calcolatori si sono trasformati in un mezzo di comunicazione che non ha precedenti nella storia degli essere umani.
Steve Jobs è stato un campione – anzi “il” campione – di una globalizzazione dal volto umano che ha veramente fatto del mondo un villaggio. Questo giornale è fatto largamente con e grazie alle tecnologie inventate da questo splendido e geniale innovatore. Le intuizioni, le sfavillanti anticipazioni di Jobs fanno parte ormai della nostra vita quotidiana, sono divenute quasi delle protesi per noi, cittadini del mondo villaggio: dall’Ipod all’Iphone, all’Ipad.
Con Matteo Tatarella, direttore e fondatore di questo giornale, ci imbattemmo nel primo “computer dal volto umano” tanti anni fa, ad una fiera che si teneva a Taranto. Poter pubblicare un giornale quotidiano, in quei tempi di linotype e di piombo fuso, era un sogno. E davanti a quell’Apple II che sembrava sorriderci, sognammo ad occhi aperti, capimmo che eravamo alla vigilia di una svolta epocale, in cui scrivere libri, fare giornali, mandare articoli dal corrispondente alla redazione, conservare fotografie, disegnare utilizzando un personal computer sarebbe diventato uno scherzo da ragazzi.
La nascita del Quotidiano di Foggia è stata accompagnata – e in un certo senso resa possibile – dall’acquisto di due Mac Se e di un hard disk da 20Mb. L’interfaccia user friendly dei computer progettati da Steve Jobs aveva sostenuto l’impetuoso sviluppo di software di desktop publishing. I primi numeri del Quotidiano venivano pubblicato utilizzando la versione 1.0 di Pagemaker. Per centrare il titolo sul resto dell’articolo si doveva stampare la bozza due o tre volte perché la tecnologia wysiwyg (What You See Is What You Get: “quello che vedi è quello che è” o “ottieni quanto vedi”) era ancora una scommessa. Ma il giornale lo facevamo noi, tutto, dall’inizio fino alla pre-stampa.
Vale la pena ricordare che erano i tempi in cui per avviare un computer ms-dos occorreva quasi la laurea in informatica e per pubblicare giornali e libri si usavano più o meno gli stessi caratteri mobili inventati da Gutemberg. Una pagina di giornale pesava circa tre chili: fu entusiasmante scoprire che poteva avere la leggiadra leggerezza dei bit.
La stessa leggerezza che Steve Jobs ha profuso nella sua “seconda attività” quale responsabile della Pixar, la major che ha prodotto i migliori cartoni animati degli ultimi decenni facendo sognare e commuovere generazioni di bambini. Molti si stupivano di quest’altro aspetto della multiforme personalità di Steve Jobs, ma a ben vedere, non è così. E’ stato un grande sognatore, che è riuscito a far sognare tante altre persone assieme a lui. Che ha raggiunto l’obiettivo di vedere realizzati tanti suoi sogni, ed ha consentito a tante altre persone di realizzare i loro sogni. Come quello di Matteo Tatarella e mio, quel giorno, a Taranto.
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